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venerdì 27 gennaio 2017

Luigi Natoli: Niccolò Garzilli e il 27 gennaio 1850


Aquilano d’origine, palermitano d’adozione, studente dell’università, di soli diciannove anni aveva fatto concepire alte speranze di sé, per un suo scritto filosofico. Scoppiata la rivoluzione aveva lasciato la penna pel fucile, combattuto da prode, preso parte alla spedizione Ribotti nelle Calabrie: fatto prigioniero con gli altri, era stato chiuso nelle fortezze borboniche. La prigione non spense la sua fede: uscitone, prese attivamente a cospirare con altri animosi. Illudendosi che le violenze poliziesche avessero negli animi acceso tanto sdegno, che bastasse rinnovare le audacie del 12 gennaio, per far divampare l’incendio della rivoluzione, sebbene sconsigliato dal Lomonaco, divisò co’ suoi compagni d’insorgere pel 27 gennaio 1850. Ma traditi da un Santamarina, che era dei loro, scesi il giorno designato nella piazza della Fieravecchia, al grido di Viva la Costituzione, trovarono le vie occupate dalle milizie regie, e si sbandarono. Il Garzilli poco dopo, preso con altri cinque, e condotto al Castello, vi fu giudicato da un Consiglio di guerra, al quale il Satriano scriveva in precedenza, che sentenziasse per tutti e sei quei giovani la morte, da eseguirsi la stessa giornata. La sera stessa del 28, condannati senza alcuna prova legale, condotti nella piazza Fieravecchia, vi furono moschettati. Un marmo tramanda alla memoria dei posteri i loro nomi: furono Nicolò Garzilli, Giuseppe Caldara, Giuseppe Garofalo, Vincenzo Mondino, Paolo De Luca e Rosario Aiello.
Al supplizio seguì un processo contro sessantacinque presunti rei di cospirazione, dei quali oltre la metà la­titanti, e fra essi il Bentivegna. Contro gli arrestati la polizia incrudelì; il tribunale prosciolse ben trentasei dall’imputazione, gli altri condannò a pene ben gravi.
 
 
 
Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.
Prezzo di copertina € 24,00 - Sconto 15% - Pagine 575

Luigi Natoli: Verso il 4 aprile... - Tratto da: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.


La rivoluzione siciliana del 1860 non incominciò il 4 aprile; cominciò lo stesso giorno in cui il principe di Satriano entrò in Palermo a ristabilirvi l'autorità regia; perchè quando i cannoni salutarono il bianco vessillo dai fiordalisi, che s'innalzava là, dove per sedici mesi era sventolato il tricolore, l’anima siciliana vinta, non doma, riprese il suo posto di combattimento nel mistero delle cospirazioni. E per dieci anni, vestale della libertà, alimentò nel segreto e tenne viva la lampada sacra della patria; alla quale, ostie volontarie, Nicolò Garzilli im­molò la dolce e pensosa giovinezza; la austera nobiltà, Francesco Bentivegna; la pugnace baldanza, Salvatore Spinuzza: nomi degni di perpetua ricordanza, quanto ogni altro, cui anche le storie per le scuole non man­cano di rendere onore.
Nessuna regione d'Italia stese in quei giorni una rete di cospirazioni così vasta, e pur così salda e così infaticabile, che da Palermo si stendeva a Messina, a Catania, a Trapani, ai minori centri dell'Isola, e, oltre­passando il mare, stendeva ancora i suoi fili a Malta, a Genova, a Torino, a Firenze, a Marsiglia, a Parigi, a Londra. Noi avemmo una emigrazione di grandi nomi e di gran cuori, sparsa da per tutto; la quale, stretta intorno a Mazzini o a Cavour, i due astri maggiori, poteva essere divisa da ideali di forme; ma era unita, oltre che dalla comune origine e dalla comune sorte, nell'ideale più urgente e più alto della liberazione dell'isola e della sua fusione con la patria italiana.
Qualunque tentativo o moto ideato o attuato in Si­cilia ebbe la sua preparazione contemporaneamente e concordemente nei comitati dell'isola, e in specie di Palermo, e in quelli dagli esuli costituiti dovunque si trovavano due siciliani.
È null'altro che una vanità attribuire a questo o a quello il vanto o la priorità di una iniziativa. Una era la mente, uno il cuore, uno il braccio; e questa unità era formata di tutte le menti, di tutti i cuori, di tutte le braccia della nostra gente, dovunque sparsa, vigile sempre nella speranza, incrollabile nella fede, indomita nell'insuccesso.
Per dieci anni la nostra rivoluzione fu un insuc­cesso materiale, e una lenta conquista morale: anche il moto del 4 aprile si presenta come un insuccesso; ma fu invece il cominciamento della vittoria: la sua prepa­razione era tale, che una prima sconfitta non avrebbe più potuto arrestare o allentare la marcia trionfale della rivoluzione. Essa ebbe un potente ausiliare nella polizia; che in nessun luogo e, forse, in nessun tempo fu così cieca, feroce e inumana contro il reato politico, come fra noi. Essa alimentò, coltivò, crebbe l'odio seminato da Ferdinando II, e lo accumulò sul capo di France­sco II; un re mite e umano, destinato, come Luigi XVI, a pagare i delitti compiuti dai suoi avi.
 
