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giovedì 6 dicembre 2018

Luigi Natoli: Verso il 1860. Tratto da: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860


La rivoluzione siciliana del 1860 non incominciò il 4 aprile; cominciò lo stesso giorno in cui il principe di Satriano entrò in Palermo a ristabilirvi l'autorità regia; perchè quando i cannoni salutarono il bianco vessillo dai fiordalisi, che s'innalzava là, dove per sedici mesi era sventolato il tricolore, l’anima siciliana vinta, non doma, riprese il suo posto di combattimento nel mistero delle cospirazioni. E per dieci anni, vestale della libertà, alimentò nel segreto e tenne viva la lampada sacra della patria; alla quale, ostie volontarie, Nicolò Garzilli im­molò la dolce e pensosa giovinezza; la austera nobiltà, Francesco Bentivegna; la pugnace baldanza, Salvatore Spinuzza: nomi degni di perpetua ricordanza, quanto ogni altro, cui anche le storie per le scuole non man­cano di rendere onore.

Nessuna regione d'Italia stese in quei giorni una rete di cospirazioni così vasta, e pur così salda e così infaticabile, che da Palermo si stendeva a Messina, a Catania, a Trapani, ai minori centri dell'Isola, e, oltre­passando il mare, stendeva ancora i suoi fili a Malta, a Genova, a Torino, a Firenze, a Marsiglia, a Parigi, a Londra. Noi avemmo una emigrazione di grandi nomi e di gran cuori, sparsa da per tutto; la quale, stretta intorno a Mazzini o a Cavour, i due astri maggiori, poteva essere divisa da ideali di forme; ma era unita, oltre che dalla comune origine e dalla comune sorte, nell'ideale più urgente e più alto della liberazione dell'isola e della sua fusione con la patria italiana.

Qualunque tentativo o moto ideato o attuato in Si­cilia ebbe la sua preparazione contemporaneamente e concordemente nei comitati dell'isola, e in specie di Palermo, e in quelli dagli esuli costituiti dovunque si trovavano due siciliani.

È null'altro che una vanità attribuire a questo o a quello il vanto o la priorità di una iniziativa. Una era la mente, uno il cuore, uno il braccio; e questa unità era formata di tutte le menti, di tutti i cuori, di tutte le braccia della nostra gente, dovunque sparsa, vigile sempre nella speranza, incrollabile nella fede, indomita nell'insuccesso.

Per dieci anni la nostra rivoluzione fu un insuc­cesso materiale, e una lenta conquista morale: anche il moto del 4 aprile si presenta come un insuccesso; ma fu invece il cominciamento della vittoria: la sua prepa­razione era tale, che una prima sconfitta non avrebbe più potuto arrestare o allentare la marcia trionfale della rivoluzione. Essa ebbe un potente ausiliare nella polizia; che in nessun luogo e, forse, in nessun tempo fu così cieca, feroce e inumana contro il reato politico, come fra noi. Essa alimentò, coltivò, crebbe l'odio seminato da Ferdinando II, e lo accumulò sul capo di France­sco II; un re mite e umano, destinato, come Luigi XVI, a pagare i delitti compiuti dai suoi avi. La polizia si impersonò in un uomo: Maniscalco; che più realista del re, era un fanatico dell'assolutismo. Ma i suoi subal­terni lo sorpassarono: Pontillo, Desimone, Carrega, Baiona, Sorrentino, Malato rappresentano ciò che si può immaginare di più bestiale; e la birraglia che li accom­pagnava aveva la voluttà del misfare. Non si può leg­gere, senza impallidire di orrore, il racconto della gesta che l’ispettore Baiona e tre gendarmi, i cui nomi erano tre rivelazioni: Tridente, Tempesta e Scannapicco, com­pievano nel Cefalutano per appurare il nascondiglio dello Spinuzza.


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La Rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano. 
Raccolta di scritti storiografici sul Risorgimento tratti dai documenti originali dell'epoca. 
Pagine 575 - Prezzo di copertina € 22,00
Disponibile presso Librerie Feltrinelli e in tutti i siti di vendita online. 
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti 


Luigi Natoli: Il valore dei Siciliani nella difesa di Roma nel 1849. Tratto da: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860


Dopo Novara non rimangono in Italia che tre luo­ghi dove ancora sventola la bandiera tricolore: la Sicilia, Roma, Venezia. Prima a cadere è la Sicilia. Le giornate dell'aprile in Catania hanno un'eco a Roma. Il deputato Bonaparte, nella seduta del 24 aprile ha accenti acco­rati per la “generosa Sicilia”; e quando il re di Napoli si apparecchia a muovere contro Roma per insediarvi il papa, i Triumviri, annunziando la spedizione, chia­mano i Romani a vendicare il sangue dei “fratelli di Sicilia”.
“Il sangue dei migliori fra i patriotti napoletani, il sangue dei nostri fratelli di Sicilia pesano sulla testa del re traditore. Dio acceca i perversi e dà forza ai difensori del diritto, e vi sceglie i Romani, a vendi­catori”.
E non è a tacere qui una prova di simpatia data da Felice Orsini, in quel torno di tempo. Egli era stato spedito qual commissario ad Ascoli per redimere il bri­gantaggio organizzato da legati del papa, e sorretto anche dal re di Napoli.
Avuti in mano tre dei principali colpevoli, questi furono condannati a morte. Ma l’Orsini li aggraziò della vita, con la speranza di ottenere in cambio la libera­zione dei siciliani catturati col Ribotti nella infelice spedizione in Calabria, e chiusi nelle prigioni di Napoli. Speranza vana.
Nessuno ha mai pensato se fra’ difensori di Roma vi fossero siciliani, e di raccoglierne i nomi. Io ricordo fra i combattenti i giovani pittori Giaconia e Rindello, un altro, Luigi Amodei, palermitano, apparisce nel giu­gno del '49 col grado di colonnello, doveva godere ripu­tazione di perizia in lavori di ingegneria militare.
L'esercito della repubblica non aveva un Corpo del Genio; v'erano zappatori e guastatori e ufficiali improvvisati; e intanto urgeva provvedere ad alcune opere di fortificazione indispensabili dopo gli assalti e le posi­zioni guadagnate dai francesi. Si cercò l'uomo più adatto, e la scelta cadde sull'Amodei, che ideò una serie di approcci per controbattere le parallele francesi; e di passaggi coperti per mettere in comunicazione i casini, che erano tenuti ancora dai legionari di Roma, con la città. Il progetto fu approvato dai Triumviri, e il 5 giugno l'Amodei vi pose mano. Ma le braccia erano scarse, e se ne richiamò a Garibaldi, che protestò viva­mente. Mazzini si moltiplicò per trovar quanti più lavo­ratori si potesse, e i lavori furono spinti innanzi: ma l'Amodei, per uno di quegli scatti impulsivi che Gari­baldi ebbe frequenti durante il memorando assedio, non li compì. Ed ecco perché. Durante i lavori, qualche com­pagnia del reggimento Unione attaccò, non ostante gli ordini proibitivi, gli avamposti francesi, con suo danno. Garibaldi accorso e fiammeggiante di collera, credette che il combattimento fosse stato ordinato dall'Amodei, e senza voler udir altro, lo fa arrestare, chiudere a Castel S. Angelo, sottoporre a consiglio di guerra. Ma dal processo balzò netta e chiara l’innocenza dell'Amodei; le compagnie dell'Unione, avevan fatto di lor capo. L'Amodei fu liberato, ma la direzione dei lavori era stata già data ad altri.
Che cosa sia avvenuto poi dell'Amodei, non so.
Quando la repubblica cadde, la Sicilia era già stata ripresa dal Borbone, e i suoi migliori figli dispersi per l’Europa vi recavano il dolore della libertà conculcata, ma con questo dolore quanta e quale ricchezza di virtù d'intelletto e di cuore, e di quale e quanto onore Rug­gero Settimo, F. P. Perez, Enrico e Michele Amari, Giacinto Carini, Francesco Crispi, il principe di Scor­dia, Francesco Ferrara, Giuseppe La Farina, Giuseppe La Masa, il marchese di Torrearsa, Pasquale Calvi, Mariano Stabile e tanti e tanti altri, non illuminarono il nome Siciliano?


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano. 
Raccolta di scritti storici e storiografici sul Risorgimento siciliano, tratti dai documenti originali dell'epoca. 
Pagine 575 - Prezzo di copertina € 24,00
Disponibile presso Librerie Feltrinelli e in tutti i siti di vendita online. 
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 

giovedì 29 novembre 2018

Luigi Natoli: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860. Parla l'autore

