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mercoledì 12 gennaio 2022

Luigi Natoli: Era la rivoluzione che cominciava... Tratto da: Chi l'uccise?

 
L’alba del dodici gennaio in piazza della Fieravecchia un numero sparuto di cittadini incominciava la rivolta. L’alba era fredda, e il cielo coperto di nubi, gli animi pieni di ansia nel vedere quei venti cittadini intorno a una bandiera tricolore, sparare un colpo di fucile. Era la rivoluzione che cominciava. Due ore dopo erano cento, e i colpi spesseggiavano in vari punti. 
Maurizia fu svegliata improvvisamente dagli spari vicini, che la atterrirono, non sapendo a chi attribuirli. La sera innanzi la serva aveva portato a casa provviste di pane, di pasta, di legumi, di formaggi. Aveva domandato perché suo padre avesse ordinato tutta quella roba, e la serva aveva risposto: 
- C’è la guerra, signorina: c’è la guerra! 
Ora udiva le fucilate e si domandava se fossero i soldati quelli che sparavano; e stava trepida in ascolto. Fuori, nella piazza, la gente fremeva e ferveva; ella si affacciò nel balcone, e vide qualche cencio tricolore, e, più in là qualche uomo che incitava altri uomini ad armarsi. Rientrò subito; suo padre si aggirava per le stanze con le mani cacciate nelle tasche, il sigaro spento in bocca, gli occhi fissi sotto le sopracciglia aggrondate. Poi si fermava dietro i vetri del balcone e guardava la piazza, la via, la chiesa del Carmine. Tutto a un tratto disse a Maurizia: 
- Vado per vedere di che si tratta.
- Dove va? Non sente le fucilate?
Egli alzò le spalle con noncuranza e uscì; Maurizia lo rincorse: 
- Papà!... Papà!... Torni!... Oh Dio!
E afferrato uno scialle, corse giù per le scale: ma il padre non si vedeva più tra la folla che gremiva ora la piazza, ed ella fu presa dalla paura di cacciarsi in quella folla, e risalì. La serva ancora stupiva. 
- Gliel’ho detto, che era una pazzia uscire! – le disse.
Ella non rispose. Verso venti ore suo padre rientrò senza dir nulla, ed ella non fece parola, ma con gli occhi lo interrogava. Paolo era andato in qualche casa, dove gli avevano indicato che stesse il comitato rivoluzionario, e non aveva trovato che tre o quattro signori, dai quali non aveva potuto attingere altre notizie che la rivoluzione “camminava”. Si era recato al tribunale, ma lo trovò sprangato; era andato dove sentiva sparare le fucilate, e si era stupito di non vedere le truppe scendere per le vie. E se ne era andato a casa. Quando fu ora di coricarsi Paolo disse: 
- Prega Dio che questa rivolta si tramuti in vera rivoluzione, perché da essa dipenderà la tua salvezza.
Ella pensò a Corrado; gli aveva pensato sempre, ma non sapeva che era stato condannato, perché suo padre aveva taciuto, né aveva permesso che altri avesse portato la notizia a casa. Ora le parole del padre le mettevano un nuovo spavento che la faceva tremare. Che c’entrava la rivoluzione con Corrado? Non era chiuso nel carcere? E non potè dormire.
Ma il dodici di gennaio subitamente rinacquero e rifiorirono le speranze, quando s’udirono lontane le fucilate, e le campane sonare a stormo, e poi rullare le cannonate e frullare  le bombe. Allora un’agitazione incredibile percorse tutto il carcere, gli animi dei carcerati fremevano, le mani si aggrappavano ai ferri delle finestre, e dietro le mani si vedevano i volti ansiosi con gli occhi ardenti, a spiare nel vasto piano dell’Ucciardone se comparivano gli insorti. Così trascorsero tutto il giorno; la notte non dormirono, ma il tredici quando s’aspettavano di esser chiamati, una voce gridò: 
- Aprite! Aprite! 