 
Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.
Pagine 575 - Prezzo di copertina € 24,00 - Sconto 15%

giovedì 12 gennaio 2017

Luigi Natoli: Chi l'uccise?


L’alba del dodici gennaio in piazza della Fieravecchia un numero sparuto di cittadini incominciava la rivolta. L’alba era fredda, e il cielo coperto di nubi, gli animi pieni di ansia nel vedere quei venti cittadini intorno a una bandiera tricolore, sparare un colpo di fucile. Era la rivoluzione che cominciava. Due ore dopo erano cento, e i colpi spesseggiavano in vari punti.
Maurizia fu svegliata improvvisamente dagli spari vicini, che la atterrirono, non sapendo a chi attribuirli. La sera innanzi la serva aveva portato a casa provviste di pane, di pasta, di legumi, di formaggi. Aveva domandato perché suo padre avesse ordinato tutta quella roba, e la serva aveva risposto:
- C’è la guerra, signorina: c’è la guerra!
Ora udiva le fucilate e si domandava se fossero i soldati quelli che sparavano; e stava trepida in ascolto. Fuori, nella piazza, la gente fremeva e ferveva; ella si affacciò nel balcone, e vide qualche cencio tricolore, e, più in là qualche uomo che incitava altri uomini ad armarsi. Rientrò subito; suo padre si aggirava per le stanze con le mani cacciate nelle tasche, il sigaro spento in bocca, gli occhi fissi sotto le sopracciglia aggrondate. Poi si fermava dietro i vetri del balcone e guardava la piazza, la via, la chiesa del Carmine. Tutto a un tratto disse a Maurizia:
- Vado per vedere di che si tratta...
 
 
 
Luigi Natoli: Chi l'uccise?
Un giallo ambientato nella Palermo del 1848.
Pagine 146 - Prezzo di copertina € 13,50

