I volumi sono disponibili dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it. (consegna a mezzo corriere in tutta Italia) Invia un messaggio Whatsapp al 3894697296, contattaci al cell. 3457416697 o alla mail: ibuonicugini@libero.it
In vendita su tutti gli store online. In libreria a Palermo presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour 133), La nuova bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Nuova Ipsa Editori (Piazza Leoni 60), Libreria Zacco (Corso Vittorio Emanuele 423) Libreria Nike (Via Marchese Ugo 56) Libreria Macaione Spazio Cultura (Via Marchese di Villabianca 102)

lunedì 22 maggio 2023

Luigi Natoli: Il 21 maggio 1860 muore Rosolino Pilo alla Neviera di S. Martino. La morte dell'eroe fu avvolta da tristi voci... Tratto da: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.

Il 21 di maggio, mentre Garibaldi studiava la sua marcia strategica, le squadre di Pilo erano attaccate da tre forti colonne borboniche. I nostri non eran più di trecento cinquanta; i borbonici oltre un migliaio; ed eran padroni di alture. Corrao sosteneva il fuoco; ma il pericolo d'essere soverchiato era imminente; Pilo ac­corso con Calvino, salito, contro il consiglio di Corrao, in alto per vedere le posizioni, riconosciuto il pericolo pensò di rivolgersi a Garibaldi, per aver aiuti: Calvino e Corrao, stavano in basso; e voltavan le spalle al Pilo, che aveva con sè Andrea Soldano, di Lipari.
Veramente, per accorrere in aiuto delle squadre, non era forse necessario domandarlo. Gli avamposti garibaldini si spingevano presso la Boarra, e, oltre la loro estrema punta, a Lenzitti era la squadra di Pietro Piediscalzi, attaccata anch'essa dai regi. Il combatti­mento dunque si svolgeva poco lontano. Nondimeno il Piediscalzi a Lenzitti, Pilo e Corrao alla Niviera furon lasciati soli, senza soccorso, a sostenere il fuoco dei regi, che movevano da Monreale e da Palermo. Era una necessità dolorosa, non un abbandono, badiamo; e la rilevo qui, perchè questo fatto d'arme, nel quale, con altri, lasciarono la vita Pietro Piediscalzi e Rosalino Pilo appaia veramente quello che fu: un olocausto, una immolazione per impedire che il campo garibaldino fosse assalito, e rendere possibile a Garibaldi la sua stra­tegica diversione. Rosalino Pilo fu colpito alla testa, mentre scriveva, in piedi, fra due rocce, appoggiando la carta sulle spalle del Soldano. Alle grida del quale accorsero il Corrao, il Calvino e altri, sollevarono il Pilo boccheggiante, e lo portarono nella casa della Neviera, d'onde poi l'abate Castelli, avvertito, lo fece di sera trasportare nel monastero di S. Martino.
La morte dell'eroe fu avvolta di tristi voci: la ver­sione più ovvia, più naturale, che egli sia stato ucciso da palla borbonica, (non essendo i regi, che eran ben armati, più lontani di 700 metri; ed avendo egli il capo scoperto); questa versione, che consacrava il suo mar­tirio, si è voluta scartare, e si cominciò col l'accusare di averlo ucciso a tradimento Giovanni Corrao, che invece – e risulta da testimonianze, – stava in basso col Calvino e volgendogli le spalle: e l’invereconda e infame accusa contro chi era stato il compagno, il fra­tello di Rosalino, e che pel coraggio leonino, per la fran­chezza, per tutta la sua vita, non avrebbe mai com­messa una viltà, aveva forse il fine partigiano e astioso di offuscare l'eroica figura del fiero popolano repubbli­cano, alla cui lealtà Garibaldi rese omaggio e allora e poi.
Scartata, perchè bugiarda e ignominiosa, l’accusa contro il Corrao, si volle ucciso Rosalino Pilo ora da un Morrealese, or da uno di Capaci, e ora da uno di Carini: per quale insania, io non so; forse, per quelle stesse ragioni che dissero Carlo Mosto, une dei Mille caduto alla fazione di Parco, ucciso da uno di quei terrazzani; quando il Rivalta, che gli era vicino, lo vide morire per mano dei regi! Questa nostra rivoluzione era così incol­pevole, gli entusiasmi le davano tanta purezza, che occorreva forse gittare un'ombra oscura su quelle squa­dre e su quelle popolazioni, che pur davano il loro sangue, agevolavano e salvavano la marcia di Garibaldi.
Con la morte di Pilo finisce l’azione autonoma delle squadre durata dal 5 aprile al 21 maggio: da questo momento esse seguono la fortuna dei Mille, e di loro gli storici non terranno parola, o forse per dileggiarle: dimenticando che senza di esse e senza la rivoluzione i Mille non avrebbero potuto fare un passo, e sarebbero rimasti vittime della loro audacia.