Raccolgo in questo volume alcuni scrittarelli, dei quali alcuni veggono ora la luce per la prima volta, altri, già pubblicati su giornali, sono così interamente rifatti, che possono considerarsi nuovi.
Quali gli intendimenti che m’indussero a comporne un libro, il lettore vedrà da sè; e gli farei un torto se mi trattenessi a illustrarglieli. Dirò soltanto che questi scritti nacquero dalla mia passione per la Sicilia e specialmente per Palermo mia città natale: passione che invece di affievolirsi con gli anni, è divenuta più intensa via via che mi sono addentrato – quanto è possibile a una vita umana assillata dai bisogni della vita cotidiana – nello studio della storia; e mi sono accorto degli errori, dei pregiudizi, della superficialità e anche dell’ignoranza di che son pieni scrittori, anche valorosi, quando parlano e giudicano delle cose siciliane. Delle quali non si può parlare con tanta facilità e leggerezza; così vasta, molteplice, ricca di cose ancora ignote, inesplorate è la nostra storia; tanti problemi sono ancora insoluti: e non soltanto della preistoria e dell’epoca greca, ma anche delle epoche posteriori e più vicine a noi. V’è negli archivi pubblici e privati ancora grande materiale da esplorare: v’è nelle biblioteche altro materiale accumulato nel corso dei secoli dal paziente lavoro di uomini oscuri, frugato in parte dagli studiosi; ai quali, più che s’avanzano nelle ricerche, e più ampio si rivela il campo di esse.
Due epoche hanno finora attirato gli studiosi, più che le altre: l’antica e la medioevale; e dell’una e dell’altra la storiografia vanta opere di capitale importanza, che servono di guida e di lume a chi vorrà continuare le indagini. Ma vi sono secoli, che, non so per qual pregiudizio, son lasciati da parte; e nei quali bisogna pur cercare l’azione lenta, quasi inavvertita, per cui, nell’asservimento politico e nell’isolamento, l’oscuro istinto di italianità va trasformandosi in coscienza nazionale; per cui si cerca di rompere la cerchia dei tre mari per vivere la vita del mondo. Vi sono secoli più vicini ancora, nei quali avviene un profondo rinnovamento nella cultura, e si foggiano anime nuove; e che intanto rimangono ignorati, come un tempo lontano e oscuro. Tale l’ottocento siciliano che ha scrittori, storici, critici, poeti, scienziati, artisti dei quali ogni regione potrebbe gloriarsi; del cui carattere e valore soltanto la incompetenza di un ignorantissimo di cose siciliane potè dar giudizio spiccio, con leggerezza punto filosofica. Ed è fortuna che di questi nostri scrittori alcuni, soltanto, perchè vissuti nel continente, e perchè stamparono nel continente, sono meritamente noti; chè altrimenti anch’essi si troverebbero, non ostante il loro valore, travolti in quella oscurità nella quale giacciono altri ingegni valorosi e onorandi. A questi dovrebbero i giovani, or meglio preparati, rivolgere le loro cure amorose.
Gli scritti qui raccolti non pretendono neppur lontanamente sfiorare uno degli aspetti di questo ottocento siciliano: nacquero per ribattere accuse, correggere errori; per istinto di difesa e amore di verità e di giustizia. Pure tra essi appresi qualche spiraglio; come dalle fessure dello steccato i fanciulli ficcando gli occhi vedono l’arena del circo, così da esso può qualcuno scoprire 1’ampiezza del campo ancora non dissodato, e invogliarsi a entrarci, con la fervida volontà di rivangarlo, e trarne alla luce e a vita nuova e più rigogliosa messe di gloria pei nostri vecchi dimenticati e per la nostra isola.
All’arte avevo dato io i primi sogni della giovinezza: li sacrificai a quello che mi apparve dovere di cittadino; e ho frantumato la mia attività in mille piccole cose, di vita effimera, per esumare, divulgare le memorie del nostro passato; per farle amare; per spronare altri alla storia nostra, che non defrauda, ma aggiunge nuove immarciscibili foglie all’alloro di che si inghirlanda l’Italia madre; e per far sentire ai giovani l’orgoglio di essere siciliani, ma nel tempo stesso il dovere che incombe sopra di loro, di esser degni del passato glorioso; e render nelle opere feconde della pace l’isola nativa emula delle altre regioni d’Italia, come emula, se non pur superiore, fu per rinuncie, per sacrifici, per sangue generosamente versato.
Troppo io presunsi; lo so: ma se da questi scritti movesse qualcuno di maggior ingegno e più matura preparazione, e con maggior agio, a studiare profondamente e a rivelare questo o quell’aspetto del nostro Ottocento, io mi sentirei pago, e non rimpiangerei i sogni della mia giovinezza oramai tramontata da un pezzo.

Palermo, nel maggio del 1927.
L.N.



Luigi Natoli: Rivendicazioni attraverso le rivoluzione siciliane del 1848-1860. Nella versione originale pubblicata dalla Cattedra italiana di pubblicità – Editrice in Treviso 1927 in occasione del cinquantenario del 27 maggio 1860. 
Fa parte del volume: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano. 
Pagine 525 - Prezzo di copertina € 24,00
Disponibile presso La Feltrinelli Palermo e in tutti i siti di vendita online. 
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 


mercoledì 10 ottobre 2018

Giuseppe Ernesto Nuccio e il 4 aprile 1860: Don Ciccio Riso raccoglie le armi... Tratto da: Picciotti e Garibaldini.