Luigi Natoli: Chi l'uccise? Un giallo ambientato nella rivoluzione del 1848

Palermo, 28 novembre 1847
 
Era una notte fosca, come sogliono essere nel cadere del mese di Novembre; le nuvole pesavano sui tetti delle case come una cappa di piombo. C’era un umidore freddo che trapassava le ossa. Di lontano, improvvisamente, nell’orizzonte un corrusco segnava fra le nubi un solco, e allora in un attimo apparivano nel cielo, mostruose, gigantesche, e più nere forme d’animali, che sembravano insidiare nell’ombra la terra. Non vi era allora illuminazione nella città, salvo pochi lumi a olio sparsi qua e là, nelle vie principali, che riflettevano in breve spazio una luce fioca e rossiccia. Pareva che da un momento all’altro dovesse mettersi a piovere.
Erano sonate allora allora due ore e mezza alla torre di San Nicolò e non c’era un’anima per la via, né un uscio aperto: solitudine e, squallore dappertutto, e nella spazzatura il rufolare e il ringhiare dei cani randagi. La piazza del Carmine, quella di Ballarò, la via dell’Albergheria e quella del Bosco, nel punto dove s’incontrano, prendevano luce da un solo fanale a olio di dubbio rossore, non offrendo la lampadina sospesa in alto sulla porta della Chiesa del Carmine innanzi alla Madonna, che un piccolo occhio rossiccio perduto nell’ombra.
In tanta solitudine s’udì a un tratto risonare il passo d’un uomo e il battere regolare di un bastone, che venivano dalla via Bosco. Quando fu giunto sotto il fanale, si vide colui che camminava. Era un uomo intabarrato e col collo sepolto in una sciarpa. Si fermò un istante, guardò una casa nella via del Bosco, crollò il capo, e borbottò qualche cosa fra sé, e proseguì verso l’Albergheria, ma non aveva percorso pochi passi, che si udì richiamare con voce rapida e concitata:
- Girolamo!
Egli si voltò, ma repentinamente un colpo di pistola tirato quasi a bruciapelo lo mandò per terra senza poter dire Gesù. Il colpo risonò nel silenzio notturno come una cannonata, e si propagò per tutta la contrada; ma nessuno uscì, non si socchiuse nessun balcone; pareva una città abbandonata, deserta. Il cadavere giaceva supino con le braccia spalancate, e un filo di sangue che s’andava allargando gli colava dal petto. Passò qualche minuto; un altro uomo, anche lui intabarrato, si avvicinò al caduto, e, chinatosi, lo spiò in viso e scoperse la ferita.
 
Luigi Natoli: Chi l'uccise?
Pagine 146 - Prezzo di copertina € 13,50

Luigi Natoli: L'eroina del 12 gennaio. Tratto da: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860


La mattina del 12 gennaio 1848, mentre scoppiavano le prime fucilate, e un pugno di giovani audaci, sfidava le truppe borboniche, fu vista una giovane donna percorrere le strade di Palermo, chiamando alle armi i neghittosi, spronando i timidi, e distribuendo coccarde tricolori.
 Sola, armata della sua bellezza, non paventando le armi, come sicura del destino, a quella rivoluzione scop­piata con cavalleresca puntualità aggiungeva un sapore di romanzo e di poesia.
Quella donna era Santa Diliberto, che rimasta ve­dova a venti anni, di un Astorina, e passata dopo non molto, in seconde nozze con Pasquale Miloro, uno dei cospiratori, era stata messa a parte dei segreti con­vegni; uscito il Miloro lo aveva seguito, con quelle coccarde.
Poche donne erano note come “donna Santuzza”. Ella doveva la sua notorietà a tre cose: la sua bellezza, la sua eleganza semplice ma originale, la sua bottega di guanti...
 
 
 
Luigi Natoli: Piccole storie nella grande - L'eroina del 12 gennaio.
Tratto da Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.
Prezzo di copertina € 24,00 - Sconto 15% - Pagine 525
Nella foto: Museo di Storia Patria - Palermo
 
 

Luigi Natoli: il 12 gennaio 1848, l'inizio della rivoluzione. Tratto da: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.


