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domenica 12 gennaio 2020

Luigi Natoli: Quel 12 gennaio 1848... Tratto da Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento

All’alba del 12 poca gente disarmata uscì curiosa per le strade; un certo Vincenzo Buscemi, vedendosi il solo armato, credette ad un tradimento, e tirò la prima fucilata.
Sopraggiunsero altri nella piazza della Fieravecchia e fra essi Giuseppe La Masa armato, venuto da due giorni nascostamente da Firenze, che cominciò ad esortare i convenuti. Giovane, di bell’aspetto, con una pronuncia toscaneggiante, ignoto a tutti, fu creduto uno dei capi venuto dal Continente. Allora il giovane avvocato Paolo Paternostro, salì sulla fontana che orna la piazza, ed arringò la folla che si veniva facendo. Si gridò Viva Pio IX! Viva l’Italia! Viva la Sicilia!  Il La Masa scrisse un breve proclama, in nome di un Comitato provvisorio della Piazza d’armi della Fieravecchia, e improvvisò una bandiera legando un cencio bianco uno rosso e uno verde a una canna. Ma Santa Astorina, moglie di Pasquale Miloro, uno degli accorsi, portò una bandiera e coccarde tricolori preparate dal marito nella notte. Si cominciarono a sonare le campane a stormo. Gli insorti erano qualche centinaio e si divisero a squadre; avvenne uno scontro contro la cavalleria, e vi trovò la morte Pietro Omodei, il primo cittadino caduto. Se il Comando non avesse ritirato le truppe, avrebbe potuto troncare i pochi insorti, ma memore del 1820, forse temendo imboscate, non osò prendere una vigorosa offensiva, e segnò la sua condanna.
Un vero Comitato provvisorio della Piazza d’Armi, fu costituito in piazza Fieravecchia coi nomi del La Masa, di Giuseppe Oddo-Barone, barone Bivona, di Tommaso Santoro, di Salvatore Porcelli, di Damiano Lo Cascio, di Sebastiano Corteggiani, di Giulio Ascanio Enea, di Mario Palizzolo, di Pasquale Bruno, dei tre fratelli Cianciolo, di Giacinto Carini, di Rosario Bagnasco, di Leonardo Di Carlo, del principe di Villafiorita, di Giovanni Faija, di Rosolino Pilo, dei fratelli d’Ondes; ai quali poi si aggiunsero Salvatore Castiglia, Filippo Napoli, Ignazio Calona, Vincenzo Fuxa, il principe di Grammonte e qualche altro. (n.d.e.: La lapide della foto, esposta al Palazzo Municipale di Palermo, ricorda tutti i nomi del Comitato)
Il giorno dopo cominciarono ad arrivare le squadre dei dintorni, e si ripresero i combattimenti per espugnare i Commissariati e i posti avanzati, come quelli delle Finanze e della vicina gendarmeria. Intanto, essendo necessario provvedere ai bisogni della città e della rivoluzione, fu convocata, dal pretore marchese di Spedalotto, la municipalità con l’intervento dei membri del Comitato della Fieravecchia e di altri cittadini, e si convenne la costituzione di un grande Comitato, diviso in quattro Comitati minori, uno per la guerra e la sicurezza, presieduto dal Principe di Pantelleria, il secondo per l’annona, presieduto dal Pretore, il terzo per raccogliere le somme, presieduto dal marchese di Rudinì, il quarto per le notizie, la stampa, la propaganda, presieduto da Ruggero Settimo, il quale fu posto anche a capo del Comitato generale, con Mariano Stabile segretario. Si istituirono inoltre ospedali pei feriti nella Casa Professa dei Gesuiti e nei conventi di S. Domenico e Sant’Anna; il fiore dei medici offerse l’opera sua, gratuitamente. Due Commissioni, delle quali una di donne, attesero alla beneficenza.
Le truppe regie, al comando del maresciallo Vial, sommavano a cinquemila uomini.
Il 15 intanto, su otto legni da guerra, giungevano altri cinquemila e più uomini sotto gli ordini del conte d’Aquila, fratello del Re, e del maresciallo De Sauget, che sbarcati al Molo cercarono di spingere collegamenti col Palazzo reale, ma ne furono impediti dagli insorti. Né altri tentativi, sebbene appoggiati dal bombardamento e dalle artiglierie, ebbero miglior fortuna. Le bombe recavano danni anche agli edifici privati; il 17 una di esse fece divampare un incendio nel Monte di Pietà di S. Rosalia, consumando i pegni della povera gente per oltre mezzo milione di nostre lire: onde i Consoli esteri, che avevano cercato invano di parlare col Luogotenente Generale a rischio della vita, protestarono con pubblico documento.
Intanto gl’insorti si erano impadroniti di alcuni Commissariati, e immobilizzavano le truppe del conte d’Aquila, che lasciato il comando al Di Sauget, se ne tornava a Napoli per riferire. 
Il 18, il generale Di Maio invitava il Pretore, marchese di Spedalotto, ad un abboccamento per evitare ulteriore spargimento di sangue. Il Pretore rispondeva sdegnosamente: “La città bombardata da due giorni, incendiata in un luogo che interessa la povera gente, io assalito a fucilate dai soldati, mentre col console d’Austria, scortato da una bandiera parlamentare mi ritiravo, i Consoli esteri ricevuti a colpi di fucile quando, preceduti da due bandiere bianche si dirigevano al Palazzo Reale, monaci inermi assassinati nel loro convento dai soldati, mentre il popolo rispetta, nutre e guarda da fratelli tutti i soldati presi prigionieri, questo è lo stato attuale del paese. Un Comitato Generale di pubblica difesa esiste; V.E. se vuole, potrà dirigere allo stesso le sue proposizioni”.
Di nuovo il 19 il Di Maio scriveva al Pretore, domandando quali fossero i desideri del popolo, che egli avrebbe subito fatto conoscere al Re, interessandolo frattanto a una sospensione d’armi. Il Pretore, trasmessa la lettera al Comitato e avutane risposta, la comunicava esprimendo essa l’universale pensiero: “Il popolo coraggiosamente insorto non poserà le armi, e non sospenderà le ostilità, se non quando la Sicilia, riunita in general Parlamento in Palermo, adatterà ai tempi quella sua Costituzione che, giurata dai suoi Re, riconosciuta da tutte le Potenze, non si è mai osato di togliere apertamente a questa Isola. Senza di ciò qualunque trattativa è inutile”. Ancora il Luogotenente Generale spediva al Pretore quattro decreti del re Ferdinando in data 18: il Re nominava il conte d’Aquila luogotenente generale, istituiva un Consiglio di Ministri, e richiamava in vigore i decreti del dicembre 1816. Ma i decreti erano respinti, e respinte le proposte del generale De Sauget, al quale si rispondeva che era ben noto il senso delle disposizioni date dal Re, che il popolo “con la sua sublime logica” aveva “inappellabilmente giudicate”. Si ripresero con maggior vigore i combattimenti. Il Comando Generale senza viveri, senza ospedali, senza mezzi, chiuso nella piazza del Palazzo, si vide costretto ad abbandonare la città e mettere in salvo le truppe. E nella notte del 26 il Di Maio, il comandante generale Vial e gli altri generali, precedendo le truppe, fuggirono per imbarcarsi nelle spiagge orientali. Nella marcia le truppe si vendicarono della sconfitta incendiando villaggi e assassinando; ma inseguite dai contadini, la marcia si mutò in fuga.
Ma prima di andarsene, il Governo borbonico apriva le porte delle carceri e riempiva la città di migliaia di malfattori.
Fra il cadere di gennaio e i primi del febbraio seguente, tutta la Sicilia seguiva il moto di Palermo, e dava mirabile spettacolo di unione, di affratellamento…