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento italiano. Il volume comprende: 
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" (I Buoni Cugini editori 2020)
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 544 - Prezzo di copertina € 24,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Disponibile su tutti gli store di vendita online e in libreria. 

Luigi Natoli: La missione di Rosolino Pilo e Giovanni Corrao. Tratto da: La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione.

Il Pilo e il Corrao veduto qualcuno del comitato messinese, sbarcate e nascoste le poche armi in luogo sicuro, raccolte notizie da Catania e dai dintorni, mossero alla volta di Palermo. Ma prima ragguagliarono d’ogni cosa i fratelli Orlando, che erano stati fra’più ferventi e operosi nell’aiutare e favorire l’impresa: ed erano autorevoli per integrità di carattere, bontà di costume, fede sincera e disinteressato patriottismo: e pregandoli di adoperarsi, perché non venissero meno gli aiuti dei fratelli della penisola, il Pilo, affermando “venuto il tempo d’essere audaci” aggiungeva: “Io sarò felice di poter dare tutto il mio sangue all’Italia nostra”. Scrisse anche a Garibaldi e a Bertani, e le lettere affidò al pilota Motto, pregandolo di salpar subito per recapitarle.
Pilo e Corrao partirono il 12 aprile in pellegrinaggio di propaganda, non temendo le compagnie d’armi e le colonne mobili e i birri, che la polizia avvertita del loro sbarco, avrebbe sguinzagliato sulle loro tracce. La polizia già da qualche tempo innanzi era stata avvisata dai suoi agenti; e sul finire del ‘59 il luogotenente generale aveva scritto al sotto-intendente di Termini, di un prossimo sbarco del “noto agente mazziniano Rosolino Pilo associato a uno dei fratelli Orlando”. Non di meno nulla seppe per allora dell’avvenuto sbarco, e i due audaci poteron procedere indisturbati nel loro cammino. A Barcellona un vecchio liberale, pauroso degli apparati del governo, li consigliò di non proseguire, comunicando che la rivoluzione di Palermo era fallita: rispose fieramente il Corrao di non esser venuti in Sicilia per ritornare indietro, e che avrebbero preferito consegnar la testa al carnefice, piuttosto che esular novamente: eran venuti per la rivoluzione e l’avrebbero fatta, tanto più che forse in quell’ora Garibaldi si apprestava a venire. Pilo abbracciò il compagno.
Ripreso il cammino, per dove passavano, convocavano i giovani, li esortavano a prendere le armi, insegnavano a costruire bombe; accendevan dovunque fiamme di libertà; e d’ogni cosa ragguagliavano con lettere ardentissime i fratelli Orlando, Garibaldi, Bertani, Fabrizi. Più s’avvicinavano a Palermo, e più visibili erano i segni della rivoluzione. Spediti messi sicuri al comitato di Palermo, e ricevuti soccorsi di denaro e promesse, Pilo convocò i principali e più vicini capi di squadriglie; e tosto convennero il La Porta, il Firmaturi, il barone di S. Anna, e poco dopo anche Pietro Lo Squiglio, già valoroso combattente in Palermo, e legionario siciliano in Lombardia nel 1848, scampato il 18 aprile al combattimento di Carini, serbato a più gloriosa morte dinanzi le mura di Palermo. Presi gli accordi e separatisi da