Dopo Novara non rimangono in Italia che tre luoghi dove
ancora sventola la bandiera tricolore: la Sicilia, Roma, Venezia. Prima a
cadere è la Sicilia. Le giornate dell'aprile in Catania hanno un'eco a Roma. Il
deputato Bonaparte, nella seduta del 24 aprile ha accenti accorati per la “generosa
Sicilia”; e quando il re di Napoli si apparecchia a muovere contro Roma per
insediarvi il papa, i Triumviri, annunziando la spedizione, chiamano i Romani
a vendicare il sangue dei “fratelli di Sicilia”.
“Il sangue dei migliori fra i patriotti napoletani, il
sangue dei nostri fratelli di Sicilia pesano sulla testa del re traditore. Dio
acceca i perversi e dà forza ai difensori del diritto, e vi sceglie i Romani, a
vendicatori”.
E non è a tacere qui una prova di simpatia data da Felice
Orsini, in quel torno di tempo. Egli era stato spedito qual commissario ad
Ascoli per redimere il brigantaggio organizzato da legati del papa, e sorretto
anche dal re di Napoli.
Avuti in mano tre dei principali colpevoli, questi furono
condannati a morte. Ma l’Orsini li aggraziò della vita, con la speranza di
ottenere in cambio la liberazione dei siciliani catturati col Ribotti nella
infelice spedizione in Calabria, e chiusi nelle prigioni di Napoli. Speranza vana.
Nessuno ha mai pensato se fra’ difensori di Roma vi
fossero siciliani, e di raccoglierne i nomi. Io ricordo fra i combattenti i
giovani pittori Giaconia e Rindello, un altro, Luigi Amodei, palermitano,
apparisce nel giugno del '49 col grado di colonnello, doveva godere riputazione
di perizia in lavori di ingegneria militare.
L'esercito
della repubblica non aveva un Corpo del Genio; v'erano zappatori e guastatori e
ufficiali improvvisati; e intanto urgeva
provvedere ad alcune opere di fortificazione indispensabili dopo gli assalti e
le posizioni guadagnate dai francesi. Si cercò l'uomo più adatto, e la scelta
cadde sull'Amodei, che ideò una serie di approcci per controbattere le parallele francesi; e di passaggi coperti
per mettere in comunicazione i casini, che erano tenuti ancora dai legionari di
Roma, con la città. Il progetto fu approvato dai Triumviri, e il 5 giugno
l'Amodei vi pose mano. Ma le braccia erano scarse, e se ne richiamò a
Garibaldi, che protestò vivamente. Mazzini si moltiplicò per trovar quanti più
lavoratori si potesse, e i lavori furono spinti innanzi: ma l'Amodei, per uno
di quegli scatti impulsivi che Garibaldi ebbe frequenti durante il memorando
assedio, non li compì. Ed ecco perché. Durante i lavori, qualche compagnia del
reggimento Unione attaccò, non ostante gli ordini proibitivi, gli avamposti
francesi, con suo danno. Garibaldi accorso e fiammeggiante di collera, credette
che il combattimento fosse stato ordinato dall'Amodei, e senza voler udir
altro, lo fa arrestare, chiudere a Castel S. Angelo, sottoporre a consiglio di
guerra. Ma dal processo balzò netta e chiara l’innocenza dell'Amodei; le
compagnie dell'Unione, avevan fatto di lor capo. L'Amodei fu liberato, ma la
direzione dei lavori era stata già data ad altri.
Che cosa sia avvenuto poi dell'Amodei, non so.
Quando la repubblica cadde, la Sicilia era già stata
ripresa dal Borbone, e i suoi migliori figli dispersi per l’Europa vi recavano
il dolore della libertà conculcata, ma con questo dolore quanta e quale
ricchezza di virtù d'intelletto e di cuore, e di quale e quanto onore Ruggero
Settimo, F. P. Perez, Enrico e Michele Amari, Giacinto Carini, Francesco
Crispi, il principe di Scordia, Francesco Ferrara, Giuseppe La Farina,
Giuseppe La Masa, il marchese di Torrearsa, Pasquale Calvi, Mariano Stabile e
tanti e tanti altri, non illuminarono il nome Siciliano?
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