Attraversata la Cala, Pispisedda gettò uno sguardo sul Castello a mare, fosco, che pareva urlasse minacce dalle innumeri bocche delle feritoie; ma attorno alla statua del Santo vide alcuni monelli, i quali faceano la ronda con alte, gioconde grida come a sfidar il colosso immane.
Giunsero al Borgo. Il mare, a destra, battuto in pieno dal sole, avea vividi riflessi madreperlacei; a sinistra, dinanzi le piccole case dei pescatori, ruzzavan bimbi che parean fusi nel bronzo. In fondo alla piazza, il mercato risonava delle grida alte dei pescivendoli, che vociavano il pesce. Pareva a Pispisedda che, in quel luogo, la gente vivesse più libera che nella città, forse perchè stava sempre al cospetto del libero mare. Invece, più in là, l’immane mole della Vicarìa gettava tutt’intorno un vivo senso d’oppressione, tanto più che Pispisedda ebbe la visione di due occhi foschi dietro un finestrino; forse gli occhi folli di rabbia del povero Rocco.
Finalmente giunsero ai Colli. Giuseppe Bruno stava ad aspettarli.
Esaminò i barili; ma erano tuttavia bagnati. Non potevan recar le cartucce chè l’umidità le avrebbe guaste. E come si riparava? Come? Non c’era che da far asciugar presto i barili. Ma per far quello bisognò correr a Palermo e chiamar don Giovambattista Piazza il bottaio, il quale scoperchiò i barili, che, messi al sole, s’asciugarono ben presto. Allora otto furono ripieni di cartucce e quattro di vino. E si riprese la via del ritorno. Don Giuseppe Bruno e il fratello Domenico s’accompagnarono ai carrettieri. Pispisedda, ch’era rimasto lontano quando avevano riempito i barili e aveva fatto le viste di nulla accorgersi, ora veniva riguardando con aria smarrita quei fratelli Bruno di cui aveva sentito proclamar l’alto coraggio mostrato nella rivoluzione di dodici anni avanti. E bisognava, con quel carico, passar davanti all’uffizio daziario dove le guardie avrebbero saggiato l’interno dei barili. E se si fossero accorti che contenevano cartucce invece di vino? Non li avrebbero tratti immantinente alla fucilazione? Ma così saldo appariva l’animo di quelli, dalla imperturbata serenità dei visi, che Pispisedda non provò un momento di esitazione e accompagnò il cantilenare malinconioso dei carrettieri.
E giunsero all’ufficio del dazio che era accanto alla casina Airoldi. Quando le guardie s’avvicinarono al carro, Pispisedda sentì schiantarsi il cuore e serrò gli occhi. Visse un attimo di ansia vivissima, tese gli orecchi, parendogli d’udire, da un momento all’altro, le grida minacciose delle guardie. Ma non udì che la voce calma del carrettiere “Dodici barili: tutto vino!” e poi: “Baciamo le manu, brigadiere” e le zampate del cavallo e il cigolio delle ruote.... Salvi!
In piazza Ucciardone scontrarono Filippo Mortillaro, Giuseppe Bivona e Giuseppe Virzì.
- È arrivato bene il vino?
- Meglio non poteva arrivare.
Li aveva mandati don Ciccio Riso, il quale viveva in ansia. Giunsero in via Vetriera quattro ore dopo il tocco. Come giunsero, Pispisedda scorse don Ciccio Riso che accorreva incontro a loro con un lampo di viva gioia nell’occhio nero: – Bene! – mormorò; e non disse altro e aiutò febbrilmente a scaricar nella sua casa i barili.



Giuseppe Ernesto Nuccio: Picciotti e Garibaldini. Romanzo storico ambientato a Palermo nella Rivoluzione del 1859-60
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice Bemporad nel 1919, con le illustrazioni dell'epoca di Alberto della Valle. 
Prezzo di copertina € 22,00 - Pagine 511
Disponibile in libreria e in tutti i siti vendita online. 
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it

lunedì 1 ottobre 2018

Giuseppe Ernesto Nuccio e la rivolta della Gancia: la notte del 31 marzo 1860

E davvero pareva che tutto andasse bene!
La notte del 31 marzo Pispisedda e i suoi amici si trovavano accoccolati, come stessero a dormire, negli angoli di via Alloro. Pispisedda stava in un angolo dell’atrio della casa di don Enrico Albanese e doveva dare il segno a Centolingue che stava poco discosto, perchè facesse la voce del gatto se i birri fossero vicini e quella del cane se fossero lontani.
Soltanto Pispisedda conosceva la cagione di quella guardia, che egli e i suoi compagni facevano. Era l’Indovino, che, ignoto a molti, aiutava dall’ombra i preparativi per la rivoluzione. I picciotti non sapevano altro che questo: bisognava dare il segno se scorgessero pattuglie, senza conoscere a chi quel segno giovasse; i picciotti intendevano oscuramente che essi lavoravan contro i birri e rischiavan la libertà, e di questo erano paghi.
Pispisedda faceva le finte di russare per non mettere in sospetto quelli che potevano entrare; ma guardava sott’occhi quando, sotto la debole luce del fanale, passava qualcuno dei congiurati, che, rapidi, guardinghi, rasentando i muri venivano nella casa dell’Albanese.
Aveva scorto don Enrico Albanese a sbiluciar dalla finestra del suo studiolo nell’ansia dell’attesa. Ed ecco, l’un dietro l’altro, don Giambattista Marinuzzi, don Casimiro Pisani, don Ignazio e don Silvestro Federico e quindi don Giuseppe Bruno Giordano, don Antonio Lo Monaco, don Francesco Perroni Paladini, don Andrea Rammacca e don Antonio Urso, l’uno dopo l’altro, leggeri e muti a scivolar come ombre lungo il muro alto e a imbucarsi nell’atrio.
Ma la porta ancora non si serrava, e ancora, di quando in quando, Pispisedda intravedeva don Albanese affacciarsi a spiar nel cortile. Aspettavano qualche altro?
Pispisedda affissava la massa d’ombra che affittiva presso l’entrata, quand’ecco scòrse una piccola figura nera, come quella di un giovanotto. Non potè trattenere una esclamazione nello scorgere don Ciccio Riso che passava sotto la debole luce del fanale.
“C’era anche lui dunque?”.
E come questi entrò, la porta e gli scuri furono serrati. Non aspettavano altri, dunque.
Se c’era don Ciccio Riso voleva dire che quella notte avrebbero deciso la data della sommossa. Da mille segni Pispisedda aveva capito che don Ciccio Riso si spazientiva ad aspettare; lo irritava certamente quel discutere continuo, quell’andarsi radunando di qua e di là perdendo del tempo. Pispisedda lo aveva capito non dalle parole, ma dai gesti. Don Ciccio Riso taciturno com’egli era, usava parlare con se stesso e agire, non poteva soffrir quelle continue discussioni dove si disperdeva inutilmente tanto calor d’entusiasmo. Bisognava cominciar presto, facea capir sempre, perchè, da un momento all’altro, Maniscalco poteva scoprir quei preparativi, arrestar tutti e sequestrar le armi.
Dunque, certamente, quella notte, avrebbero presa una decisione definitiva, tanto più che Pispisedda aveva sentito raccontar dall’Indovino al Marchese, misteriosamente, che da Messina avevano annunziato, per i primi di aprile, lo sbarco di due famosi capi siciliani rivoluzionari del ‘48.
Oh se egli avesse potuto trovarsi, piuttosto che accovacciato come un cane nel cortile, framezzo a quegli uomini che stavano per dire: “Il tal giorno comincerà la guerra!”.