Il mese di gennaio 1848 entrava carico di foschi presentimenti; le agitazioni crescevano, le stampe rivoluzionarie si moltiplicavano; le spie riferivano al Prefetto di polizia che pel giorno 12 tutti sarebbero usciti con coccarde tricolori. Il luogotenente generale Di Maio chiudeva l’Università, rimandando nei paesi natali gli studenti. Ma la mattina del 9 apparvero sui muri, e furon distribuiti e spediti in gran numero nella provincia, foglietti a stampa che contenevano questo memorabile proclama: 
Siciliani, il tempo delle preghiere inutilmente passò. Inutili le proteste, le suppliche, le pacifiche dimostrazioni, Ferdinando tutto ha spezzato; e noi, popolo nato libero, ridotto fra le catene nella miseria, tarderemo ancora a riconquistare i legittimi diritti? – Alle armi, figli della Sicilia! la forza di tutti è onnipotente: l’unirsi dei popoli è la caduta dei re. – Il giorno 12 gennaio 1848 segnerà l’epopea gloriosa della universale rigenerazione. Palermo accoglierà con trasporto quei Siciliani armati che si presenteranno al sostegno della causa comune, a stabilire riforme e istituzioni conformi al progresso del secolo, volute dall’Europa, dall’Italia, da Pio. – Unione, ordine, subordinazione ai capi, rispetto a tutte le autorità e che il furto si dichiari tradimento alla causa della patria, e come tale sia punito. – Chi sarà mancante di mezzi sarà provveduto. – Con giusti principi, il cielo seconderà la giustissima impresa. – Siciliani, alle armi!” 
Questa sfida, che si credette lanciata da un Comitato e stampata dal tipografo Giliberti, era stata ideata e scritta da Francesco Bagnasco, causidico, di sua iniziativa.
Lo stesso giorno si diffondeva un Ultimo avvertimento al tiranno, e con termini energici si invitavano i Siciliani alle armi, pel 12 gennaio. Il Luogotenente Generale allora si scosse, e ordinò arresti; la notte stessa del 9 la polizia arrestò e fece chiudere nel Castello undici cittadini, tra i quali erano Francesco Ferrara, Francesco Paolo Perez ed Emerico Amari. Egli credeva avere posto le mani sui capi; ma a disingannarlo, il domani 10 apparve una dichiarazione firmata da un Comitato direttore che confermando la sfida, dava istruzioni alle squadre cittadine e delle campagne, prometteva capi ed armi, e metteva in guardia i cittadini contro le manovre della polizia.
All’alba del 12 poca gente disarmata uscì curiosa per le strade; un certo Vincenzo Buscemi, vedendosi il solo armato, credette ad un tradimento, e tirò la prima fucilata.
Sopraggiunsero altri nella piazza della Fieravecchia e fra essi Giuseppe La Masa armato, venuto da due giorni nascostamente da Firenze, che cominciò ad esortare i convenuti. Giovane, di bell’aspetto, con una pronuncia toscaneggiante, ignoto a tutti, fu creduto uno dei capi venuto dal Continente. Allora il giovane avvocato Paolo Paternostro, salì sulla fontana che orna la piazza, ed arringò la folla che si veniva facendo. Si gridò Viva Pio IX! Viva l’Italia! Viva la Sicilia!  Il La Masa scrisse un breve proclama, in nome di un Comitato provvisorio della Piazza d’armi della Fieravecchia, e improvvisò una bandiera legando un cencio bianco uno rosso e uno verde a una canna. Ma Santa Astorina, moglie di Pasquale Miloro, uno degli accorsi, portò una bandiera e coccarde tricolori preparate dal marito nella notte. Si cominciarono a sonare le campane a stormo. Gli insorti erano qualche centinaio e si divisero a squadre; avvenne uno scontro contro la cavalleria, e vi trovò la morte Pietro Omodei, il primo cittadino caduto. Se il Comando non avesse ritirato le truppe, avrebbe potuto troncare i pochi insorti, ma memore del 1820, forse temendo imboscate, non osò prendere una vigorosa offensiva, e segnò la sua condanna.
Un vero Comitato provvisorio della Piazza d’Armi, fu costituito in piazza Fieravecchia coi nomi del La Masa, di Giuseppe Oddo-Barone, barone Bivona, di Tommaso Santoro, di Salvatore Porcelli, di Damiano Lo Cascio, di Sebastiano Corteggiani, di Giulio Ascanio Enea, di Mario Palizzolo, di Pasquale Bruno, dei tre fratelli Cianciolo, di Giacinto Carini, di Rosario Bagnasco, di Leonardo Di Carlo, del principe di Villafiorita, di Giovanni Faija, di Rosolino Pilo, dei fratelli d’Ondes; ai quali poi si aggiunsero Salvatore Castiglia, Filippo Napoli, Ignazio Calona, Vincenzo Fuxa, il principe di Grammonte e qualche altro.
Il giorno dopo cominciarono ad arrivare le squadre dei dintorni, e si ripresero i combattimenti per espugnare i Commissariati e i posti avanzati, come quelli delle Finanze e della vicina gendarmeria. Intanto, essendo necessario provvedere ai bisogni della città e della rivoluzione, fu convocata, dal pretore marchese di Spedalotto, la municipalità con l’intervento dei membri del Comitato della Fieravecchia e di altri cittadini, e si convenne la costituzione di un grande Comitato, diviso in quattro Comitati minori, uno per la guerra e la sicurezza, presieduto dal Principe di Pantelleria, il secondo per l’annona, presieduto dal Pretore, il terzo per raccogliere le somme, presieduto dal marchese di Rudinì, il quarto per le notizie, la stampa, la propaganda, presieduto da Ruggero Settimo, il quale fu posto anche a capo del Comitato generale, con Mariano Stabile segretario. Si istituirono inoltre ospedali pei feriti nella Casa Professa dei Gesuiti e nei conventi di S. Domenico e Sant’Anna; il fiore dei medici offerse l’opera sua, gratuitamente. Due Commissioni, delle quali una di donne, attesero alla beneficenza...
 
