I volumi sono disponibili dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it. (consegna a mezzo corriere in tutta Italia) Invia un messaggio Whatsapp al 3894697296, contattaci al cell. 3457416697 o alla mail: ibuonicugini@libero.it
In vendita su tutti gli store online. In libreria a Palermo presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour 133), La nuova bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Nuova Ipsa Editori (Piazza Leoni 60), Libreria Zacco (Corso Vittorio Emanuele 423) Libreria Nike (Via Marchese Ugo 56) Libreria Macaione Spazio Cultura (Via Marchese di Villabianca 102)

domenica 11 febbraio 2024

Luigi Natoli: La Costituzione siciliana nel 1812 e quel che accadde al Congresso di Vienna nel 1815. Tratto da: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo.

La nuova Costituzione, sanzionata dal Re nel febbraio del 1813, dopo affermata che religione di Stato era cattolica, distingueva i tre poteri: il legislativo, esercitato esclusivamente dal Parlamento, l’esecutivo dal Re per mezzo dei ministri, il giudiziario indipendente dall’uno e dall’altro. Il Parlamento era composto di due Camere, quella dei Pari e quella dei Comuni: quella dei Pari era formata di centottantacinque deputati, di cui sessantuno spirituali; quella dei Comuni di centocinquantaquattro deputati eletti dai collegi, e non vi potevano avere voto gli analfabeti. Il Re aveva facoltà di convocare o di sciogliere il Parlamento, però doveva convocarlo ogni anno. La successione era regolata secondo la legge salica.
La stampa libera, salvo che in materia religiosa doveva ottenere il permesso dell’autorità ecclesiastica. Aboliti i feudi e le angherie introdotte d’autorità dai feudatari, gli usi civici introdotti dai Comuni e dai privati; riformato il codice penale e la relativa procedura, e questi scritti in italiano: abolita la tortura, riordinata la magistratura, creata una corte d’Appello una Cassazione, abolite le dogane interne, ecc. Ma due cose vogliamo rilevare particolarmente, perché in appresso diventano oggetto di controversia insanabile: il divieto di tenere in Sicilia le milizie napoletane e straniere senza consenso del Parlamento, e all’art. 8 l’aggiunta che, se il Re avesse riconquistato il regno di Napoli, doveva mandare o lasciare in Sicilia il suo primogenito, cedendogliene “il regno indipendente da quello di Napoli o da qualunque altro in provincia”. Il che era sanzionato dal Re col decreto del 25 maggio 1813, ed era patto fondamentale, che giustificò le rivoluzioni di poi. Comunque era questo il primo statuto costituzionale che appariva in Italia.
Così stavano le cose quando a un tratto, il 9 marzo, il Re, per suggerimento della Regina, lasciata la Ficuzza, comparve alla Favorita, per rientrare in Palermo, e riprendere il potere.
La caduta di Napoleone mutava l’indirizzo della politica generale. Lord Bentik fu richiamato in Inghilterra.
Si apriva intanto il Congresso di Vienna: il principe di Belmonte, temendo per la Costituzione, partì per perorare la causa siciliana, ma a Parigi morì. E in quel momento fu una grave perdita, perché la Sicilia non venne difesa a quel Congresso. Il 18 luglio il Re mutato il Ministaro riaprì il Parlamento; Ministero e Pari si unirono per domandare al Re lo scioglimento della Camera dei Comuni: l’ottennero, e furono eletti deputati reazionari. Nulla fece la nuova Camera, destinata a seppellire senza onori la Costituzione.
Gli avvenimenti europei incalzavano; la fuga di Napoleone dall’isola d’Elba, i Cento giorni, Waterloo, la caduta irreparabile del Colosso, si succedettero rapidamente. I vecchi governi assoluti, liberi oramai da ogni minaccia, si posero a rifare la carta d’Europa, illudendosi di cancellare quelle che erano le conquiste della coscienza civile. Ferdinando, prevedendo la catastrofe, il 30 aprile 1815 convocato il Parlamento e pronunciatovi un discorso minaccioso per la Costituzione, fece votare considerevoli somme per una spedizione nel Napoletano. Indi, prorogato sine die il Parlamento, sciolta la Camera, nominato il principe ereditario luogotenente generale, partì dalla Sicilia ed entrò in Napoli il 4 giugno. Nello stesso tempo scelse una commissione di diciotto membri, alla quale diede nuove istruzioni in trenta articoli, per riformare la Costituzione. Cominciarono i decreti di unificazione, che mostrarono chiaramente a che cosa il Re mirasse. Allora si ricorse alla protezione inglese. Qui apparve quanto sia illusorio e pericoloso fidare nella protezione degli stranieri, e quanta ironica sia la loro amicizia. Caduto Napoleone, il Gabinetto inglese non aveva più bisogno della Sicilia e di essa si disinteressò completamente.
Il Congresso di Vienna intanto riconfermava Ferdinando “Re del Regno delle due Sicilia”, ed egli col decreto dell’8 dicembre 1816 unificava i due regni in uno solo, e prendeva nome Ferdinando I. Egli era logico, e capiva che non poteva essere re assoluto in Napoli e costituzionale in Sicilia. Ma i Siciliani che per dieci anni lo avevano alloggiato e mantenuto, videro che erano spogliati dei loro diritti, per fare della Sicilia una provincia.
Ferdinando, col decreto del 14 ottobre, divise la Sicilia in sette provincie, e tolse ogni privilegio che aveva questa o quella città, volle amministrata ogni provincia da un intendente che corrisponderebbe al nostro prefetto, con un consiglio di cinque membri; suddivise ogni provincia in distretti con a capo un sotto-intendente; ogni comune, aboliti i consigli civici, era amministrato da un decurionato, da un sindaco e da due eletti, eccettuate Palermo, Messina e Catania, che conservarono ancora il loro senato, oltre i decurioni. Tutti questi funzionari erano di nomina regia.
La rivoluzione del 1812 era stata parlamentare e aristocratica, perché vi mancò il concorso di una borghesia fortemente organizzata: le classi medie, che v’entrarono per rappresentare i Comuni, non costituirono una maggioranza; parte, per ragioni di clientela, seguì il baronaggio, parte per combatterlo si appoggiò alla Corte. Il popolo vi fu estraneo. Le maestranze avevano coscienza di corporazioni gelose dei propri privilegi, non visione politica: il solo punto in cui s’incontravano con la borghesia era l’indipendenza dell’Isola, per forza di tradizione.
Tuttavia, qualcosa era penetrata negli animi...