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento. 
Raccolta degli scritti storici e storiografici dell'autore inerenti il Risorgimento siciliano dai documenti originali.
Il volume comprende: 
La rivoluzione siciliana nel 1860 - narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana nel 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento" 1938)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto da "La Sicilia nel Risorgimento italiano" 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità 1927)
Pagine 546 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina: Niccolò Pizzorno.
Disponibile presso La Feltrinelli libri e musica
Disponibile su Amazon Prime
Disponibile su Ibs e in tutti i siti vendita online. 

Luigi Natoli: Così entrò gennaio nel 1848... Tratto da: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento

Il mese di gennaio 1848 entrava carico di foschi presentimenti; le agitazioni crescevano, le stampe rivoluzionarie si moltiplicavano; le spie riferivano al Prefetto di polizia che pel giorno 12 tutti sarebbero usciti con coccarde tricolori. Il luogotenente generale Di Maio chiudeva l’Università, rimandando nei paesi natali gli studenti. Ma la mattina del 9 apparvero sui muri, e furon distribuiti e spediti in gran numero nella provincia, foglietti a stampa che contenevano questo memorabile proclama:
“Siciliani, il tempo delle preghiere inutilmente passò. Inutili le proteste, le suppliche, le pacifiche dimostrazioni, Ferdinando tutto ha spezzato; e noi, popolo nato libero, ridotto fra le catene nella miseria, tarderemo ancora a riconquistare i legittimi diritti? – Alle armi, figli della Sicilia! la forza di tutti è onnipotente: l’unirsi dei popoli è la caduta dei re. – Il giorno 12 gennaio 1848 segnerà l’epopea gloriosa della universale rigenerazione. Palermo accoglierà con trasporto quei Siciliani armati che si presenteranno al sostegno della causa comune, a stabilire riforme e istituzioni conformi al progresso del secolo, volute dall’Europa, dall’Italia, da Pio. – Unione, ordine, subordinazione ai capi, rispetto a tutte le autorità e che il furto si dichiari tradimento alla causa della patria, e come tale sia punito. – Chi sarà mancante di mezzi sarà provveduto. – Con giusti principi, il cielo seconderà la giustissima impresa. – Siciliani, alle armi!” 

Questa sfida, che si credette lanciata da un Comitato e stampata dal tipografo Giliberti, era stata ideata e scritta da Francesco Bagnasco, causidico, di sua iniziativa.
Lo stesso giorno si diffondeva un Ultimo avvertimento al tiranno, e con termini energici si invitavano i Siciliani alle armi, pel 12 gennaio. Il Luogotenente Generale allora si scosse, e ordinò arresti; la notte stessa del 9 la polizia arrestò e fece chiudere nel Castello undici cittadini, tra i quali erano Francesco Ferrara, Francesco Paolo Perez ed Emerico Amari. Egli credeva avere posto le mani sui capi; ma a disingannarlo, il domani 10 apparve una dichiarazione firmata da un Comitato direttore che confermando la sfida, dava istruzioni alle squadre cittadine e delle campagne, prometteva capi ed armi, e metteva in guardia i cittadini contro le manovre della polizia. 



Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento. 
Raccolta degli scritti storici e storiografici dell'autore inerenti il Risorgimento siciliano dai documenti originali.
Il volume comprende: 
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Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità 1927)
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Luigi Natoli: Quel 12 gennaio 1848... - Tratto da: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento

Il 12 gennaio 1848, dopo l’audace sfida che rompeva gli indugi, Palermo insorse. Combattè per ventiquattro giorni, espugnando a una a una tutte le posizioni delle truppe regie, e respingendo i rinforzi venuti da Napoli col conte d’Aquila e il generale de Sauget. Ma Napoli non si mosse, non incoraggiò nè soccorse il fiacco moto di Salerno; non seppe o non potè; o non volle compromettersi. Gli storici siciliani della rivoluzione del 1848, mossi da non so quale paura, più della parola che della cosa, o non parlano o diminuiscono l’importanza delle manifestazioni repubblicane, che non vi mancarono, negando perfino l’esistenza di un partito repubblicano, pel solo fatto che esso era scarsamente rappresentato in Parlamento. E ciò, non ostante che più volte uomini di parte repubblicana, per la loro tutorità, fossero stati chiamati al governo.
Che un partito organizzato come lo intendiamo oggi non ci fosse, è vero: ma non è da maravigliarsene. Nel ‘48 le Camere non rappresentavano divisioni nette di partiti; v’erano certamente i più temperati a destra, e v’erano i più accesi a sinistra; ma poiché si era, e si fu, per tutti i sedici mesi in un periodo rivoluzionario, col nemico ai fianchi, e con la necessità impellente di costituirsi e assicurarsi l’indipendenza, il comune interesse offriva un terreno nel quale le frazioni del Parlamento, anche senza preventivi accordi, si intendevano e procedevano insieme, superando le divergenze programmatiche. I repubblicani al Parlamento erano un piccolo gruppo, ma di prim’ordine; fuori del Parlamento erano più numerosi che non si creda. Michele Amari lo storico, Giuseppe La Farina, Francesco Crispi, Vincenzo Errante, Giuseppe La Masa, Pasquale Calvi, Michele Bertolami, Giovanni Interdonato, Angelo Marrocco, Saverio Friscia e pochi altri alla Camera dei Comuni; e accanto a essi i simpatizzanti, come Paolo Paternostro, Francesco Ferrara, Gabriele Carnazza e altri più o meno, che sedevano a sinistra; fuori del Parlamento, Gabriele Dara, Carlo Papa, Pietro d’Alessandro, Rosolino Pilo, Francesco Milo-Guggino, Giorgio Tamaio, Rosario Bagnasco, Giuseppe Vergara-Craco, Carlo F. Bonaccorsi, Paolo Morello, Giovanni Corrao, Giuseppe Benigno, Giuseppe Badia, poeti, scrittori, giornalisti, combattenti, e una folla di ignoti, che non mancava di manifestare i suoi sentimenti in foglietti anonimi, in poesiole.