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venerdì 22 novembre 2019

Luigi Natoli: Gli arresti dopo la rivolta di Giuseppe Campo e il tentato omicidio dell'ispettore Maniscalco. Tratto da: Rivedicazioni

Seguì la reazione. Molti come Tomaso Di Chiara, Enrico Amato, Salvatore Di Cristina (venuto poi anch’esso coi Mille) esularono; altri si nascosero. Giambattista Marinuzzi, ostinato nel cospirare, infaticabile, attivo, presente dovunque, eluse ogni ricerca; i fratelli De Benedetto si celarono nelle loro terre, presso Torretta, dove attesero a tener vive le fiamme della rivoluzione in tutti i comuni vicini.
Molti gli arrestati, per denunzia di un tristo, tra i quali Onofrio Di Benedetto, Gioacchino Siguro, il conte Federico, il vecchio padre dei Campo, Giovan Battista Alaimo e Salvatore La Licata o Alicata, che doveva capitanare le squadre dei Colli. L’arresto del quale avvenne in modo drammatico e vile. Era egli nascosto sotto una botola in casa di un guardiano della contessa di San Marco, dove piombati i birri, legato il guardiano e percossolo, nulla poteron sapere; onde si impadronirono della giovane ed avvenente moglie di costui, e, riuscito vano strapparle una delazione a furia di nerbate, la trascinarono all’aperto e cominciarono a spogliarla. Ella taceva; ma quando quei manigoldi furor per torle la camicia, e denudarla agli occhi di tutti, il suo pudore non resistette all’oltraggio, e indicò la botola. Il La Licata fu sottoposto a torture che fanno rabbrividire, e fu ridotto in pochi giorni a fin di vita, egli che era robusto e aitante: ma non rivelò nulla; e dei supplizi patiti fu avvertito il procuratore generale, sebbene senza frutto. Fra gli arrestati fu anche Paolo Paternostro, tornato da non molto da Tunisi, e con altri messosi a capo dell’agitazione in Misilmeri il quale, indi a non molto, reclamato dal console ottomano, perché avendo occupato cariche nella Reggenza, lo considerava come suddito della Sublime Porta, fu scarcerato ed espulso dal regno, non riuscendosi a trovar contro di lui gravi elementi di accusa.
Villabate, rea della parte presa, fu data in balìa dei compagni d’arme, che si installarono nelle case private, mangiando, bevendo, spillando danari e violando le fanciulle.
Si iniziò vasto processo, che rinnovando timori e sdegni, fece nelle secrete adunanze in casa del Lomonaco-Ciaccio, ventilar l’idea di sopprimere il Maniscalco; ritenendosi che la morte violenta di lui avrebbe troncato le persecuzioni feroci, e diffusa grande paura negli agenti della polizia.
Il pensiero era tristo, ché l’assassinio, anche se compiuto per fini politici, è sempre riprovevole; e nessuno del comitato, né il Lomonaco, né i De Benedetto, né altri si sentivano di tradurlo in atto, per natural ripugnanza. Ma si offerse o si trovò un braccio in un giovane, che per aver patito violenze poliziesche, avea ragioni d’odio contro Maniscalco. 
Era un tal Vito Farina, inteso Farinella; il quale appostato più volte il Maniscalco, finalmente la sera del 27 ottobre, lo ferì alle reni, dietro il Duomo. La ferita fu lieve; il Maniscalco però ne ebbe l’animo inacerbito. Tuttavia il Farinella, per quanto ricerche si facessero non fu mai conosciuto; e arrestato nei primi di dicembre, non fu neppure sospettato d’esser l’autore del colpo, che forse si credette ordinato dalla nobiltà. La cittadinanza, sperando essersi sbarazzata del tremendo direttore di polizia, non ebbe neppur la prudenza di celar la gioia; e il governo se ne adontava.

Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento. 
Pagine 575 - Prezzo di copertina €24,00
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giovedì 21 novembre 2019

Luigi Natoli narra di Vincenzo Fuxa, figura presente del Risorgimento siciliano

Nell’agosto del 1855 l’emigrazione siciliana e calabrese, come seppe di poi la polizia da un Salvatore Mondino arrestato, disegnava una spedizione nell’isola; e alle adunanze che si tenevano a Genova, in casa Colonna, intervennero “l’avventuriere Garibaldi” e dei nostri Rosolino Pilo, Emerico Amari, Luigi Orlando, Francesco Ferrara, il principe di Scordia, Michele Bertolani, Vincenzo Fuxa, ai quali altri si aggiunsero, fra cui lo stesso propalatore. Propugnava il Pilo uno sbarco a Castellammare del Golfo; per cui si inviavano emissari a Nicola Fabrizi in Malta, e in Sicilia. Ma per varie circostanze, la spedizione non ebbe più luogo per allora, e gli scarsi mezzi di cui disponevano i cospiratori, si consumarono fra viaggi e insuccessi.
Nella battaglia di Calatafimi: Dopo il combattimento di Calatafimi, Garibaldi ordinò al La Masa di percorrere la provincia di Palermo, per suscitarvi la rivoluzione; il La Masa, scelse a compagni Vincenzo Fuxa di Bagheria, anche lui dei mille, piccolo, cavalleresco, audace, guizzi di fiamme gli atti e le parole; Pietro Lo Squiglio, cuor provato a tutti i cimenti; Giacomo Curatolo, veterano del 48; il barone Di Marco, cospiratore infaticabile che aveva sollevato Mezzojuso; i due fratelli La Russa e qualche altro: tutta gente questa che era andata incontro al Dittatore in Salemi, e si era già battuta a Calatafimi. 
Intanto si diffondevano per l’isola i proclami di Garibaldi “All’Esercito napoletano”, “Ai buoni preti”, “Agli Italiani”; altri se ne diffondevano del La Masa; quelli vibranti, a scatti: questi un po’enfatici: ma gli uni e gli altri sollevavano entusiasmi. Per eseguire gli ordini di Garibaldi, La Masa ordinava che le squadre dei vari comuni si concentrassero a Misilmeri, dove la cittadinanza e il municipio le accoglievano con fraterna esultanza. Ivi l’attivo ricostituito comitato rivoluzionario, occultamente dopo l’insuccesso del 4 aprile, palesemente al rinnovarsi delle speranze dopo la vittoria di Calatafimi, si era dato con ogni possa al lavoro per assicurare il trionfo della rivoluzione: e Misilmeri con Roccapalumba e Termini divise i sacrifici e la gloria di aver ordinato, sorretto, mantenuto il campo di Gibilrossa.
A fianco di Garibaldi: Il Fuxa intanto si recava in Bagheria, vi proclamava la dittatura di Garibaldi, nominava il comitato per l’amministrazione e la sicurezza, e formata una squadra la conduceva al campo di Gibilrossa dove continuamente giungevano dalle campagne e da Palermo altri armati, sicché in breve raggiunsero la somma chi dice di cinque, chi di quattromila; ma sulla scorta di documenti è facile indurre che furon meno. La Masa battezzò quella gente “2° Corpo dell’armata nazionale”, l’ordinò militarmente per quanto fosse possibile, con uno stato maggiore, un’intendenza, un corpo sanitario, uno di guide: il comando degli avamposti diede al Fuxa; a capo dello stato maggiore pose il Salvo: all’intendenza Pasquale Mastricchi antico patriotta. ran quasi tutti giovani contadini, i quali il vezzeggiativo del dialetto, picciotti, che significa “giovani” resero storico; erano incolti, e non avevano un’idea chiara del fine di quella rivoluzione: ma è una piacevolezza, e null’altro, rappresentarli cenciosi e a piedi nudi; mentre è saputo che i nostri contadini non vanno mai scalzi, e che in quei giorni furon largamente provveduti di vestiti e anche, per la stagione insolitamente fredda e piovosa, di cappotti; ed è qualcosa di peggio che piacevolezza, dire che essi credevano l’Italia moglie di Garibaldi!...
Al campo di Gibilrossa: Ma ciò che l’Eber non poteva sapere, e che non è meno vero per questo, è che la mattina del 26 qualche membro del Comitato andò al campo di Garibaldi per concretare i segni coi quali la città doveva essere avvertita dalla prossima discesa dei legionari; e che uno dei pretesi ufficiali inglesi era il giovane Michele Pojero travestito; il quale, come narrerò in altro luogo, portò a Garibaldi una pianta di Palermo, che s’era cinta a una gamba; cosicchè il generale sapeva quali e quante fossero le forze borboniche dalla parte di Porta di Termini, e come disposte; e sapeva che la resistenza sarebbe stata facilmente superabile. Il 26 maggio, il comitato a Palermo, sapeva già della prossima entrata di Garibaldi; il popolo, pur non avendone la certezza, sospettava qualche cosa; chi non sapeva nulla era il governo, che non trovò più un cane di spia. L’ultima spia fu un corriere postale, che passando il 25 da Misilmeri, e trovativi i capi delle squadre, il La Masa, il Fuxa, e tutte le forze rivoluzionarie, ne riferì a Maniscalco. Ma il governo non osò assalire gli insorti, perchè era prevalso il concetto di non dislocare le truppe da Palermo; tanto più che vi erano già fuori i famosi battaglioni di von Meckel e le colonne distaccate a Morreale e Boccadifalco.
All'adunanza delle squadre a Gibilrossa: In cinque giorni il La Masa disciplinò alla meglio quel corpo irrequieto e inadatto a un vero ordinamento. Gli diede uno stato maggiore, un corpo di guide, una intendenza, una ambulanza. A capo vi erano uomini provati, che in tutte le campagne garibaldine diedero esempi di valore eroico: Luigi La Porta, Vincenzo Garuso, Liborio Barranti, Luigi Bavin Pugliesi(129), Gaspare Nicolai, Nicolò Di Marco, Giacomo Curatolo, Vito Signorino, Ignazio Quattrocchi, Rosario Salvo, Domenico Corteggiani, e cento altri. V’era Vincenzo Fuxa, venuto coi Mille, e Pasquale Mastricchi, zio dei Campo, veterano delle cospirazioni, che Garibaldi chiamò il “vecchio di Gibilrossa”. Come si vede non si tratta d’accozzaglia rumorosa, turbolenta, inadatta, e stracciata come spacciò il De Cesare, a cui nella “Fine d’un regno”  piacque di celiare: si tratta di una organizzazione, non certamente perfetta, ma neppure tale da esser desiderabile farne a meno.
Garibaldi ci contò: e fece bene.
Alla presa di Palermo: I regi si ritirarono verso il convento di S. Antonino, dove era il grosso della difesa; e dietro la barricata, ma non per questo è libero il passo. Il generale in capo avvisato di quanto avveniva, ordinato al Marra di difendere le posizioni, gli manda in rinforzo un battaglione dell’8°; ma non per questo si può riprendere l’offensiva. I regi piegano, Garibaldi spedisce Fuxa, il temerario, coi “picciotti”, attraverso i giardini, dalla parte della Villa Giulia; altre squadriglie, per gli orti e i giardini, verso S. Antonino; altri picciotti e volontarii occupano le case dello stradone, donde possono saettare la barricata; il fuoco è vivo da ogni parte: dalla barricata i regi spazzano lo stradale dei Corpi Decollati. Tuköry, il nobile ungherese, dinanzi ai suoi, dopo aver oltrepassato il ponte, si avanza; una palla gli rompe il ginocchio; cadono feriti lì presso Benedetto Cairoli, Giorgio Manin, Stefano Canzio, Daniele Piccinini; Bixio è ferito anch’esso. 
Intanto i “picciotti” del Fuxa, attraversati gli orti, si gittano dentro la Villa Giulia, donde, sfidando audacemente la mitraglia della nave regia, irrompono nella città, entrando dalla Porta Reale prossima al mare. Sono circa le sei del mattino, e Garibaldi con Türr, con lo stato maggiore entra nella città già occupata dai suoi, e si ferma in piazza della Fieravecchia. Bixio intanto ha spinto i volontari fino alla via Toledo, incalzando i regi: il prode Mondino, raggiunto dai fratelli Michele e Gaetano, giunge con la sua squadriglia pel primo a Piazza Bologni, e ne scaccia il generale Landi, che si ritira al Palazzo reale. Per ogni parte si diffondono i volontari, coi picciotti, per animare la città, che ancora sonnolente e silenziosa, non pareva persuasa di quel miracolo.
Chi fu mandato pei giardini per proteggere alla sinistra i volontari, fu l’abate Rotolo, con la squadra dei Lercaresi, il quale costrinse la cavalleria appostata nella strada del Secco, a fuggire: a destra fu mandato Vincenzo Fuxa, alla testa di altre squadre, che attraversati gli orti, si gittò nella Villa Giulia, donde superando lo stradone di S. Antonino, ora Via Lincoln, spazzato dalla mitraglia, entrò in città dalla porta Reale, quasi nel tempo stesso che Garibaldi entrava da Porta di Termini.


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento. 
Raccolta di scritti storici e storiografici nelle versioni originali dell'epoca. 
Copertina di Niccolò Pizzorno
Pagine 575 - Prezzo di copertina € 24,00
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Giuseppe La Masa: la casa paterna di Trabia gli fu bruciata nei movimenti reazionari del 1820...

Da sicure fonti storiografiche, a proposito della famiglia di Giuseppe La Masa riportiamo queste informazioni: 
Giuseppe La Masa nacque in Trabia il 30 novembre 1819, da Andrea La Masa ed Anastasia Pitissi.
La casa paterna di Trabia gli fu bruciata nei movimenti reazionari del 1820, ed i suoi genitori rimanevano, in seguito, vittime di quelle patrie sventure. Il bambino Giuseppe fu miracolosamente salvato dall'incendio da una familiare, Antonia Rinella Sunzeri, e nascosto in un vicino granaio. Raccolto insieme a due sorelline dagli zii materni, visse in Termini fino all'età di 11 anni. 
Appartenevano i La Masa ad antica e liberale famiglia siciliana dimorante in Termini, dove esisteva, fino a pochi anni addietro, la casa avita, situata a sinistra dell'antico Stabilimento dei Bagni termali di quella città. Però nel 1877 il La Masa, con nobilissimo pensiero, donò al Municipio di Termini Imerese, che aveva deliberato d'ingrandire lo Stabilimento dei Bagni Termali, le due terze parti a lui spettanti di quella casa che ricadeva nel piano di espropriazione. "Volendo con ciò dar prova di affetto verso la detta città di Termini Imerese, illustre per tante memorie e che fin dal 1848 lo coadiuvò efficacemente nell'opera del risorgimento nazionale". 
La casa paterna di Trabia gli fu bruciata nei movimenti reazionari del 1820, ed i suoi genitori rimanevano, in seguito, vittime di quelle patrie sventure. Il bambino Giuseppe fu miracolosamente salvato dall'incendio da una familiare, Antonia Rinella Sunzeri, e nascosto in un vicino granaio. Raccolto insieme a due sorelline dagli zii materni, visse in Termini fino all'età di 11 anni. 
Egli ritenne sempre Termini come patria adottiva "Trabia e Termini" egli scrisse "sono la mia terra natale". 
In questa casa, in vendita a Trabia, c'è una lapide che indica il luogo di nascita del La Masa, senza la data in cui è stata posta. Ma sulla fonte storica da cui abbiamo tratto queste informazioni noi non abbiamo dubbi…