quei capi, il Pilo, il Corrao e il Lo Squiglio qualche giorno dopo lasciarono Piana dei Greci, in tempo per sfuggire a una sorpresa. E difatti i cartelli sediziosi sparsi dal Comitato segreto di Palermo, nei quali si annunciava l’arrivo “dei prodi emigrati”; il ripreso coraggio dei “tristi”, come avvisava il luogotenente generale, che “si presentavano a una nuova riscossa”; le notizie delle spie, forse, avevano indotto il governo a ordinare l’occupazione di Piana dei Greci nella notte sopra il 25 aprile.
I tre valorosi, dopo una breve sosta al monastero di S. Martino, si ritirarono sull’altipiano dell’Inserra, che a cavallo di due vallate, dominava le strade e i sentieri, e offriva modo di scoprire ogni movimento delle truppe, e tenersi in facili comunicazioni coi comuni che maggior contributo avevano dato alla rivoluzione. Di là spedirono messi ai capi delle squadre, al comitato; rincorando i dubitosi, infondendo fiducia, promettendo il prossimo sbarco di due spedizioni una da Malta, l’altra da Genova con Garibaldi; le quali il Pilo, che vi credeva fermamente, sollecitava con lettere impetuose e forse esagerate.
Convocato un consiglio, deliberato di riorganizzare le disperse squadre per riprendere l’offensiva o almeno le molestie per stancar le truppe, Rosolino Pilo che aveva già sottoscritta una cambiale di sei mila lire, per aver danari, attese a eseguire quanto si era deliberato. Si stabilì il quartiere generale a Carini, non domata dagli incendi e dalle stragi delle truppe, generosa e pronta sempre; ed ivi si ordinò il corpo di operazione: Rosolino Pilo capo supremo, Corrao comandante di tutte le squadre, Pietro Tondù alla sopraintendenza, Giuseppe Bruno-Giordano all’ispezione dei corrieri e delle guide, Giovan Battista Marinuzzi ufficiale pagatore, i preti carinesi Calderone e Misseri, che si erano battuti in quei giorni, cappellani. Ogni paesetto dei dintorni mandò il suo contributo d’uomini e denari; Torretta quarantaquattro uomini e cento onze (1275 lire); Montelepre cinquanta uomini e cent’onze; quattrocento uomini i Colli di Palermo e Capaci; centocinquanta con la musica la Favarotta, cinquanta Tommaso Natale e Sferracavallo. Si aspettavano le ricostituite squadre di Partinico, Alcamo, Piana, Corleone, Misilmeri, Marineo. Corrao a mano a mano divideva queste forze in squadre di dieci uomini con un caporale; ogni dieci squadre formavano una centuria con un capo e un sotto capo.
Tra il maggio odoroso, e tra’colli e i giardini verdeggianti, il sole mirava quelle schiere esercitarsi alle prossime lotte. E intanto solcavano già il mar di Sicilia i due navigli che portavano Garibaldi e i Mille, la fortuna, la gloria della rivoluzione, l’unità della patria, il compimento di un sogno al quale, immolandosi, avevano aperta la via centinaia di martiri...


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento. 
Il volume comprende: 
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 544 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Disponibile su tutti gli store di vendita online e in libreria. 

Luigi Natoli: Rosolino Pilo e Giovanni Corrao, precursori dei Mille... Tratto da La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione.

Fin dal novembre del 1848, da Malta, Giovanni Corrao aveva scritto a Rosolino Pilo, proponendogli di accompagnarsi a lui per uno sbarco nell’isola, ad accendervi e capitanarvi la rivoluzione. Tutti e due repubblicani e mazziniani, esuli, noti per la parte presa nella rivoluzione del 1848, prodi, audaci, fervidi nel cospirare, pronti nell’agire, fidenti l’un dall’altro, si intesero.
Rosolino Pilo e Gioeni, dei conti di Capaci, biondo e bello e di gentile aspetto, cuor di leone in gracile petto, aveva sempre caldeggiato una spedizione in Sicilia, o per lo meno in qualche parte del regno di Napoli; e d’accordo con Mazzini, aveva sul proposito da Londra, da Genova, da Malta, spronato con lettere i patriotti dell’isola. A Genova, come narrammo, aveva già fin dal 1855 concertato con gli altri esuli e con Garibaldi uno sbarco in Sicilia, che la timidezza o se vuolsi la prudenza di molti non fece mandare a effetto: onde, accolto con calore il disegno di Carlo Pisacane, gli si era fatto compagno, e gli era stato valido aiuto nella preparazione. Ma, per colpa non sua, gli era fallito accompagnarlo nella spedizione finita così tragicamente a Sapri: forse perché il fato riserbavagli morire nella terra natale, sotto il sole che lo scaldò giovinetto. Costretto a fuggire in Malta, perché temuto dal governo piemontese come pericoloso mazziniano, e poi a Londra, s’era dato a concertare col Mazzini, col Crispi e con altri di parte democratica i mezzi per promuovere l’insurrezione siciliana.
Giovanni Corrao, popolano, nerissimo di capelli e di barba, volto tagliente e fiero; rude, incolto; coraggio senza pari, risolutezza ignara di indugi, aveva durante la rivoluzione del 1848 meritato onorevole decreto dal Parlamento siciliano. Esule dopo la caduta di Palermo, ritornato poco dopo illuso, come il Garzilli, che si potesse ritentare una insurrezione, era stato arrestato e relegato in Ustica; donde, dopo un tentativo fallito di evasione, fu trasportato in Messina. Ed ivi aveva languito fino al 1855, quando liberato ed espulso aveva ripreso la via dell’esilio e delle cospirazioni.

Tra gli uomini e per sommi capi le loro vicende, allor che il comune intento e la medesima fede li riavvicinava. Ma la guerra del ’59 rallentò le loro trattative; perché, sebbene non credessero alla sincerità di Napoleone III, né avessero fede nella politica di Cavour, che non pareva a loro veramente unitaria, tuttavia non poteron distogliere le forze vive della rivoluzione attratte dalla guerra contro lo straniero; e bisognò aspettare il momento più convenevole. Terminata la guerra col trattato di Villafranca, ripresero con maggior vigore, e affrettarono il lavoro della cospirazione. Dicemmo già come le speranze della democrazia unitaria si fondassero nella rivoluzione della Sicilia, e come a promoverla si adoperassero gli esuli più attivi; narrammo anche del viaggio di Francesco Crispi e dei piani e dei mezzi per insorgere; e come per l’arresto di alcuni dei capi, la fuga di altri, la tiepidezza degli elementi moderati, gli indugi, ogni cosa finisse col tentativo infruttuoso di Giuseppe Campo.
L’insuccesso del quale non disanimò Rosolino Pilo, che, temendo le conseguenze del Congresso della diplomazia europea adunata a Parigi, incitava gli amici di Sicilia a non perder la fede. “La Sicilia, – scriveva sul cadere del ’59, – insorgendo ora o meglio prima che il Congresso sacrifichi la nostra Italia come nel 1815, può salvare se stessa e 23 milioni di fratelli... Animo, decidetevi e fate che la Sicilia, la quale è sempre stata la terra delle generose e grandi iniziative, non venga meno a se stessa e all’Italia”.
Incalzando gli avvenimenti, e stimandosi prossima la insurrezione di Palermo, Rosolino Pilo chiese a Garibaldi armi, munizioni e denaro, per correre in Sicilia e mettersi alla testa del movimento; sperando che il Comitato nazionale pel Milione di fucili, avrebbe fornito ogni cosa; che a lui si sarebbero associati Nino Bixio e Giacomo Medici; e che Garibaldi, cui facevano capo gli esuli siciliani, a un avviso, sarebbe corso in Sicilia, come aveva promesso. Ma Garibaldi, non credendo maturi i tempi, lo dissuase. La sua lettera è del 15 marzo 1860. Rosolino Pilo non ebbe nulla dal Comitato, né un fucile né un soldo; e non ebbe il concorso degli amici: ebbe invece lettere da Palermo che l’avvertivano tutto esser pronto. E il 26 marzo egli e Giovanni Corrao, soli, senz’altre armi che le loro rivoltelle, delle bombe tascabili e pochi fucili; con poco denaro fornito da Mazzini e dagli Orlando; soli col loro coraggio, con la loro fede, con la virtù del sacrificio; nella paranza di Silvestro Palmarini, pilota Raffaele Motto, salparono argonauti della libertà, da Genova, affrontarono le tempeste del Tirreno, videro la piccola nave minacciata, rischiarono di cadere su le spiagge napoletane; stettero quindici giorni tra cielo e mare con la morte sospesa sopra di loro. Rosalia Montmasson moglie di F. Crispi, era andata in Messina prima di loro, per avvertire e concertare con gli Agresta ogni cosa per lo sbarco; ma per ragione delle tempeste, sbarcati con grande ritardo, il 10 di aprile, a Grotte sul lido messinese non vi trovarono chi secondo il convenuto doveva aspettarli. Videro però i cannoni regi della cittadella bombardare Messina...


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento. 
Il volume comprende: 
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" (ed. I Buoni Cugini 2020)
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 544 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Disponibile su tutti gli store di vendita online e in libreria. 

martedì 16 maggio 2023

Luigi Natoli: Quel che avvenne dopo la battaglia di Calatafimi e i martiri dimenticati. Tratto da: La Rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione


Dopo la battaglia si ebbe doverosa premura di rac­cogliere devotamente i nomi di quelli dei Mille che cad­dero morti o feriti: ma non si fece altrettanto di quelli dei Siciliani che furono loro pari in valore e in sacri­ficio. Or bene, le pubblicazioni fatte nel 1910 ci mettono in grado di supplire, benchè tardi, alla ingiusta dimen­canza. Sul colle di Calatafimi, dei Siciliani che si batte­rono, morirono Carlo Bertolino, Sebastiano Colicchia, Francesco Agosta; vi furono feriti Stefano Sant'Anna, Antonino Barraco, Ignazio Pandolfo, Nicolò Messina, Giuseppe Catalano, un Cangemi, Carmelo Rizzo, Vito La Porta. Altri morti e feriti ebbe la squadra del Cop­pola, dei quali non si conoscono i nomi. E non son tutti; chè quei nostri antichi, modesti e silenziosi, ritrattisi nell'ombra non vantarono l'opera propria nè curarono di tramandare l'altrui. Molti morirono dimenticati. E del loro valore non mancano prove segnalate: Giacomo Cura­tolo-Taddei fu promosso tenente il giorno dopo il com­battimento: il Colicchia morì colpito in bocca, mentre si slanciava per strappare all'alfiere napoletano la ban­diera; Simone Marino, o fra Francesco, fu il primo a lanciarsi per prendere il cannone nemico, e se ne diè vanto solo al Cariolato e al Meneghetti, che erano con lui. V'eran fra combattenti siciliani giovanetti di quin­dici anni, come Antonino Umile di Marsala: e perfino una donna, Maria Giacalone, la quale volle seguire il marito, Federico Messana, e con lui fece poi tutta la campagna e a S. Maria di Capua fu promossa capo­rala. E tutto ciò consta da documenti e testimo­nianze.
Ora rendere omaggio a quelli dei Mille che mori­rono o ebbero ferita, è dovere: ma tacere i nomi dei Siciliani caduti, negare anzi che si siano battuti, peg­gio ancora calunniarli, non è soltanto ingiustizia, è viltà.
Ma il torto è però nostro. Dal 4 aprile a tutto il 1860, noi in Sicilia demmo alla causa della libertà e dell'unità centinaia di morti; dei quali non raccogliemmo i nomi, nè si seppe mai chi fossero. I morti dei volon­tari potevano essere identificati agevolmente, con l'aiuto dei registri dell'Intendenza; ma quelli delle squadre, no. Neppure i capi-guerriglia conoscevano i nomi dei loro uomini; quei contadini lasciavano le loro terre, le loro case, le loro famiglie; andavano a ingrossare una squa­dra, combattevano, taciti, senza chiedere altro che il loro pane e le munizioni; morivano avvolti nello stesso silenzio; nessuno domandava chi erano, donde venivano; e i più, la gran maggioranza, restò ignota, anonima, senza postuma gloria, senza compianto, senza onori. Martiri oscuri diedero la vita alla Patria e non conte­sero la gloria a nessuno...




Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Pagine 544 prezzo di copertina € 24,00
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Copertina di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su tutti gli store online e in libreria.

Luigi Natoli: La battaglia di Catalafimi. Tratto da: La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione

 
Saputo Garibaldi che i Napoletani si erano fortificati sopra una collina, detta delle Piante dei Romano (non Pianto come si è scritto) ordinò il suo corpo in battaglia. I volontari alla destra della strada carreggiabile, mirando alla sinistra dei regi, per minacciar loro la strada di Palermo; alla sinistra le squadre del Coppola e del Sant’Anna; le squadriglie senz’arme o armate soltanto di lance, avviò a coronare i colli circostanti, per spaventare il nemico; l’artiglieria rimase sulla strada, nel centro. Raggiunta la sommità delle colline di Vita scoperse il nemico; che stando sopra le colline di fronte dinanzi Calatafimi, spinse tosto una catena di cacciatori a occupare la prima collina, aprendo il fuoco. Garibaldi aveva dato ordini di non rispondere sapendo i suoi armati di vecchi fucili pressoché inservibili, e non potendo contare che sugli assalti alla baionetta. Soltanto i carabinieri genovesi, formidabili tiratori, avevano buone carabine; onde Garibaldi li mandò all’avanguardia. Ben presto cominciarono le fucilate; alle quali i borbonici aggiunsero i colpi dei loro cannoni ben piazzati. Ma l’ottava compagnia insofferente, senza aspettar ordine, si lanciò contro l’avanguardia borbonica, respingendola oltre la prima collina fin presso al grosso delle truppe, e allora fu necessario suonar la carica, e spingere tutte le compagnie all’assalto. Pugna terribile e micidiale. Le colline sopra le quali stavano i borbonici eran formate di grandi scaglioni, che usano i contadini per impedire alla terra di cedere alla furia delle pioggie. Bisognava conquistar questi scaglioni, un dopo l’altro, sotto la grandine de le palle e della mitraglia. Fu un fuoco d’inferno che seminò la morte. Garibaldi, con la spada nel fodero sopra l’omero, a piedi, avanzavasi lento, silenzioso fra la strage dei suoi. Bixio corse a fargli riparo, e pregarlo di ritirarsi. “Qui si fa l’Italia” – rispose, – “o si muore!”. Giuseppe Campo porta-bandiera, mandò a chiedere in che punto dovesse portar la bandiera; Garibaldi ordinò: “Sul punto più alto”. Era una ricca e bella bandiera donata nel 1859 a Garibaldi dagli Italiani di Valparaiso, e l’oro e i tre colori sfolgorarono al sole in faccia al nemico: ma Elia, tolta la bandiera dalle mani del Campo, la portò più oltre: Menotti Garibaldi, trasportato da giovanile ardore, alla sua volta, presala all’Elia, si slanciò innanzi. Un gruppo di cacciatori l’investe: egli, ferito alla mano, lascia cadere la bandiera, che è tosto ripresa da Schiaffino, genovese: Damiani, una delle guide a cavallo, si gitta nella mischia: giunge ad afferrare un nastro, nel momento che Schiaffino cade morto, e che il soldato Luigi Lateano dell’ottavo cacciatori s’impadronisce del vessillo. Questi n’ebbe di poi la promozione a sergente, la croce di S. Giorgio e cento scudi.
Ma in questa un pugno di volontari si lancia contro i cannoni nemici; il Meneghetti e il Cariolati giungono pei primi a impadronirsi di uno di essi: l’Orsini, che aveva potuto sullo stradale piazzare la sua scarsa artiglieria, entra in buon punto in azione, mitragliando i napolitani: le squadriglie, che, non abituate a ordinato combattimento, sulle prime s’eran fermate incerte, si gittano anch’esse nel folto della mischia: molti più animosi, raggiungono le prime file dei garibaldini, dividendo con loro gli onori della pugna, della morte gloriosa, della vittoria.
Quelle balze e le colline erano state conquistate a una a una: i morti stendevano le loro ombre su la terra; i feriti gemevano. Missori, comandante delle guide, con l’occhio insanguinato, non sentiva il dolore: Bandi ferito in più parti, combatteva ancora. Elia, visto un cacciatore prender di mira Garibaldi, gli fa scudo, e riceve una palla in bocca; ma salva il Generale. Sartori di Sacile muore, Sacchi pavese è sfracellato d’una cannonata: muore De Amici. Fra’Giovanni Pantaleo pareva avesse cento anime nelle parole di fuoco, col Cristo levato in alto. Due frati francescani, combattevano per la patria nelle prime file; uno di essi, ferito alla coscia, si tolse la palla dalle carni, e tornò a combattere; un altro a chi gli chiedeva l’assoluzione, rispose: – “Son venuto per combattere, non per benedire!” – e morì, colpito in fronte.
Stanchi, assetati, i volontari, ai quali non restava da guadagnare che l’ultimo ciglione della terza collina, dopo un istante di riposo, si lanciarono all’assalto. Bixio, Cairoli, Carini, Nullo, Stocco, tutti gli ufficiali combattevano come soldati; i regi, finite le munizioni, traevan coi sassi; uno colpì nel petto lo stesso Garibaldi e lo fe’cadere; fu creduto ferito, ma si rilevò subito illeso. Fulminati dalle nostre artiglierie, ricacciati dalle baionette, spaventati dalle grida tremende delle squadriglie disarmate che coronavano i colli, i cacciatori napoletani diedero volta; lo sgomento entrò nelle loro file; lo squadrone di cavalleria fuggì dietro a loro; disordinati, lasciando armi, bagagli e qualche prigioniero, rientrarono a Calatafimi, diffondendo lo spavento negli altri e più nel generale Landi, che non avea saputo né condurre al fuoco i battaglioni che si erano battuti, né rinforzarli con truppe fresche.
I nostri dormiron sul campo, i regi in Calatafimi: il combattimento cominciato sul mezzodì, era durato più di due ore; le perdite rilevanti. I regi ebbero circa 30 morti e un centinaio di feriti; dei Mille vi furono 17 morti sul campo, 120 feriti, fra’quali Majocchi, Palizzolo, Sprovieri, Perducca, Bandi, Nullo, Martignoni, Menotti, Manin, Elia, Savi ed altri. La squadra di Monte S. Giuliano ebbe 12 morti e 35 feriti; e della squadra di Alcamo fu, tra gli altri, ferito Stefano Sant’Anna, uno dei capi; prova evidente che anche le squadre presero viva parte alla pugna: e chi altro dice, mente.
La notte fu umida e fredda, e passò nel sospetto che i regi movessero in maggior numero ad assalire il campo garibaldino; ma il Landi, impaurito dal valore dei volontari e dal numero degli insorti; sentendosi, in un terreno fremente; pavido di vedersi tagliato fuori da Palermo, con le truppe affamate, senza munizioni, abbattute dall’insuccesso; dopo aver chiesto con una lettera intercettata dai nostri “pronto aiuto” senza aspettarlo ordinò la ritirata sopra Partinico: e Garibaldi, che si aspettava un nuovo combattimento, ebbe invece dai cittadini stessi di Calatafimi notizia che i regi avevano abbandonato il paese. E allora levò il campo, e la mattina stessa del 16 entrò in Calatafimi , fra le acclamazioni del popolo festante.


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento. 
Pagine 544 prezzo di copertina € 24,00
Il volume comprende: 
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Copertina di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia) 
Disponibile su tutti gli store online e in libreria.