Luigi Natoli: Chi l'uccise? "Giallo" storico ambientato nella Palermo del 1848. al tempo della Rivoluzione. L’opera è l’unica della collana trascritta dalla edizione Madonnina del 1951: non abbiamo trovato altre edizioni ed è troppo bella per non essere pubblicata. 
Copertina e illustrazioni di Niccolò Pizzorno.
Pagine 122 – Prezzo di copertina € 13,50.
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia. Contattaci alla mail ibuonicugini@libero.it o al whatsapp 3894697296)
Disponibile su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store online.
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Luigi Natoli: Il proclama di Francesco Bagnasco e l'alba del 12 gennaio 1848. Tratto da: Rivendicazioni. Raccolta di scritti storici e storiografici sul Risorgimento siciliano


Il mese di gennaio 1848 entrava carico di foschi presentimenti; le agitazioni crescevano, le stampe rivoluzionarie si moltiplicavano; le spie riferivano al Prefetto di polizia che pel giorno 12 tutti sarebbero usciti con coccarde tricolori. Il luogotenente generale Di Maio chiudeva l’Università, rimandando nei paesi natali gli studenti. Ma la mattina del 9 apparvero sui muri, e furon distribuiti e spediti in gran numero nella provincia, foglietti a stampa che contenevano questo memorabile proclama: 

Siciliani, il tempo delle preghiere inutilmente passò. Inutili le proteste, le suppliche, le pacifiche dimostrazioni, Ferdinando tutto ha spezzato; e noi, popolo nato libero, ridotto fra le catene nella miseria, tarderemo ancora a riconquistare i legittimi diritti? – Alle armi, figli della Sicilia! la forza di tutti è onnipotente: l’unirsi dei popoli è la caduta dei re. – Il giorno 12 gennaio 1848 segnerà l’epopea gloriosa della universale rigenerazione. Palermo accoglierà con trasporto quei Siciliani armati che si presenteranno al sostegno della causa comune, a stabilire riforme e istituzioni conformi al progresso del secolo, volute dall’Europa, dall’Italia, da Pio. – Unione, ordine, subordinazione ai capi, rispetto a tutte le autorità e che il furto si dichiari tradimento alla causa della patria, e come tale sia punito. – Chi sarà mancante di mezzi sarà provveduto. – Con giusti principi, il cielo seconderà la giustissima impresa. – Siciliani, alle armi!” 

Questa sfida, che si credette lanciata da un Comitato e stampata dal tipografo Giliberti, era stata ideata e scritta da Francesco Bagnasco, causidico, di sua iniziativa.
Lo stesso giorno si diffondeva un Ultimo avvertimento al tiranno, e con termini energici si invitavano i Siciliani alle armi, pel 12 gennaio. Il Luogotenente Generale allora si scosse, e ordinò arresti; la notte stessa del 9 la polizia arrestò e fece chiudere nel Castello undici cittadini, tra i quali erano Francesco Ferrara, Francesco Paolo Perez ed Emerico Amari. Egli credeva avere posto le mani sui capi; ma a disingannarlo, il domani 10 apparve una dichiarazione firmata da un Comitato direttore che confermando la sfida, dava istruzioni alle squadre cittadine e delle campagne, prometteva capi ed armi, e metteva in guardia i cittadini contro le manovre della polizia. 

All’alba del 12 poca gente disarmata uscì curiosa per le strade; un certo Vincenzo Buscemi, vedendosi il solo armato, credette ad un tradimento, e tirò la prima fucilata.
Sopraggiunsero altri nella piazza della Fieravecchia e fra essi Giuseppe La Masa armato, venuto da due giorni nascostamente da Firenze, che cominciò ad esortare i convenuti. Giovane, di bell’aspetto, con una pronuncia toscaneggiante, ignoto a tutti, fu creduto uno dei capi venuto dal Continente. Allora il giovane avvocato Paolo Paternostro, salì sulla fontana che orna la piazza, ed arringò la folla che si veniva facendo. Si gridò Viva Pio IX! Viva l’Italia! Viva la Sicilia!  Il La Masa scrisse un breve proclama, in nome di un Comitato provvisorio della Piazza d’armi della Fieravecchia, e improvvisò una bandiera legando un cencio bianco uno rosso e uno verde a una canna. Ma Santa Astorina, moglie di Pasquale Miloro, uno degli accorsi, portò una bandiera e coccarde tricolori preparate dal marito nella notte. Si cominciarono a sonare le campane a stormo. Gli insorti erano qualche centinaio e si divisero a squadre; avvenne uno scontro contro la cavalleria, e vi trovò la morte Pietro Omodei, il primo cittadino caduto. Se il Comando non avesse ritirato le truppe, avrebbe potuto troncare i pochi insorti, ma memore del 1820, forse temendo imboscate, non osò prendere una vigorosa offensiva, e segnò la sua condanna.
Un vero Comitato provvisorio della Piazza d’Armi, fu costituito in piazza Fieravecchia coi nomi del La Masa, di Giuseppe Oddo-Baronebarone Bivona, di Tommaso Santoro, di Salvatore Porcelli, di Damiano Lo Cascio, di Sebastiano Corteggiani, di Giulio Ascanio Enea, di Mario Palizzolo, di Pasquale Bruno, dei tre fratelli Cianciolo, di Giacinto Carini, di Rosario Bagnasco, di Leonardo Di Carlo, del principe di Villafiorita, di Giovanni Faija, di Rosolino Pilo, dei fratelli d’Ondes; ai quali poi si aggiunsero Salvatore CastigliaFilippo Napoli, Ignazio Calona, Vincenzo Fuxa, il principe di Grammonte e qualche altro.
Il giorno dopo cominciarono ad arrivare le squadre dei dintorni, e si ripresero i combattimenti per espugnare i Commissariati e i posti avanzati, come quelli delle Finanze e della vicina gendarmeria. Intanto, essendo necessario provvedere ai bisogni della città e della rivoluzione, fu convocata, dal pretore marchese di Spedalotto, la municipalità con l’intervento dei membri del Comitato della Fieravecchia e di altri cittadini, e si convenne la costituzione di un grande Comitato, diviso in quattro Comitati minori, uno per la guerra e la sicurezza, presieduto dal Principe di Pantelleria, il secondo per l’annona, presieduto dal Pretore, il terzo per raccogliere le somme, presieduto dal marchese di Rudinì, il quarto per le notizie, la stampa, la propaganda, presieduto da Ruggero Settimo, il quale fu posto anche a capo del Comitato generale, con Mariano Stabile segretario. Si istituirono inoltre ospedali pei feriti nella Casa Professa dei Gesuiti e nei conventi di S. Domenico e Sant’Anna; il fiore dei medici offerse l’opera sua, gratuitamente. Due Commissioni, delle quali una di donne, attesero alla beneficenza...


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La Rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento sicilianoRaccolta di scritti storici e storiografici dell’autore sul Risorgimento in Sicilia, costruita sulle opere originali. Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni anno 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860 (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931) 
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848 - 1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 575 – Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Disponibile su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store online
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni) 

Luigi Natoli: Gli spiriti repubblicani che animarono la rivoluzione del 1848. Tratto da: Rivendicazioni. Scritti storici e storiografici sul Risorgimento siciliano

Gli storici siciliani della rivoluzione del 1848, mossi da non so quale paura, più della parola che della cosa, o non parlano o diminuiscono l’importanza delle manifestazioni repubblicane, che non vi mancarono, negando perfino l’esistenza di un partito repubblicano, pel solo fatto che esso era scarsamente rappresentato in Parlamento. E ciò, non ostante che più volte uomini di parte repubblicana, per la loro autorità, fossero stati chiamati al governo.
Che un partito organizzato come lo intendiamo oggi non ci fosse, è vero: ma non è da maravigliarsene. Nel ‘48 le Camere non rappresentavano divisioni nette di partiti; v’erano certamente i più temperati a destra, e v’erano i più accesi a sinistra; ma poiché si era, e si fu, per tutti i sedici mesi in un periodo rivoluzionario, col nemico ai fianchi, e con la necessità impellente di costituirsi e assicurarsi l’indipendenza, il comune interesse offriva un terreno nel quale le frazioni del Parlamento, anche senza preventivi accordi, si intendevano e procedevano insieme, superando le divergenze programmatiche. Così si spiega come nel primo periodo il piccolo gruppo repubblicano, senza per questo rinunciare ai suoi principii, concorresse con uomini suoi alla composizione del Ministero, accanto a uomini di parte moderata; e come dall’altro lato i più inclini alla monarchia riconoscessero il contributo morale che questi repubblicani portavano al Governo. 
L’odio accumulato per trentatre anni, aveva spezzato ogni legame coi Borboni: la stessa nobiltà, che per tradizioni è sempre legata al trono, si era staccata da essi; eccetto pochi, che, per altro, non erano disposti a farsi massacrare per Ferdinando e Maria Teresa, come i cavalieri brettoni per Maria Antonietta. I monarchici puri, quelli cioè che consideravano la monarchia con anima religiosa eran pochi; molti quelli che l’accettavano come una necessità; i più, perchè era nella tradizione o per poltroneria spirituale. 
I repubblicani al Parlamento erano un piccolo gruppo, ma di prim’ordine; fuori del Parlamento erano più numerosi che non si creda. Michele Amari lo storico, Giuseppe La Farina, Francesco Crispi, Vincenzo Errante, Giuseppe La Masa, Pasquale Calvi, Michele Bertolami, Giovanni Interdonato, Angelo Marrocco, Saverio Friscia e pochi altri alla Camera dei Comuni; e accanto a essi i simpatizzanti, come Paolo Paternostro, Francesco Ferrara, Gabriele Carnazza e altri più o meno, che sedevano a sinistra; fuori del Parlamento, Gabriele Dara, Carlo Papa, Pietro d’Alessandro, Rosolino Pilo, Francesco Milo-Guggino, Giorgio Tamaio, Rosario Bagnasco, Giuseppe Vergara-Craco, Carlo F. Bonaccorsi, Paolo Morello, Giovanni Corrao, Giuseppe Benigno, Giuseppe Badia, poeti, scrittori, giornalisti, combattenti, e una folla di ignoti, che non mancava di manifestare i suoi sentimenti in foglietti anonimi, in poesiole. Ma più nei giornali. Tra il 1848 e il 1849 se ne pubblicarono sette od otto di principî repubblicani, alcuni vissero come le rose, un mattino; qualche altro tirò più a lungo; maggior durata ebbe l’Apostolato di Francesco Crispi, che fu anche il più serio, e uno dei migliori che si pubblicassero in Palermo; degli altri ricordiamo la Propaganda, la Democrazia, la Repubblica, la Sentinella del popolo. Non citiamo la Giovane Sicilia, i cui ardori repubblicani erano di assai dubbia purezza, perché fondata e diretta da un tal Salvatore Abbate e Migliore, che al 1849 si rivelò triste arnese del Borbone, e forse incitava a repubblica per provocare disordini. 
Ma i repubblicani non scrivevano soltanto nei giornali di lor parte; essi trovavano accoglienza – senza riserve – anche in altri giornali. L’Indipendenza e la Lega di Francesco Ferrara, il miglior giornale della Sicilia e uno dei migliori che vedessero la luce in Italia in quei tempi, era preferito dagli scrittori repubblicani. Uno dei redattori più assidui era C. F. Bonaccorsi, amico del Mazzini, da lui conosciuto a Londra, e che avremo occasione di citare più innanzi. 
Gl’inni stessi, esaltatori di vittoria o incitatori alla guerra, non si sottraggono a questo sentimento: uno di essi, che io fanciullo sentivo ancora canticchiare da qualche vecchio del ‘48, aveva questa strofe, la sola che io ricordi: 

Dall’Alpi allo Stretto
s’innalzi una voce;
si pianti la croce
sul trono dei re!

Gabriele Dara, che, come dissi, era il Berchet della Sicilia, nei segreti convegni dei giovani leggeva le sue ardenti poesie, che, ricopiate si diffondevan celatamente. Nel 1847 in un’ode a Pio IX poetava:
Quest’unico patto tra’popoli e i re: 

“Secura non fia d’Italia la sorte 
se il seme perverso distrutto non è;
In un’altra ode all’Italia:
Esulta! Si appressa... sonata è quell’ora 
l’estremo momento dei Regi sono!
ed evocando il Genio di Roma aggiungeva:
Sull’Etna e sull’Alpe posate le piante 
dal crin la corona ritoglie ai suoi re,
e in fascio raccolte le insegne fatali 
le frange, e sdegnoso le calca col piè...


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano. 
Pagine 525 - Prezzo di copertina € 24,00
Il volume raccoglie gli scritti più importanti dell'autore sul Risorgimento, nelle versioni originali ovvero:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni anno 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860 (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)  
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848 - 1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927) 
Copertina di Niccolò Pizzorno. 
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito ibuonicuginieditori.it (spedizioni in tutta Italia a mezzo corriere). Si può prenotare alla mail ibuonicugini@libero.it o con messaggio whatsapp al 3894697296.
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In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour 133 - Palermo) La Nuova Bancarella (Via Cavour di fronte La Feltrinelli) La Libreria di La Vardera Vito (Via N. Turrisi n. 15 - Palermo) Nuova Ipsa (Piazza Leoni) 

Luigi Natoli: Il 12 gennaio 1848 la Sicilia fu italiana... Tratto da: Rivendicazioni. Raccolta di scritti storici e storiografici sul Risorgimento siciliano

 
Al 1848 la Sicilia fu italiana; come e quanto, se non più, le altre regioni. Come al 1860 volle e rese possibile l’unità nazionale con lo slancio della sua rivo­luzione, così al 1848 volle l'unione federale; e insorse prima di tutte per attuare questo programma.
Il 12 gennaio 1848, dopo l'audace sfida che rompeva gli indugi, Palermo insorse. Combattè per ventiquattro giorni, espugnando a una a una tutte le posizioni delle truppe regie, e respingendo i rinforzi venuti da Napoli col conte d'Aquila e il generale de Sauget. Ma Napoli non si mosse, non incoraggiò nè soccorse il fiacco moto di Salerno; non seppe o non potè; o non volle compro­mettersi.
Verso la fine di gennaio del 1848, un ignoto scrit­tore di foglietti volanti, annunziando la fuga del gene­rale Vial e delle truppe regie, e dicendo non rimanere altro a conquistare che il castello; conchiudeva con que­ste parole: “La deve sventolare l’italiana bandiera, e i naviganti della bella penisola, scoprendola di lontano grideranno:  Ecco la patria nostra!”.
La patria nostra, l’Italia! Ecco quel che per l'ignoto scrittore significava il vessillo innalzato sul mastio del castello: e l’immagine lirica esprimeva tutto il pen­siero, tutto il sentimento, tutte le speranze della rivo­luzione siciliana.
La caduta della quale, pei grandi irreparabili er­rori dei suoi ministri e per l'atteggiamento infedele da prima, ostile poi, dei fratelli napoletani, precedette di quarantotto giorni quella di Roma, di tre mesi quella di Venezia: ma mentre a queste due città si rende la glo­ria e l'onore cui han diritto, sulla rivoluzione siciliana si è gittata l'ombra di un giudizio calunnioso, che, come tutte le calunnie, vi si è attaccato, ed è difficile liberar­nela. Ciò non toglie che sia dovere di storico onesto non ripeterlo, ma indagare la verità, perchè la sua luce disperda per sempre quell'ombra, e dia a ciascuno il suo.



Luigi Natoli: Rivendicazioni. La Rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento sicilianoRaccolta di scritti storici e storiografici dell’autore sul Risorgimento in Sicilia, costruita sulle opere originali. Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni anno 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860 (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931) 
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848 - 1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 575 – Prezzo di copertina € 24,00
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Luigi Natoli: Già dal 1847 a Palermo si gridava: "Viva l'Italia!" Tratto da: Rivendicazioni. Raccolta di scritti storici e storiografici sul Risorgimento siciliano.

Che vi fosse già preparata qualche cosa pel 1841, si rileva da un sonetto dialettale di Salvatore Adelfio, uomo della piccola borghesia, patriota ardente; sonetto che comincia così:

Curaggiu, a l’armi, gioventù avvilita,
       contru la tirannia curriti agnunu; 
all’armi, all’armi, libertà v’invita
lu milli ed ottucentu quarantunu! 
Risolviri si po’ la vostra vita
‘nnalzannu lu stinnardu trinu ed unu...

Il quale ultimo verso è significativo; perché non innalza la vecchia bandiera di Sicilia, che era sventolata fino agli ultimi moti, sì bene il tricolore nazionale, con aperta allusione non solo al regime costituzionale, ma anche all' unione italica. Il Governo stava in appren­sioni, e il comando generale impartiva ordini segreti per le opportune concentrazioni delle truppe in caso di sommossa (24).
Nelle adunanze segrete dei giovani, Gabriele Dara, che fu il Berchet della Sicilia, leggeva tra il 1846 e il 1847 i suoi versi infocati. In un Inno All'Italia vatici­nava la futura vittoria: 

Ma ovunque, vincente per l'Itala terra
il genio di Roma dispiega le penne....
Racchiuso nell' armi s' innalza gigante 
dal Tebro, e l'Italia ricopre colli' ali, 
sull' Etna e sull'Alpi posate le piante 
dai crin le corone ritoglie ai suoi re.... (28)

 Ai cospiratori impazienti parve giunta l’ora: e avvenne l’eroico tentativo del 1 settembre in Mes­sina e in Reggio, che se fu represso col sangue, si può considerare come il punto di partenza per passare dai propositi all'azione. Siciliani e Napoletani incomin­ciarono con le dimostrazioni. Il 22 e il 23 novembre a Napoli, il 27 a Palermo, promosse da Rosolino Pilo, venuto appositamente, per incarico del Comitato napole­tano; e se in Napoli si cominciò col gridare: Viva il re! Abbasso Sant' Angelo! Abbasso del Carretto! Viva Pio IX! in Palermo si gridò anche Viva l'Italia! (29). E non ave­vano i Siciliani a Roma, nelle dimostrazioni del novem­bre, mentre Napoletani, Toscani, Piemontesi sventola­vano le bandiere dei propri Stati, essi soli innalzato il tricolore italiano, il primo che vedessero le vie di Roma in quel tempo?


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Il volume è la fedele riproduzione delle opere originali ivi raccolte:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935 (volume pubblicato da I Buoni Cugini editori nell'anno 2020)
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 544 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
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Luigi Natoli intervista donna Santa Miloro, la bella guantaia di Palermo ed eroina del 12 gennaio 1848. Tratto da: Rivendicazioni. Raccolta di scritti storici sul Risorgimento siciliano

