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martedì 22 novembre 2022

Luigi Natoli: Si costituivano qua e là Comitati... Tratto da: La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione.

Il prete Domenico Mastruzzi compose un fervido proclama, che venne in potere della polizia; onde egli fu preso, e martoriato dal tenente dei gendarmi De Simone, maestro di crudeltà; e mandato a giudizio con altri, ne avevano condanna ai ferri. Ciò non impedì che si costituisse un comitato centrale esecutivo, in relazione col comitato di Londra di cui era anima il Mazzini, e fedeli interpreti France­sco Crispi e Rosolino Pilo, infaticabili sempre; e coi comitati degli esuli di Genova, Marsiglia, Parigi e Malta: e già concertata ogni cosa per insorgere, si provvede­vano i mezzi finanziari, quando per la troppa fiducia di uno dei cospiratori e di un prete, la polizia ebbe nelle mani le fila della vasta trama: il prete, un tal Papanno, ottuagenario, ne morì di cordoglio nelle prigioni, dove molti altri marcirono. Ma per venti cospiratori arrestati, altri cinquanta sorgevano a prenderne il posto; ché i pro­cessi mostruosi imbastiti su semplici indizi, e le prigionie crudeli e le torture non sgomentavano e non intiepidi­vano i cuori.
Le carte degli archivii contengono i nomi di questi generosi, molti dei quali noi conoscemmo vecchi, sem­plici e modesti, vivere dimenticati nell'ombra, senza van­terie e senza lamente.
(1853) Si costituivano qua e là comitati, e uno più numeroso in Palermo, con antichi e nuovi elementi: del quale faceva parte G. Vergara di Craco, Luigi La Porta, Salvatore Spinuzza, Francesco Bentivegna, Vittoriano Lentini, Enrico Amato, Pietro Lo Squiglio, Mario Emanuele di Villabianca; e molti altri; v’entravan pure i fratelli Sant’Anna, i fratelli Botta e di Termini il dottor Arrigo e Giuseppe Oddo, da Girgenti i fratelli Grammitto. Mazzini incorava con le sue lettere di fuoco; e l’opera di propaganda e di preparazione era andata così alacremente innanzi, che s’aspettava per insorgere l’invio di quattrocento uomini, dal Mazzini promessi per guidare la rivoluzione. L’annunzio del prossimo viaggio del re Ferdinando arrestò il lavoro dei liberali, non le repressioni della polizia; anzi, avendo essi, di notte, listato di sangue il servile proclama del decurionato, che annunziava la venuta del re, il De Simone, il Pontillo e altri uguali strumenti del Maniscalco furono sguinzagliati in caccia di quanti erano sospetti amatori di libertà o secreti agitatori. E le carceri si empirono di nuovi arrestati, che tuttavia sfidando i pericoli della rigida vigilanza, corrispondevano coi compagni rimasti liberi.
(1856) Il comitato s’era ricostituito per impulso di Salvatore Cappello, e ne facevano parte Onofrio Di Benedetto, Tomaso Lo Cascio, Salvatore Buccheri e Giacomo Lo Forte. Si era posto in relazione coi fratelli Agresta di Messina, i fratelli Caudullo e Tomaso Amato di Cata­nia, i fratelli La Russa e Mario Palizzolo di Trapani, agitatori e anima anch’essi dei comitati di quelle città: corrispondeva in Marsiglia con Rosario Bagnasco, in Malta con Giorgio Tamaio e Fabrizi, in Genova coi fratelli Orlando, che lo mettevano in relazione con Crispi, Rosolino Pilo e Mazzini.
(1859) Il comitato direttivo di Palermo si era in quei giorni ricostituito con l’architetto Tomaso Di Chiara, col dot­tore Onofrio Di Benedetto, coi fratelli Salvatore e Raffaele De Benedetto, Salvatore Cappello, conte Antonino Fe­derico e Salvatore Buccheri: ad esso facevan indi capo per legame con questo o con quello dei membri, Gio­vanni Faija (non Emanuele o Antonino come altri scrisse), Domenico Corteggiani, Andrea Rammacca, Giovan Bat­tista Marinuzzi, Rosario Ondes-Reggio, Giuseppe Campo, il barone Pisani, Martino Beltrami-Scalia; e, allargan­dosi ancor più le fila, Francesco Perrone-Paladini, En­rico Albanese, Giuseppe Bruno-Giordano, Andrea d’Ur­so, Antonino Colina, molti altri, quasi tutti provati nella rivoluzione del 1848.
Altro convegno di liberali, senza formar per questo un vero comitato, s’adunava in casa del dottor Gaetano La Loggia, e vi convenivano, oltre il Pisani, Ignazio Federico, Antonino Lomonaco-Ciaccio, il barone Ca­marata-Scovazzo, i quali ben presto, per mezzo dei co­muni amici, entrarono e si fusero con quel comitato.
(1860) I vuoti prodotti dagli arresti infatti erano stati ricol­mi; nuovi comitati si costituivano, con vecchi e nuovi elementi, e con più fervore; autonomi dapprima, e quasi ignari l’un dall’altro; ogni quartiere ne aveva uno; poi per mezzo di cospiratori che entravano nell’uno e nell’altro, si mettevano in rapporti. I fratelli De Bene­detto, Antonino Lomonaco-Ciaccio, i due Pisani padre e figlio, il barone Camarata-Scovazzo, Enrico Albanese, il Beltrami-Scalia, il Marinuzzi, il Rammacca, il d’Urso, Ignazio Federico ne formavano uno; al quale poco dopo s’univano Gaetano La Loggia, Francesco Perrone-Pa­ladini, Mariano Indelicato, il Bruno-Giordano, Silvestro Federico, Salvatore Perricone. Contemporaneamente il principe Pignatelli, il barone Riso, il principino di Niscemi, il marchese di Rudinì, il padre Ottavio Lanza di maggiore autorità fra tutti, senza comporre un comitato vero e proprio, cospiravano anch’essi, tenendosi in rap­porto con la parte moderata e aristocratica dell’emigra­zione; ma entrati in relazione col comitato borghese, per mezzo del Pisani e del Brancaccio, non gli furono avari di aiuti e di incoraggiamenti. E il comitato si pose ala­cremente all'opera, spronato dalle lettere del Crispi, di Rosolino Pilo, degli Orlando, dell'Amari e degli altri esuli più ardenti; riordinava le fila della cospirazione coi comitati di Messina e Catania e del continente; Carmelo Agnese corriere postale e il Davì capitano marittimo portavano la corrispondenza; altra ne giungeva per mezzo del con­solato inglese e del consolato francese, il cui cancelliere Luigi Naselli, la mandava ai Campo e ai Peranni af­fidandola a Salvatore Tomasino, allora giovane e audace, ora vecchio e povero, abbandonato anche dall'arte sua di comico da cui traeva il pane.
(Maggio 1860): Tra queste agitazioni giungeva in Palermo la notizia dell’avvenuto sbarco di Garibaldi a Marsala; la quale empiva gli animi di speranze e di giubilo. Il comitato ne dava subito comunicazione al popolo con un piccolo avviso stampato alla macchia: “Garibaldi è con noi, e il suo nome suona vittoria. I nostri sforzi sono stati soddisfatti, compiuti i voti e le speranze. Non sia lordato di sangue il giorno del trionfo, e se nel periglio fummo intrepidi, siamo or generosi e magnanimi...”. 
Generosi verso i nemici che erano anch’essi Italiani.
Al quale proclama altro ne faceva seguire il giorno dopo, nel quale diceva al popolo “non esser più tempo di pacifiche dimostrazioni” dover ciascuno prepararsi alla lotta finale; ai soldati volgeva parole amichevoli, perché disertata la causa del tiranno e respinta ogni solidarietà col gendarme Maniscalco, si affratellassero col popolo. Da quel giorno imprendeva a stampare un “bollettino officiale” della rivoluzione, in contrapposto ai bandi e ai bollettini del governo.


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo nella parte di storia che va dal 1812 alla rivoluzione del 1820.
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 544 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su tutti gli store di vendita online e in libreria.

Luigi Natoli: I fratelli De Benedetto. Tratto da: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860.

Erano tutti stati attivissimi nel cospirare e appre­star armi alla rivoluzione, rischiando la vita e contri­buendo largamente del loro patrimonio; Salvatore era stato arrestato poco tempo innanzi; Raffaele e Pasquale eran fuggiti alle ricerche della polizia, e s'erano uniti con Rosalino Pilo; poi avevano raggiunto Garibaldi, e il 27 maggio li trovò nelle prime file. Il 28, Salvatore, uscito con gli altri dal carcere, corse a trovarli, ma Raffaele giaceva per la grave ferita toccata il 27 al ponte dell'Ammiraglio, e soltanto Salvatore e Pasquale poteron prender parte ai combattimenti che si svolge­vano nella città. Ora difendevano con le squadre e coi volontari la barricata del palazzo Carini; Pasquale audace, ferito già da una scheggia, pugnando a petto scoverto, cadeva colpito nuovamente da una palla al fianco; Salvatore, che gli stava di presso, accorso per sostenerlo, aveva da un'altra palla passato il cuore: caddero abbracciati sulla barricata, all'ombra della loro bandiera. 
Questa dei De Benedetto fu una famiglia di eroi per nulla inferiore a quella dei Cairoli. Raffaele combattè al ‘48, cospirò nel decennio di preparazione, fu coi fratelli massima parte della rivoluzione del 4 aprile, fu ferito a Palermo, seguì Garibaldi ad Aspromonte, combattè nel Trentino, morì eroicamente a Monte San Giovanni nel 1367, dinanzi a Roma. Salvatore e Pasquale morirono sulle barricate. Anche i due minori fratelli Luigi e Carmelo aiutarono le rivoluzioni, sebbene ancor giovinetti.

Nella foto il ritratto di Raffele De Benedetto esposto al Museo di Storia Patria di Palermo.

 

Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento. 
Il volume comprende: 
Premessa storica tratta da Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo nella parte di storia che va dal 1812 alla rivoluzione del 1820.
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 544 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno. 
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lunedì 14 novembre 2022

Antonino Cutrera: La nascita della Compagnia dei Bianchi. Tratto da: Cronologia dei giustiziati di Palermo 1541-1819.

Nella quaresima dell’anno 1541 venne a predicare nella cattedrale di Palermo, fra Pietro Paolo Caporella da Potenza, dell’ordine dei minori conventuali di San Francesco, il quale si fece iniziatore di due istituzioni, che ancora non esistevano nella nostra città: la fondazione del Monte di Pietà, intesa a liberare i poveri dalle esorbitanze dell’usura e la costituzione di una Compagnia, simile a quella fondata da S. Giacomo della Marca in Napoli, dedicata all’assistenza spirituale e morale dei condannati all’estremo supplizio.
Tali progetti furono ben accolti dal Vicerè D. Ferrante Gonzaga, principe di Molfetta, e dal Senato Palermitano. Difatti, nello stesse mese di aprile 1541 con la contribuzione del Senato di Palermo e di alcune cospicue famiglie, sorse il Monte della Pietà, e per opera del Vicerè, sorse la Compagnia del SS. Crocifisso della dei Bianchi, la quale dovea prestare: “aiuto et ausilio di quelli poveretti: i quali per la giusticia sonno condennati alla morte considerato che per li passati tempi erano questi andati alla morte senza consiglio et ricordo alcuno, in modo che molti di questi tali afflitti andavano di sorte, che lo più delle volte si dubitava del loro esito”.
Con l’autorizzazione del Vicerè, e sotto la direzione dello stesso Caporella, alcuni gentilhomini et honorate persone, si riunirono nella chiesa di S. Maria della Candelora presso l’ospedale di San Bartolomeo (La chiesa della Candelora era dietro l’Ospedale di S. Bartolomeo, ove sin dal 1533 esisteva una compagnia di nobili, chiamata della Carità, la quale aveva per istituto l’assistenza degli ammalati dell’Ospedale di S. Bartolomeo) per determinare tutto ciò che era necessario al nascente sodalizio. Dopo alcuni giorni, i neo confrati, avendo bisogno di un luogo più comodo, si riunirono nella chiesa di San Nicolò, dietro il convento di S. Francesco dei PP. Minori Conventuali. Essi furono in numero di quaranta e gettarono le basi del nuovo sodalizio, il quale non era riconosciuto ufficialmente.
Intanto il Vicerè diede incarico ai nuovi confrati di assistere due delinquenti condannati alla forca, e il “secondo del mese di Maggio 1541 con la gratia di quel pietoso Signore Christo Giesù benedetto questa santa et felice Compagnia uscì in campo con felicissimo principio, et non senza gran frutto delle anime di quelli che si giustitiarono perché mai mansueti agnelli come quelli andarno alla morte disposti verso del Signore accompagnate delli Angeli adorno al beato porto della salute. Il che quanta letitia donò a tutta la felice patria di Palermo, lodando tutti il Signore di tanto buono et Santo beneficio incominciato, non si potrebbe scrivere”.


Antonino Cutrera: Cronologia dei giustiziati di Palermo 1541-1819. 
Grazie alla preziosa consultazione dei suoi archivi, in particolare quelli curati dai gentiluomini della confraternita addetti al conforto morale e religioso dei condannati a morte, nasce quest’opera di Antonino Cutrera integrata con note del Mongitore, Villabianca, Auria, Pirri, Paruta, Di Marzo, Zamparrone, La Mantia ed altri ancora. Costituisce un completo e fedele studio dei secoli bui della giustizia terrena. Da questo l’autore esclude solo le esecuzioni capitali, che si fecero per sentenza del Tribunale dell’inquisizione, rimandando ad altri lavori precedentemente pubblicati.
Pagine 396 - Prezzo di copertina € 22,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su tutti gli store online e nelle migliori librerie.

Luigi Natoli: Le prime aspirazioni liberali e il giureconsulto Francesco Paolo Di Blasi. Tratto da Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860

Scoppiava la rivoluzione francese, che scuoteva dai cardini gli ordinamenti ancora medioevali della società, e gettava le fondamenta di un nuovo diritto pubblico. