Niccolò Garzilli, aquilano d’origine, palermitano d’adozione,
studente dell’università, di soli diciannove anni aveva fatto concepire alte
speranze di sé, per un suo scritto filosofico. Scoppiata la rivoluzione aveva
lasciato la penna pel fucile, combattuto da prode, preso parte alla spedizione
Ribotti nelle Calabrie: fatto prigioniero con gli altri, era stato chiuso nelle
fortezze borboniche. La prigione non spense la sua fede: uscitone, prese
attivamente a cospirare con altri animosi. Illudendosi che le violenze
poliziesche avessero negli animi acceso tanto sdegno, che bastasse rinnovare le
audacie del 12 gennaio, per far divampare l’incendio della rivoluzione, sebbene
sconsigliato dal Lomonaco, divisò co’ suoi compagni d’insorgere pel 27 gennaio
1850. Ma traditi da un Santamarina, che era dei loro, scesi il giorno designato
nella piazza della Fieravecchia, al grido di Viva la Costituzione, trovarono le
vie occupate dalle milizie regie, e si sbandarono. Il Garzilli poco dopo, preso
con altri cinque, e condotto al Castello, vi fu giudicato da un Consiglio di
guerra, al quale il Satriano scriveva in precedenza, che sentenziasse per tutti
e sei quei giovani la morte, da eseguirsi la stessa giornata. La sera stessa
del 28, condannati senza alcuna prova legale, condotti nella piazza
Fieravecchia, vi furono moschettati. Un marmo tramanda alla memoria dei posteri
i loro nomi: furono Nicolò Garzilli, Giuseppe Caldara, Giuseppe Garofalo,
Vincenzo Mondino, Paolo De Luca e Rosario Aiello.
Al supplizio seguì un processo contro sessantacinque presunti rei di
cospirazione, dei quali oltre la metà latitanti, e fra essi il Bentivegna.
Contro gli arrestati la polizia incrudelì; il tribunale prosciolse ben
trentasei dall’imputazione, gli altri condannò a pene ben gravi.
Luigi Natoli: La rivoluzione siciliana nel 1860 - Narrazione
Fa parte del volume: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.
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