 
Poche donne erano note come “donna Santuzza”. Ella doveva la sua notorietà a tre cose: la sua bellezza, la sua eleganza semplice ma originale, la sua bottega di guanti. 
Non v'erano in Palermo guanti migliori di quelli di “donna Santa”, nè v'era chi sapesse increspare o stendere con maggior gusto la spoglia di quei graziosi ombrellini che usavano allora, simili a ninnoli. La sua fabbrica aveva venti tagliatori di guanti; le cucitrici erano un centinaio. Aveva la bottega in Via Cintori­nai, in sul principio, a destra di chi vi entra dalla via detta oggi di Vittorio Emanuele; e questa bottega era sempre affollata. Tutta la nobiltà di Palermo, ed anche quella dell'isola si serviva di guanti, ombrellini, e ven­tagli, da “donna Santa”.
Ella era alta e slanciata. I capelli bruni, copiosi, spartiti sulla fronte, raccolti intorno alle tempie e sugli orecchi, le incorniciavano il volto ovale e bianco.
Il naso piccolo, appena appena arcuato, gli occhi grandi, neri, sereni, la bocca un po' sottile, piccola, fiorita d'un tenue sorriso.
Nel portamento un'aria giunonica, consapevole, quale apparisce ancora da una fotografia di quando era nella piena maturità della vita e della bellezza impe­riosa e magnifica.
Donna Santa, il rudere di questa bellezza, la dispensatrice delle coccarde all'alba del 12 gennaio, questa unica e sola superstite del manipolo che iniziò la rivoluzione famosa, que­sta figura eroica e poetica, della giornata memoranda, che con le belle mani statuarie diffondeva il simbolo della libertà, e affrontava le fucilate; era ancor viva quando nel 1910, io la scopersi nella casetta dove viveva ritirata e silenziosa. Aveva allora novantasei anni ed era svelta; sebbene un po' curva: e malgrado le rughe e solcassero la fronte, gli occhi avevano ancora l'antico lampo; la mente era lucida, e i ricordi vivaci. Nella soli­tudine in cui viveva dimenticata, sopravvissuta alla sua storia, serbava gli entusiasmi giovanili nell'animo rimas­to ancora rivoluzionario del '48.
Io andai a trovarla nella sua casetta, al numero 33 della via Volturno. Era seduta in un’ampia poltrona; e appena mi vide entrare, si alzò e mi porse le mani affabilmente. Io volevo udire dalla sua bocca l’episodio del 12 gennaio: ma prima di parlare, ella andò a prendere da un cassetto un libro, lo aprì e me lo porse. 
Legga, legga! – mi disse. 
Il libro era la raccolta di scritture, proclami, memorie della rivoluzione, stampati nel 1848; e la pagina mostratami conteneva un cenno encomiativo di Santa Miloro, additata alla pubblica ammirazione, e riconosciuta benemerita della patria. 
- Vede chi son io? – aggiunse poco dopo, con un certo tono di orgoglio nel quale c’era anche un po’ di vanità. – Io sono stata una di coloro che liberarono la patria dalla tirannia!...
Ella non nominava diversamente il governo borbonico, e non diceva mai “Ferdinando, il re Borbone” o simile; ma il “tiranno”: la terminologia del ’48 non si era cancellata dalla sua memoria.
In casa mia – seguitò – si cospirava; ci venivano Paolo Paternostro, Rosalino Pilo, tanti altri. Si fabbricavano cartucce; io apparecchiavo coccarde tricolori. Dapprima gli amici di mio marito diffidavano di me; “Donna Santa  dicevano  è giovane ed è donna, potrebbe tradirci”. Ma mio marito sapeva di potersi fidare, e li rassicurò.
All'alba del 12 gennaio mio marito uscì co’ suoi fratelli e con suo padre, mio suocero; erano tre fratelli: Pasquale, Antonino e Giorgio. Uscirono armati, perchè doveva scoppiare la rivoluzione. Io avevo un paniere pieno di coccarde, e con tre nastri, uno bianco, uno rosso e uno verde, avevo improvvisato una lunga sciarpa. In quei giorni mi ero fatto un vestito di lana, a quadri con una sopraveste, come era di moda; quel vestito mi stava una pittura.... lo vestivo con molta semplicità; gli abiti me li facevo da me; pure debbo dire che face­vano voltare la testa, e molte signore, anche dell'ari­stocrazia, mi domandavano sul serio, se li facevo venire da Parigi....
Interrompendosi con questa parentesi, il suo volto si illuminava della dolce vanità del passato, e la fem­mina che aveva suscitato fremiti di desiderio con l’im­peto della bellezza, riviveva nella vecchia sepolta nella ampia poltrona e col capo avvolto in un fazzoletto scuro.
Dunque  riprese  come le dicevo, udii le pri­me fucilate. Pensando che mio marito e i miei cognati erano fuori e nel pericolo, e non vedendo muovere nes­suno del vicinato, non potei resistere. Indossai il mio bel vestito, mi cinsi con la sciarpa tricolore, presi il paniere delle coccarde, ed uscii. Abitavo allora in piazza Garraffello. Sulle porte, ai balconi la gente si affac­ciava timida, sospettosa, irresoluta: non si sapeva come volgessero le cose.... Si sparse la notizia che qualcuno era stato ucciso. Io allora cominciai a rampognarli: “Su! Che fate? All’armi!... i vostri fratelli combattono; correte ad aiutarli!...Viva l'Italia! viva la libertà!...”. E davo coccarde, e andavo innanzi....
Mentre ella parlava, io me la raffiguravo alta e bella e fiera, nell'incanto della donna di trent'anni, col suo bel vestito a quadri, con la sciarpa tricolore; tra la folla stupita, commossa dallo spettacolo di audacia e di beltà; me la raffiguravo agitatrice, non torbida come una virago, come una amazzone antica, e neppure come una demoiselle Théroigne armata di picca, e coi bruni riccioli sfuggenti di sotto all'elmo: ella rimaneva donna, con tutti i fascini della muliebrità, anche in quei mo­menti pericolosi e tra lo scoppiar della guerra...


Luigi Natoli: Piccole storie nella grande. Fa parte di: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Il volume è la fedele riproduzione delle opere originali ivi raccolte: 
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935 (volume pubblicato da I Buoni Cugini editori nell'anno 2020)
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 544 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno