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martedì 18 giugno 2019

Luigi Natoli: La strage borbonica del 03 settembre 1848 a Messina. Tratto da: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1848 e altri scritti storici sul Risorgimento

Messina contrastò per cinque giorni il passo alle regie truppe, in una difesa disperata ed eroica, nella quale rifulgono esempi di eroismo; che dovrebbe porla, per lo meno accanto a quella di Brescia, se i narratori di storia rendessero giustizia alle nostre vicende. Essa non cedette, se non quando era ridotta un cumulo di macerie, le sue artiglierie insufficienti smantellate, consumate le ultime cartucce; straziati gli inermi con crudeltà efferate. E il Tempo e i miserabili giornali assoldati dal governo, che avevano aizzato prima, gongolavano ora alle notizie delle “vittorie” dei regi: ma altri giornali ne piangevano(81). Le barbarie furon fatte cessare dall’energico intervento degli ammiragli Parker e Baudin: ma l’eco se ne diffuse dovunque. Il 23 settembre il comitato centrale della società per la confederazione italiana, adunatosi a Torino, lanciava la sua protesta.
“Le scene di sangue e di sterminio, colle quali il re di Napoli ha or compiuto l’eccidio dell’eroica città di Messina, e i deplorabili tentativi coi quali non cessa di pretendere che la Sicilia sia ricondotta alla schiavitù, pongono la Società Nazionale nel dovere di appellarne alla forza della pubblica opinione, manifestando ai popoli e ai governi d’Italia la dolorosa impressione che essa ne ha risentita.
“Un rapido sguardo sopra le origini di tanta lotta, giustificherà pienamente il giudizio che la Società crede formarne, allorchè si dichiara affatto convinta che stanno in favore della Sicilia i più rispettabili titoli, sui quali un popolo possa mai appoggiare la domanda della propria indipendenza”.
Dopo aver esposto la storia della fusione di Napoli e Sicilia, e del tradimento perpetrato a danno di questa; dopo di aver affermato il diritto dei popoli di ribellarsi contro una crudele oppressione; tanto più, quando questa si fonda sulle “ambigue frasi del congresso di Vienna oramai esacrato nel mondo e cancellato dal diritto pubblico d’Europa”, e dopo aver riconosciuto che la Sicilia fu la prima a proclamare il vincolo federale, conclude: “Gli uomini i cui consigli han gareggiato in barbarie colle tendenze del loro re; gli uomini che ne han tanto degenerato la truppa e insozzato la bandiera; gli uomini che han mascherato di rancor nazionale e convertito in guerra sterminatrice ciò che era appena una miserabile pretesa di usurpazione dinastica; gli uomini che per accattare un sorriso di corte han gittata la desolazione in una delle più benemerite fra le italiane contrade; costoro porteranno sulla loro coscienza l’enorme responsabilità dell’uno fra i più gravi attentati che il cittadino d’Italia possa mai commettere contro la patria”. Questa protesta votata alla unanimità portava le firme del conte Luigi Sanvitale, del generale Racchia, di Francesco Freschi, Francesco Ferrara, Domenico Carutti, Antonio Gallenga(82). 


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Luigi Natoli: La spedizione del generale Filangeri di Satriano nel 1848. Tratto da: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860.

La spedizione in Sicilia, capitanata dal generale Filangeri di Satriano, fu allestita alla chetichella: il governo trovò il denaro; e gli ufficiali e i soldati quell’ardore combattivo, che non avevano avuto sulle rive del Po. La camera dei deputati non ne fu intesa; del resto nessun deputato interrogò il governo sulla quistione siciliana, ed appena se ne fece un cenno fuggevole e piuttosto amichevole nell’indirizzo di risposta al discorso della corona. Nella camera dei pari, il 5 agosto il principe di Strongoli, addebitava al primo ministro Bozzelli la condotta politica e militare verso la Sicilia, e al ministero attuale il non aver saputo ispirare nei Siciliani speranza di conciliazione: ma il principe di Torella, ministro, dichiarava di non poter rispondere su quanto riguardava la Sicilia, perchè era un segreto(77).
Il segreto era l’apparecchiarsi della spedizione: intanto i suoi agenti propalavano strepitose notizie: che il governo era disposto a mettere a disposizione dell’indipendenza italiana i mezzi preparati per riacquistare la Sicilia, se gli stati italiani si coordinassero subito in lega e assicurassero al regno “il quieto possesso della Sicilia, e più, a cose finite, la Sardegna e la provincia beneventana”(78). Ovvero che Ferdinando era disposto a concedere l’indipendenza alla Sicilia, se i siciliani avessero annullato l’elezione di Alberto Amedeo a loro re, ed eletto un principe borbonico. Fandonie. Il Governo apparecchiava la guerra. E i napoletani lasciavan fare. Pochi mesi prima, il Nazionale, illuso, aveva scritto: “La Sicilia sia certa che il popolo napoletano non patirà mai che si faccia aggressione contro i fratelli di Sicilia. Quando lo straniero sarà ricacciato oltr’Alpi, quando i popoli italiani saranno chiamati a formare definitivamente i comuni destini, gl’interessi di Napoli e di Sicilia non potranno essere opposti. Tutti ci troveremo Italiani, e non altro che Italiani”. Vane speranze, come vane eran quelle dei Siciliani che esortavano Carlo Alberto, il granduca di Toscana e il papa per persuadere il Borbone a una tregua, sì che le forze congiunte di tutti gli Italiani potessero convergersi nella guerra nazionale di indipendenza. Le nostre voci non erano raccolte:(79) un foglio volante esprimeva tutta l’amarezza dei Siciliani: quando essi si battevano per la loro indipendenza, la calunnia l’accusava di volersi separare dall’Italia. “Allora si gridava: – la Sicilia non vuol essere con noi” – ora che essa invocava aiuto “si grida: – Noi non possiamo essere con la Sicilia”(80).
La spedizione partiva il 30 agosto, sbarcava a Bagnara il 1 settembre; quel giorno stesso un decreto reale chiudeva il Parlamento. Il 3 settembre Messina era assalita: e l’Epoca di Roma scriveva: “I mali si accumulano su questa povera sventurata Italia. Napoli spinge le sue forze armate, il suo esercito contro la Sicilia. Quelle truppe che non potevano, non dovevano spingersi contro l’aborrito straniero, quelle truppe, sono spinte contro i fratelli. Quelle armi che il tradimento più infame deviava dal petto dell’Austriaco al momento in cui esse erano brandite e lanciate contro esso, quelle armi ora son volte omicide contro gl’Italiani. Ecco cosa ha fatto per l’Italia quel miserabile, quell’iniquo ministro Bozzelli!”.


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venerdì 14 giugno 2019

Luigi Natoli: Ignazio Zappalà piccolo garibaldino. Tratto da: I più piccoli garibaldini nel 1860

Narra Alberto Mario, che nel settembre del 1860, Garibaldi, ritornato improvvisamente da Napoli per troncare le mene del Depretis, e nominare prodittatore Antonio Mordini, volle passare in rivista il “Battaglione degli adolescenti”. Erano costoro i giovanetti, che istituiti in battaglione con decreto di Garibaldi del 22 giugno di quell’anno, erano stati acquartierati nell’Ospizio di Beneficenza, per formare con essi dei sottouffiziali, e alla cui direzione era preposto il Mario. L’articolo 7 del Regolamento prescriveva che non potevano esservi ammessi “adolescenti minori di anni 10 e maggiori di anni 17”. Erano dunque ragazzi.
Avvenne la rivista. Erano questi adolescenti più d’un migliaio, quasi tutti palermitani, che stavano disciplinati, rigidi come vecchi soldati; ma il fascino di Garibaldi trasfigurava le ancor tenere sembianze in immagini di lioncelli. Egli disse al Mario: “Fatemi un paio di battaglioni di questi giovanetti: ho visto a Milazzo come si battono e voglio condurli con me”.
I battaglioni garibaldini allora si componevano da 200 a 600 uomini; comunque furono pronti, e partirono; erano i più di 17 anni, ma ve n’erano anche di 16, di 15 e perfino di 14 anni. E il 1 ottobre si batterono. Gli elogi che dei Siciliani tesserono spontaneamente i generali Dezza, Avezzana, Bixio, Türr, e Bixio anche alla Camera, vanno pure a questi piccoli garibaldini.
Ma il Generale fece un’allusione a Milazzo. Infatti ve ne furono che, fuggiti o dall’Ospizio o dalla casa paterna, seguirono i garibaldini e presero parte al combattimento: e ce n’erano di appena 14 anni.
Apro l’Unità Italiana del 2 agosto, e vi trovo la seguente letterina:
“Affezionatissimo padre,
“L’amore della Patria supera ogni altro amore, è lei che mi chiama a difenderla. Spero di ritornare vittorioso, ma se il destino vuole che io muoia son pronto a versare il mio sangue. Abbracciandola, ecc..”
Chi scrisse questa letterina? Un quattordicenne, Ignazio Zappalà di Palermo, che fuggì dalla casa paterna, si battè a Milazzo, e fece poi tutta la campagna nell’Italia meridionale. Il signor Antonino, padre, corse a Milazzo, ma se ne tornò col cuore gonfio d’orgoglio, e pubblicò nella stessa Unità questo certificato:
“Cacciatori della Alpi – 2° Battaglione.
Costa al sottoscritto che il quattordicenne Ignazio Zappalà di Antonino seguì da Palermo il suddetto battaglione all’insaputa di suo padre, e prese parte attiva, anzi si distinse nel combattimento del 20 luglio avvenuto nelle campagne di Milazzo, il cui esito felice ci rese padroni della città.
A richiesta e in fede,
Milazzo 25 luglio 1860
Il capitano comandante la 1^ compagnia
Pasquale Mileti
“Visto: Il maggiore comandante
“Sprovieri Francesco”.
Ma non è il solo che a 14 anni se ne andò con Garibaldi: Ferdinando Oddo, eccolo lì istoriato nella prosa secca e, nella sua brevità, solenne, dell’estratto dall’Archivio di Stato di Torino. Egli si arruolò il 10 di giugno, vuol dire quindici giorni dopo l’entrata di Garibaldi in Palermo; e fu assegnato nell’artiglieria di fortezza. Questo garibaldino minuscolo (era piccolo di statura) fu mandato alla batteria di Torre del Faro, e nei giorni 21, 22, 23 agosto, nel duello con le navi borboniche “per coraggio e fermezza militare” fu sul campo promosso caporale.


I più piccoli garibaldini nel 1860 (Estratto da “La Sicilia nel Risorgimento italiano”  Palermo 1931) fa parte di: 
Luigi Natoli: Rivendicazioni. La Rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento. 
Pagine 546 - Prezzo di copertina € 24,00
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