Giuseppe Ernesto Nuccio: Picciotti e Garibaldini. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1859-60, che ha come protagonisti gli adolescenti che vissero la rivoluzione siciliana.  
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice Bemporad nel 1919 con le illustrazioni dell'epoca di Alberto della Valle.
Pagine 511 - Prezzo di copertina € 22,00
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 

Giuseppe Ernesto Nuccio e la rivolta della Gancia: Fedele incontra Francesco Riso - Tratto da: Picciotti e Garibaldini

All’imboccatura di via Vetriera, Pispisedda sussurrò a Fedele:
- Ora ti mostro l’entrata di Terrasanta, dove sono i magazzini di don Ciccio Riso. Guarda nel cortile della Gancia, così, a mano dritta. Lo scorgi quel portone sul quale stanno due braccia di pietra incrociate? Quello è il portone di Terrasanta: tu entri e ci trovi un giardinuccio mal tenuto; a mano dritta ci sono i cameroni dove serbiamo le armi. Ma guarda la casa di don Ciccio Riso: è dinanzi al portone di Terrasanta. Li vedi i mucchi di pietre, di calcina, di rena e le travi?... Quello è il posto dove si lavora.... Zitto, viene qualcuno. Tiriamo avanti per la via Vetriera.
Fedele non parlava; commosso dalle rivelazioni del suo amico Pispisedda. Come mai quel piccolo monello spensierato, giovialone, andava a cacciarsi in quei pericoli?
- Senti, – disse Fedele – e se Pontillo ti prendesse?
- Speriamo che non ne abbia il tempo!
- Ma se ti agguanta prima del....
- Così è il gioco; uno può perdere; ma può vincere.
- E se perdi?
- Se perdo faccio la fine di quelli della Fieravecchia.... To’, zitto, viene don Ciccio Riso. 
Fedele ebbe un sussulto a quel nome e affissò l’uomo che veniva avanti. Era un giovane di media statura, mingherlino, dall’andatura franca quasi spavalda; vestiva un abito di velluto marrone a righe e calzava corti stivali; sul petto gli svolazzava un’ampia cravatta turchina. Come giunse presso i due, li squadrò da capo a piedi, e fermandosi chiamò:
- Pispisè.
- Servo suo – rispose questi.
- Che vai facendo da queste parti?
- Niente, passavo col mio amico.
- Chi è?
- È Fedele, di Boccadifalco.
Fedele fissava don Ciccio Riso con un tremito nel cuore aspettando quasi, da quell’uomo parole straordinarie. Ma su quel viso color di bronzo caldo si rifletteva la luce di due grandi occhi penetranti, che scavavano l’anima e riflettevano l’intensa vita interiore. Era il viso d’un taciturno uso a parlar più con se stesso che con gli altri.
- Fedele ti chiami?... È un nome giusto.... Bravo! – gli disse don Ciccio Riso, battendogli la spalla. Stette un po’ indeciso come volesse aggiungere qualche cos’altro, poi bruscamente disse: – Vi saluto – e si allontanò rapidamente, scomparendo nel cortile.
- È ricco, – disse Pispisedda – ma alla mano, come un fratello; e tutti i muratori, i falegnami, i carrettieri, i fontanieri gli vogliono bene, un bene dell’anima; e quello che lui vuole, fanno; e se dice: buttatevi a mare, lo fanno anche. 
Si lasciarono nella discesa dei Giudici ripetendosi l’appuntamento per le cinque ore di notte dinanzi al teatro Carolino.



Giuseppe Ernesto Nuccio: Picciotti e Garibaldini. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1859-60, che ha come protagonisti gli adolescenti che vissero la rivoluzione siciliana.  
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice Bemporad nel 1919 con le illustrazioni dell'epoca di Alberto della Valle. 
Pagine 511 - Prezzo di copertina € 22,00
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Nella foto: Francesco Riso. 

giovedì 13 settembre 2018

Luigi Natoli e il Risorgimento siciliano. Tutti i romanzi e gli scritti storici editi I Buoni Cugini editori


Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano. Il volume contiene: Storia di Sicilia dalla Preistoria al Fascismo (Ed Ciuni anno 1935 - Per la parte di storia siciliana che va dal 1820 al 1860). La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910). Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV fasc. II Febbraio 1938 - XVI). I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto da "La Sicilia nel Risorgimento Italiano - anno 1931) Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927). 
Pagine 525 - Prezzo di copertina € 24,00
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 

Braccio di Ferro avventure di un carbonaro. Romanzo storico siciliano ambientato nella rivoluzione di Palermo del 1820.
Pagine 342 - Prezzo di copertina € 22,00
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online.
Il volume è corredato dalle illustrazioni di Niccolò Pizzorno 





I morti tornano… Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1837 travagliata dal colera. 
Pagine 384 - Prezzo di copertina € 22,00
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online .
Il volume è corredato dalle illustrazioni di Niccolò Pizzorno 





Chi l'uccise? Un giallo storico ambientato nella Palermo del 1848 che culmina con la rivoluzione del 12 gennaio. 
Pagine 146 - Prezzo di copertina € 13,50
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 
Il volume è corredato dalle illustrazioni di Niccolò Pizzorno 





I tre romanzi sul Risorgimento di Luigi Natoli sono disponibili in un unico volume che racchiude: 
Braccio di Ferro avventure di un carbonaro
I morti tornano…
Chi l'uccise?
Pagine 881 - Prezzo di copertina € 24,00
Il volume è corredato dalle illustrazioni di Niccolò Pizzorno 




Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine 700, dove le avventure del protagonista Corrado Calvello si intrecciano con quelle di Francesco Paolo Di Blasi.
Prezzo di copertina € 25,00 
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 






Giuseppe Ernesto Nuccio: Pispisedda presenta i "picciotti" a Fedele. Tratto da: Picciotti e Garibaldini


L'alba si apriva nel cielo d'oriente con tenerezza grande. Fedele fu il primo a svegliarsi e come vide che Pispisedda si stropicciava gli occhi e stirava le braccia, spalancando la bocca in uno sbadiglio lungo e rumoroso, gli disse:
- Pispisedda, me ne vado.
- A quest'ora? A quest'ora i tuoi dormono la grossa; se il sole non cala a piombo sulle case non si levano. Io lo so.
- Sarà vero; ma mia madre, a quest'ora si sarà levata.
- E che premura hai?!... Voglio farti conoscere tanti picciotti amici, vieni. 
E se lo tirò appresso fino a piazza Magione, dov'era il mercato delle frutta, che cominciava già a popolarsi.
A mano a mano che i picciotti giungevano, Pispisedda li additava a Fedele:
- Ecco Sautampizzu, famoso saltatore; sorpassa un muro alto, con un lancio; balza sui muri dei giardini, alleggerisce gli alberi; arrampicandosi pei tubi dell’acqua e per le cimase tasta se tra le zucche appese sui muri accosto alle finestre, non ce ne sia qualcuna che vada a male e convenga levarla dalla compagnia delle altre.
Ecco Cacciatore, tiratore abilissimo; con una sassata coglie un uccello a volo, e dà il tocco alla campana canterina del campanile di Sant'Anna; se vai a Porta Nuova, in bocca ad uno dei giganti di pietra ci trovi un sassolino che sembra un mozzicone di sigaretta; ce l’ha buttato lui… per far fumare il gigante. 
Ecco Ferraù: più forte del principe saraceno, torce una barra di ferro con le mani; con un pugno stordisce un cavallo; dieci di noi, se vogliamo tenerlo fermo, ci manda a gambe in aria.
Ecco Centolingue; sa fare il grido di tutti gli animali: del cane, del gatto, della pecora, del bue, del ciuco, del maiale, del pipistrello, del gufo.
Ecco don Gaetanino: sa contare tutta la storia dei Reali di Francia, dei Paladini, di Bovo d'Antona, quello mezzo uomo e mezzo cavallo.... ed è coraggioso come.... Gano di Magonza. 
E la presentazione continuò un bel pezzo, mentre i picciotti, facendo spallucce, sbirciavano dall'alto in basso Fedele, che, per essere un pecoraro, stimavano di una razza inferiore alla loro. I monelli, per quanto scalzi si fossero e col vestito a brandelli erano cittadini di Palermo, la capitale, dove ci soleva stare il Re in persona. Da più anni il Re “in persona” non ci stava in Palermo e ciò era anche cagione dell'odio che sentivano i Palermitani per Casa Borbone.
Intanto, nella piazza del Mercato, la folla si veniva affittendo, il gridìo si faceva più alto, sì che Fedele, abituato ai silenzi dei monti, disse a Pispisedda:
- Me ne voglio andare: insegnami la via, ora che mi hai condotto fin qui.
E s'incamminarono.
- Questa è la Fieravecchia dove undici anni fa cominciarono a cacciare i soldati, dove nove anni fa presero Garzilli – veniva dicendo Pispisedda. – Questo è il teatro di Santa Cecilia; e questa è la chiesa di Sant'Anna, questo è il teatro Carolino, questi sono i Quattro Cantoni, ed eccoti a piazza Bologni. Quella è la statua del re Carlo V che dice: “Se il sangue non sarà alto un metro nelle strade di Palermo i birri del Borbone non se ne andranno”. Guarda, quanti ce ne sono di birri davanti al Commissariato; quello vicino la statua è la sentinella che ci sta notte e giorno. Ed ora ti saluto; mi dovresti dare la mancia come la dànno gl’Inglesi con le basette e gli occhiali verdi e il libro sempre nelle mani; ma noi siamo amici e non la voglio. Piuttosto, dimmi quando ci rivedremo?  
Fedele sorrideva malinconicamente; egli amava di già quel monello piccinino come una statuina di terracotta abbronzata; quel monello, con la bella grossa testa ricciuta, dove gli occhioni verdognoli si aprivano come grandi finestre sul mare agitato, che gli aveva fatto tanto bene, così, spensieratamente; e gli pareva di conoscerlo da molto tempo e lo appaiava di già alle altre persone che gli erano care: la madre, la signora Bianca, Rocco e Giulia e il padre suo, morto, ma tanto dolce nella memoria.
- Ci rivedremo presto o qui in città o lassù a Baida. Vieni a trovarmi e staremo insieme come fratelli; lassù l'aria buona ti farà crescere come un pioppo e sarai libero.
- Sì, ma più tardi, se scendi, mi trovi ai Quattro Cantoni o nei quartieri della Kalsa, vicino la chiesa della Gancia. Quando mi dice la testa, faccio il muratore; lavoro da don Ciccio Riso in via Vetriera. Tu puoi venirmi a trovare anche colà.
- Ti saluto.
- Servo suo – fece il monello sberrettandosi e stemperando in una sghignazzata un sorriso affettuoso. 



Giuseppe Ernesto Nuccio: Picciotti e Garibaldini. Romanzo storico nella Palermo del 1859-60.
Nella versione originale pubblicata dall'editore Bemporad nel 1919
Prefazione del dott. Rosario Atria. - Corredato dalle illustrazioni dell'epoca di Alberto della Valle
Pagine 511 - Prezzo di copertina € 22,00 
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicugineditori.it 
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 


Giuseppe Ernesto Nuccio: Picciotti e Garibaldini. Romanzo storico ambientato nella Palermo del 1859-60

Il romanzo Picciotti e Garibaldini di Giuseppe Ernesto Nuccio fu pubblicato in volume nel 1919, con illustrazioni di Alberto Della Valle, per i tipi della casa editrice fiorentina R. Bemporad & Figlio, che aveva assorbito sul finire del secolo decimonono la Libreria Editrice Felice Paggi ed era particolarmente attiva sul fronte delle proposte per i più giovani: figuravano già, all’interno del suo catalogo, opere di grande fortuna e popolarità afferenti al filone della narrativa per ragazzi, come Le avventure di Pinocchio di Collodi e Il giornalino di Gian Burrasca di Vamba.
Una prima versione del lavoro di Nuccio, con titolo I Picciotti (“i ragazzi”, in dialetto siciliano) e illustrazioni di Filiberto Scarpelli, era apparsa tra il maggio 1910 e il luglio 1911 sul “Giornalino della Domenica”, prodotto editoriale di punta della Bemporad. Significativa era la scelta del titolo, perfettamente in linea con il pubblico di riferimento del
noto settimanale illustrato, che si rifaceva ai modelli tardo-ottocenteschi del “Giornale per i Bambini” e del “Giornale dei Fanciulli”, ma guardava anche alla più recente esperienza della rivista transalpina “La Semaine de Suzette”, proponendosi di offrire al «giovine pubblico» borghese dell’Italia unita una lettura «educatrice senza esser noiosa». Il “Giornalino” si offriva ai piccoli lettori in una veste grafica accattivante, giovandosi del contributo artistico di giovani illustratori di talento, e – aspetto tutt’altro che secondario – della collaborazione di alcuni tra i più importanti esponenti del mondo letterario italiano.Un progetto di grande fascino e respiro, che portò però l’editore nel 1908 ad un deficit d’impresa: Bemporad lasciò l’iniziativa nelle mani di Bertelli, il quale riuscì a differire di qualche anno il momento della chiusura della rivista, poi disposta nel 1911.[Nell’immediato dopoguerra, il periodico riaprì i battenti, pubblicato dall’editore fiorentino Somigli, sempre sotto la direzione di Bertelli.
Ebbene, il romanzo di Giuseppe Ernesto Nuccio si inseriva in modo organico all’interno di un preciso programma di formazione del carattere nazionale, orientato verso un pubblico di giovanissimi lettori, figli della buona borghesia italiana e destinati a costituire la futura classe dirigente del Paese: progetto che, nella ricorrenza del cinquantenario dell’impresa garibaldina, intendeva anche veicolare tra i giovani della Penisola la conoscenza, per via narrativa, di snodi significativi del Risorgimento e dell’Unità d’Italia.  Va detto che, al tempo in cui scriveva Nuccio, il romanzo storico attraversava una stagione di flebile vitalità: erano ormai lontani per il genere i fasti di primo Ottocento, indissolubilmente legati alla spinta rivoluzionaria ed anzi – come ha sostenuto Vittorio Spinazzola – in età postunitaria s’era andato affermando il romanzo antistorico, particolare evoluzione del genere che si fondava sulla negazione della storia come progresso: basti pensare alle opere di ambientazione contemporanea o ultra-contemporanea di Verga, De Roberto, Pirandello, che registrano il fallimento delle speranze rivoluzionarie, denunciando l’incompiutezza del nostro Risorgimento.  Chi scriveva per un pubblico giovanile doveva mostrarsi abile nel coniugare l’intento didascalico-paideutico con quello ludico. La sfida era quella di concepire delle storie che appagassero la legittima attesa di un piacevole svago da parte dei ragazzi, senza dispiacere ai più grandi, anzi – se possibile – attraendoli nella schiera dei fruitori. Per questa ragione, la narrativa per ragazzi si configurava, precipuamente, come narrativa sui ragazzi, portando in scena protagonisti e personaggi della stessa età dei lettori, così da permettere il processo di immedesimazione e favorire il loro coinvolgimento nel testo. In quest’ottica è da inquadrare la presenza di una nutrita schiera di giovanissimi tra i personaggi dell’opera di Nuccio: da Fedele (il pecoraio di Boccadifalco, nel segno del quale s’apre il romanzo) a Rocco (che narra a Fedele, suo fratello di latte, le gesta di Crispi, Mazzini, Garibaldi, con un trasporto tale da accendere e far divampare anche in lui il fuoco rivoluzionario); da Turi a Pispisedda (il monello che aiuta don Ciccio Riso a preparare le armi per la rivoluzione e, pian piano, assurge a protagonista del racconto), ai picciotti tutti (Sautampizzu, Cacciatore, Ferraù, Centolingue, don Gaetanino): figli di Sicilia che si mischiano ai garibaldini, facendo fronte comune contro i Borboni e sacrificando, in tanti casi, la vita sull’altare di un sogno condiviso: la patria….

Dalla prefazione del dott. Rosario Atria 

Nella foto: La prima edizione pubblicata sul "Giornalino della Domenica" del 1911 dal titolo "I Picciotti". Illustrazione di Scarpelli. 



Giuseppe Ernesto Nuccio: Picciotti e Garibaldini. Romanzo storico sulla rivoluzione del 1859-60. 
Pagine 511 - Prezzo di copertina € 22,00. Con le illustrazioni di Alberto della Valle tratte dalla edizione Bemporad 1919. 
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 

lunedì 23 luglio 2018

Gaspare Morfino: Dopo il 4 aprile. Racconto contemporaneo.

Dopo il 4 aprile di Gaspare Morfino vide la luce a Palermo nel 1861, l'anno della proclamazione dell'Unità d'Italia, a pochi mesi di distanza dalla vittoriosa conclusioen della spedizione dei Mille in Sicilia; di qui la scelta di presentarlo ai lettori come racconto contemporaneo, narrazione quasi in presa diretta degli eventi memorabili che avevano portato alla liberazione della città di Palermo e dell'Isola. All'indomani di quei fatti che avevano infiammato il popolo siciliano e l'avevano visto attivamente partecipare alla cacciata del Borbone, al fianco delle camicie rosse, il processo unitario era tutt'altro che concluso, mancando ancora all'appello Roma e le Tre Venezie, che restavano rispettivamente sotto il controllo pontificio e austriaco: la rievocazione per via narrativa di quei momenti gloriosi era così funzionale a tenere vivo e anzi ad alimentare l'ardore patriottico, in vista delle nuove battaglie da combattere per il completamento dell'Unità. 
Secono una prassi al tempo diffusa, nel racconto di Morfino la storia s'intreccia a elementi che appartengono all'universo del popolare. L'autore evita opportunamente di cedere al patetismo tipico di molta letteratura sentimentale ottocentesca e propone una lingua viva, ricca di coloriture lessicali e gergali, che si sostiene su un periodare breve, agile, minimalista nella punteggiatura, scegliendo la chiave dell'ironia per rinsaldare il patto narrativo con lettori e lettrici che presumeva fossero stati testimoni diretti dell'impresa garibaldina. 

Rosario Atria 

Dottore di ricerca dell'Università di Palermo, italianista, è autore di studi sulla poesia del Due-Trecento, sulla narrativa storico-popolare dell'Ottocento, sulla lirica leopardiana, sulla narrativa del secondo Novecento. Si interessa anche di storia e letteratura archeologica di Sicilia. 

Gaspare Morfino: Dopo il 4 aprile. Racconto contemporaneo sulla rivoluzione siciliana del 1860. 
Riproduzione del rarissimo romanzo pubblicato nel 1861. 
Pagine 102 - Prezzo di copertina € 12,00
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 
Sconto del 15% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Copertina di Niccolò Pizzorno.