Luigi Natoli: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo. 
Il volume è la fedele riproduzione dell'opera originale pubblicata dalla casa editrice Ciuni nel 1935 e si divide in sette parti o "Libri": Libro Primo (dalla preistoria alla conquista bizantina) Libro Secondo (dai Bizantini alla conquista Normanna) Libro Terzo (dalla nascita del Regno di Sicilia al Vespro siciliano) Libro Quarto (la Sicilia sotto gli Aragona) Libro Quinto (dai re di Casa d'Austria alle guerre di successione) Libro Sesto (Il dominio dei Borboni) Libro Settimo (Il Risorgimento). Il volume si conclude con la Bibliografia delle principali fonti consultate dall'autore e dall'Indice analitico dei luoghi e delle persone.
Copertina di Niccolò Pizzorno. 
Disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia. 
Su tutti gli store di vendita online e in libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Forense (Via Maqueda 185), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Macajone (Via M.se di Villabianca 102). 


Luigi Natoli: Carlo Cottone, principe di Castelnuovo e autore della Costituzione del 1812. Tratto da: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo

Il Regno era afflitto da mali che derivavano dalla vecchiezza della sua costituzione, e così costituito com’era, il Parlamento nulla poteva per rimediare a tanti mali. Le sue attribuzioni erano limitate a votare i donativi e a domandar per grazia al Re, ciò che avrebbe dovuto esser suo diritto deliberare, e che poteva essere, e spesso gli era negato. Per queste e per altre ragioni, tra il ceto dei nobili e dei curiali che ambivano cose nuove per risollevare le popolazioni, s’era venuta formando una corrente contraria alla Corte, alla quale dava fomite la condotta di Maria Carolina, nemica dei Siciliani, che pur le fornivano i mezzi per essere ancora regina. Si aggiunga lo sperpero che la Corte faceva del denaro pubblico, e l’avere preso denaro dal Banco di Palermo e dal Monte di Pietà, per cui un conflitto era inevitabile. Ma tra la Corte e il Parlamento c’era questa volta l’Inghilterra.
La Sicilia per quanto esausta aveva già fatto un grande sforzo per offrire le somme richieste dal Re, quando il 15 febbraio 1810 fu convocato il Parlamento. A capo dell’opposizione era Carlo Cottone, principe di Castelnuovo, carattere adamantino, e il suo nipote Giuseppe Ventimiglia, principe di Belmonte, giovane d’ingegno, nutrito di studi, ricco di conoscenze apprese nei viaggi, eloquente, orgoglioso. 
Il braccio feudale si oppose alle richieste del Re, e il principe di Belmonte propose una riforma tributaria suggerita dall’economista Paolo Balsamo; di abolire cioè i donativi, fare un nuovo catasto, e imporre una tassa unica del 5 per cento su tutte le proprietà feudali e allodiali; e un’altra tassa minima sui consumi, sui cavalli di lusso, ecc. abolendo quella odiosa sul macinato. Questa proposta, non ostante i raggiri della Corte, fu approvata; ma la Corte, che potè aver solo i donativi ordinari, ne ebbe gran dispetto. Il Re, per consiglio di una Giunta, sanzionò gli atti, rimandando ad altro Parlamento la rettifica delle imposte, indi mutò il ministero, nominandovi persone avverse alla Sicilia e alle sue istituzioni, e riconvocato il Parlamento, con un decreto del 14 febbraio 1811, imponeva una tassa dell’un per cento su tutti i pagamenti e anche su tutti i passaggi di Banco. Ottenne anche il donativo di altre 150.000 onze. Questa era una violazione delle leggi fondamentali del Regno, per le quali soltanto il Parlamento aveva potestà di imporre tasse e balzelli. 
Insorgendo contro questa violazione, quarantatrè baroni rivolsero una rimostranza alla Deputazione del Regno, cui spettava la tutela e la difesa delle leggi patrie. Il Re naturalmente domandò alla Deputazione il suo parere, e questa dichiarò servilmente che l’imposta non ledeva i Capitoli del Regno. Forte di questo parere, la Regina per vendicarsi della resistenza dei baroni, ottenne in Consiglio di Stato che almeno i cinque ritenuti capi, fossero la stessa notte, che fu il 19 luglio, arrestati, ed essi sorpresi dalle milizie, furono imbarcati sul Tartaro. Questi furono i principi di Belmonte, di Castelnuovo, di Villafranca, di Aci e il duca d’Angiò. I primi due furono sbarcati a Favignana, il Villafranca a Pantelleria, l’Aci a Ustica, l’ultimo a Marettimo: tutti furon chiusi nei forti delle isole come perturbatori. Nel Consiglio qualcuno aveva proposto la morte.
Il giorno dopo giungeva a Palermo il nuovo ministro plenipotenziario inglese, lord Bentik, nominato anche comandante delle truppe d’occupazione, che prese apertamente la difesa dei Siciliani, e fattosi forte per l’appoggio di Londra e con la forza di quattordicimila uomini, impose l’abolizione della tassa dell’un per cento, il richiamo dei baroni e l’allontanamento della Regina dal governo. Allora il Re, eletto Vicario generale il principe ereditario Francesco, si ritirò nel suo parco della Ficuzza; il principe Vicario fece tutto quello che volle lord Bentik e che era conforme alla legge.


Luigi Natoli: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo. 
Il volume è la fedele trascrizione dell'opera originale pubblicata nel 1935 con lo pseudonimo di Maurus. 
Il volume si divide in sette parti o "Libri":  Libro Primo (dalla preistoria alla conquista bizantina) Libro Secondo (dai Bizantini alla conquista Normanna) Libro Terzo (dalla nascita del Regno di Sicilia al Vespro siciliano) Libro Quarto (la Sicilia sotto gli Aragona) Libro Quinto (dai re di Casa d'Austria alle guerre di successione) Libro Sesto (Il dominio dei Borboni) Libro Settimo (Il Risorgimento). Il volume si conclude con la Bibliografia delle principali fonti consultate dall'autore e dall'Indice analitico dei luoghi e delle persone.
Disponibile: 
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su tutti gli store di vendita online e in libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi), Libreria Forense (Via Maqueda 185), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60)

Luigi Natoli: Francesco Paolo Di Blasi, il giurista che nel 1789 voleva proclamare la repubblica in Sicilia. Tratto da: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascimo.

Scoppiava la rivoluzione francese, che scuoteva dai cardini gli ordinamenti ancora medioevali della società, e gettava le fondamenta di un nuovo diritto pubblico. Le monarchie ne erano sgomente. La Corte di Napoli, assolutista, arrestò quel moto di riforme, che lentamente andava rinnovando lo Stato, più e meglio in Napoli, che in Sicilia, dove ostava la tenace resistenza dell’istituto parlamentare. La politica estera ondeggiò fra le paure, e le incertezze: si temettero moti interni; ogni aspirazione liberale fu detta giacobinismo; il sospetto guidò gli atti a una reazione. Tre giovani furono nel 1793 impiccati a Napoli, non rei che di innocua simpatia; ma più serio pericolo provocarono in Palermo altre condanne.
Già erano entrate le dottrine rivoluzionarie con la massoneria che aveva logge in Palermo, in Messina, in Catania, in Siracusa e nei minori centri; onde vi furono arresti, prigionie, processi, le cui carte si trovano ancora nell’Archivio di Stato. 
Vittima più illustre però fu l’avvocato Francesco Di Blasi, cadetto di nobile famiglia, dotto, autore di opere pregiate, giurista, che imbevuto delle dottrine rivoluzionarie, attirati alcuni giovani, fra cui dei militari, tutti della borghesia e delle maestranze, cospirò per abbattere il Governo, e proclamare la repubblica in Sicilia, fidando più nella generosità delle idee, che nella sicurezza dei mezzi. Doveva la rivolta scoppiare nella Settimana Santa del 1795, reggendo la Sicilia l’arcivescovo Lopez y Rojo, successo al Caramanico, improvvisamente morto: ma un delatore, certo Teriaca, avvertì l’Arcivescovo e il Comandante delle Armi, generale Walmoden. Il Di Blasi e i compagni furono arrestati e sottoposti a giudizio: egli, torturato, non accusò che sé stesso. Fu condannato con Giulio Tenaglia, Benedetto La Villa e Bernardo Palumbo; egli ebbe mozzato il capo, gli altri furono impiccati, il 31 di maggio nel piano di S. Teresa, oggi Indipendenza, tra lo squallore della città, e sotto la minaccia delle artiglierie del Palazzo. Prima di andare al supplizio il Di Blasi scrisse due sonetti. Furono essi i primi caduti per le nuove idee nel regno di Sicilia.
Gli eccessi e le carneficine del Terrore e più il vilipendio della religione avevano suscitato nel clero di Sicilia e nelle popolazioni un grande orrore pei “giacobini”, i quali erano rappresentati come belve, nemici delle cose più sante: donde l’odio aumentato dalla tradizionale avversione pei francesi, che strinse la Sicilia intorno al trono. Cosicchè, calati i francesi in Italia, e temendo il Re un’invasione, l’Isola non fu sorda alle richieste di uomini e di denari. I grandi feudatari levarono milizie, le città offrirono le somme che poterono. Né la pace segnata fra il re Ferdinando e la Repubblica francese nel 1796 dissipò i timori.
Son note le vicende del regno di Napoli in quegli ultimi anni del secolo: la rottura della pace nel 1798, richiese nuovi sacrifici ai due Regni: si requisì l’oro e l’argento dei privati, che però non risposero tutti, pavidi di non esserne ricompensati.
Riaccesa la guerra con la Francia, re Ferdinando occupò guasconescamente Roma; ma i suoi eserciti, furono sconfitti ed egli ritornò rapidamente a Napoli; imbarcatosi la notte del 23 dicembre sul Vanguardia, vascello della squadra inglese, con la famiglia, la corte, l’ambasciatore britannico e le opere d’arte più pregiate, salpò per Palermo. Dopo una tempestosa traversata, nella quale morì il figlioletto Alberto, vi giunse la notte del 25, improvvisamente. La notizia, diffusasi per la città, destò commozione. Accolto con applausi, sbarcò prima il Re, e il giorno dopo verso sera la Regina. I Sovrani subito si misero all’opera per fortificare la Sicilia e riconquistare il regno perduto, mentre a Napoli entravano i Francesi, e vi istituivano la Repubblica Partenopea.


Luigi Natoli: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo. 
L'opera è la fedele trascrizione del volume originale pubblicato nel 1935 con lo pseudonimo di Maurus.
Copertina di Niccolò Pizzorno. 
Disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su tutti gli store di vendita online e in libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15) Libreria Forense (Via Maqueda 185), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60) Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102)