 
Luigi Natoli: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860.
Tratto da: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.
Prezzo di copertina € 24,00 - Pagine 525 - Sconto 15%
 
 

Luigi Natoli: Gabriele Dara, il Berchet della rivoluzione del 12 gennaio 1848


Nel 1847 in un'ode a Pio IX, Gabriele Dara poetava: 

Quest'unico patto tra’ popoli e i re:
“Secura non fia d' Italia la sorte
se il seme perverso distrutto non è; 

In un'altra ode all'Italia: 

Esulta! Si appressa.... sonata è quell'ora
l' estremo momento dei Regi sono!

ed evocando il Genio di Roma aggiungeva:

Sull' Etna e sull'Alpe posate le piante
dal crin la corona ritoglie ai suoi re,
e in fascio raccolte le insegne fatali
le frange, e sdegnoso le calca col piè.

Ed ancora, il 4 gennaio, alla vigilia, si può dire, della rivoluzione:

Dei Regi la stella s'offusca e declina
di sangue la cinge un orrido velo
Oh gioia! già il trono minaccia ruina....
Un urto! e distrutto nel fango cadrà;
e sopra i rottami, dell' Italo cielo
il libero sole i rai stenderà.
 
 
 
Luigi Natoli: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860.
Tratto da: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.
Prezzo di copertina € 24,00 - Sconto 15% - Spedizione gratuita.
Nella foto: Museo di Storia Patria, Palermo.

 

Luigi Natoli: Il partito repubblicano nel 1848. Tratto da: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.


Gli storici siciliani della rivoluzione del 1848, mossi da non so quale paura, più della parola che della cosa, o non parlano o diminuiscono l’importanza delle mani­festazioni repubblicane, che non vi mancarono, negando perfino l'esistenza di un partito repubblicano, pel solo fatto che esso era scarsamente rappresentato in Parla­mento. E ciò, non ostante che più volte uomini di parte repubblicana, per la loro tutorità, fossero stati chiamati al governo.
Che un partito organizzato come lo intendiamo oggi non ci fosse, è vero: ma non è da maravigliarsene. Nel '48 le Camere non rappresentavano divisioni nette di partiti; v'erano certamente i più temperati a destra, e v'erano i più accesi a sinistra; ma poiché si era, e si fu, per tutti i sedici mesi in un periodo rivoluzionario, col nemico ai fianchi, e con la necessità impellente di costituirsi e assicurarsi l’indipendenza, il comune inte­resse offriva un terreno nel quale le frazioni del Par­lamento, anche senza preventivi accordi, si intendevano e procedevano insieme, superando le divergenze pro­grammatiche.
I repubblicani al Parlamento erano un piccolo gruppo, ma di prim'ordine; fuori del Parlamento erano più numerosi che non si creda. Michele Amari lo sto­rico, Giuseppe La Farina, Francesco Crispi, Vincenzo Errante, Giuseppe La Masa, Pasquale Calvi, Michele Bertolami, Giovanni Interdonato, Angelo Marrocco, Sa­verio Friscia e pochi altri alla Camera dei Comuni; e accanto a essi i simpatizzanti, come Paolo Paternostro, Francesco Ferrara, Gabriele Carnazza e altri più o meno, che sedevano a sinistra; fuori del Parlamento, Gabriele Dara, Carlo Papa, Pietro d'Alessandro, Rosolino Pilo, Francesco Milo-Guggino, Giorgio Tamaio, Rosario Ba­gnasco, Giuseppe Vergara-Craco, Carlo F. Bonaccorsi, Paolo Morello, Giovanni Corrao, Giuseppe Benigno, Giu­seppe Badia, poeti, scrittori, giornalisti, combattenti, e una folla di ignoti, che non mancava di manifestare i suoi sentimenti in foglietti anonimi, in poesiole. Ma i repubblicani non scrivevano soltanto nei gior­nali di lor parte; essi trovavano accoglienza – senza riserve – anche in altri giornali. L'Indipendenza e la Lega di Francesco Ferrara, il miglior giornale della Si­cilia e uno dei migliori che vedessero la luce in Italia in quei tempi, era preferito dagli scrittori repubbli­cani. Uno dei redattori più assidui era C. F. Bonaccorsi, amico del Mazzini, da lui conosciuto a Londra, e che avremo occasione di citare più innanzi. Quando non scrivevano sui giornali, mandavano intorno foglietti volanti. Uno ne ho sottocchio, che fra l'altro dice, parlando della rivoluzione siciliana: “...e chi sa se potrà smentire la comune sentenza che dalla schiavitù non possano i popoli destinarsi a liberissime istituzioni? E chi sa se tutto d'una sol voce proclamando il popolo il sacro nome di repubblica, diverrà la repubblica il pri­mitivo elemento della vita siciliana?”.
V’è un gruppo di poeti, e qualcuno degno di esser meglio conosciuto, che si possono dire i propagandisti dell'odio avverso la monarchia. Gl'inni stessi, esaltatori di vittoria o inci­tatori alla guerra, non si sottraggono a questo senti­mento: uno di essi, che io fanciullo sentivo ancora can­ticchiare da qualche vecchio del '48, aveva questa strofe, la sola che io ricordi:
Dall'Alpi allo Stretto
s' innalzi una voce;
si pianti la croce
sul trono dei re!
 Gabriele Dara, che, come dissi, era il Berchet della Sicilia, nei segreti convegni dei giovani leggeva le sue ardenti poesie, che, ricopiate si diffondevan celatamente.
 
 
 
Luigi Natoli: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860.
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Luigi Natoli: La Sicilia e il 1848. Tratto da: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano


Al 1848 la Sicilia fu italiana; come e quanto, se non più, le altre regioni. Come al 1860 volle e rese possibile l’unità nazionale con lo slancio della sua rivo­luzione, così al 1848 volle l'unione federale; e insorse prima di tutte per attuare questo programma.
Il 12 gennaio 1848, dopo l'audace sfida che rompeva gli indugi, Palermo insorse. Combattè per ventiquattro giorni, espugnando a una a una tutte le posizioni delle truppe regie, e respingendo i rinforzi venuti da Napoli col conte d'Aquila e il generale de Sauget. Ma Napoli non si mosse, non incoraggiò nè soccorse il fiacco moto di Salerno; non seppe o non potè; o non volle compro­mettersi.
Verso la fine di gennaio del 1848, un ignoto scrit­tore di foglietti volanti, annunziando la fuga del gene­rale Vial e delle truppe regie, e dicendo non rimanere altro a conquistare che il castello; conchiudeva con que­ste parole: “La deve sventolare l’italiana bandiera, e i naviganti della bella penisola, scoprendola di lontano grideranno: Ecco la patria nostra!”.
La patria nostra, l’Italia! Ecco quel che per l'ignoto scrittore significava il vessillo innalzato sul mastio del castello: e l’immagine lirica esprimeva tutto il pen­siero, tutto il sentimento, tutte le speranze della rivo­luzione siciliana.
La caduta della quale, pei grandi irreparabili er­rori dei suoi ministri e per l'atteggiamento infedele da prima, ostile poi, dei fratelli napoletani, precedette di quarantotto giorni quella di Roma, di tre mesi quella di Venezia: ma mentre a queste due città si rende la glo­ria e l'onore cui han diritto, sulla rivoluzione siciliana si è gittata l'ombra di un giudizio calunnioso, che, come tutte le calunnie, vi si è attaccato, ed è difficile liberar­nela. Ciò non toglie che sia dovere di storico onesto non ripeterlo, ma indagare la verità, perchè la sua luce disperda per sempre quell'ombra, e dia a ciascuno il suo.
 
 
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domenica 8 gennaio 2017

Luigi Natoli: La Sicilia e le idee di Giuseppe Mazzini.

Per avere un indice sicuro delle nuove idee bisogna venire alle Exscursions politiques del cavaliere Michele Palmieri di Miccichè, esule siciliano del 1820, annesse a un suo libro di memorie bizzarro e interessante, stampato a Parigi nel 1830, poco dopo la rivoluzione di luglio . Nelle quali memorie egli scriveva: “Da quando vivo, non odo dire che – Io son Romano, io son Napoletano, io son Lombardo, io son Piemontese, io son Siciliano – e mai io son Italiano. – Eh! miei cari compatrioti, sarebbe tempo di finirla. Pensate dunque che un’Italia grande e potente è esistita, e, se piace a Dio, essa potrà rinascere”.
Se non identici, presso che simili idee cominciavano a propagarsi fra i giovani di Sicilia, sia pel fervore con cui si leggevano Dante, Alfieri, il Foscolo e le storie del Botta, e si evocavano le grandi figure dell’antica storia patria; sia per le relazioni che tra i liberali nostri si stringevano – come testimonia Rosolino Pilo in una lettera al La Masa, – “coi liberali della penisola che... abbracciavano i principi della Giovine Italia” .
Si erano formati in Palermo, in Messina, in Catania, in Siracusa, come in Napoli, come altrove, dei gruppi di giovani liberali, che segretamente cospiravano, e che non si estraniavano dall’Italia; attratti in quel fervido lavorio che da Parigi, da Londra, da Malta convergeva i suoi sforzi sull’Italia: e la Sicilia fin da quei tempi era designata come la terra donde doveva partirsi la rivoluzione, non siciliana, ma italiana.
Giungeva anche qui la voce di Giuseppe Mazzini con le copie della Giovane Italia; e si trascriveva la sua lettera ai siciliani, sprone, ammonimento e invito; ma non creava un partito rigidamente unitario: fomentava sì il sentimento nazionale; ma i nostri lo armonizzavano con la loro storia: e la loro storia si compendiava in una parola: indipendenza. E però la formola politica che si maturava negli animi era quella suggerita da Michele Palmieri fin dal 1830 una confederazione di liberi stati italiani della quale la Sicilia avrebbe fatto parte come stato, non come provincia. Su questo principio nel 1838 Michele Amari scriveva, e Francesco Brisolese stampava alla macchia, onde ebbe a patirne prigionia, il Catechismo Siciliano; nel quale si può leggere questo periodo: “Grande e bello è il pensiero della unione di tutta l’Italia in uno Stato che sarebbe possentissimo quanto altro al mondo. Felici si vedrebbero ora gli Italiani, se, sin da 8 secoli, in qua delle Alpi non vi fosse stato che un impero. Ma come l’Italia da secoli è divisa in tanti piccoli stati...: impossibile la unione di tutte le provincie italiane...”. E perciò i rapporti che convenivano erano quelli della Federazione, nella quale “lietissima” la Sicilia sarebbe rientrata.
Le quali idee ribadiva nel 1846, pubblicando l’allora inedito Saggio storico sulla Costituzione del Regno di Sicilia di Niccolò Palmieri: nella prefazione al quale egli segnava quale, praticamente, doveva allora essere la soluzione del problema italiano, cui era connesso quello siciliano.
Comunque, si cospirava in Sicilia non più isolatamente; e tracce di questo lavoro di cospirazione e delle pratiche segrete che correvano fra la Sicilia e il continente si possono trovare spigolando gli epistolari, e attraverso le carte degli Archivi di Stato. Quelle dell’Archivio di Palermo rivelano la costante paura del governo, che sapeva, e ne metteva sull’avviso le autorità dell’isola, quel che Nicola Fabrizi, esule da Modena, faceva a Corfù – dove era allora; – segnalava i suoi sospetti su cantanti e viaggiatori che venivano dal continente, e che si supponevano agenti rivoluzionari; avvertiva la venuta di emissari della Giovine Italia; e delle intese e scambi fra i rivoluzionari di Francia con quelli di Spagna, e le relazioni fra questi e i Siciliani e gli esuli di Malta; e di una Rivista Straniera, della quale Palermo doveva essere uno dei centri di distribuzione.
 
 
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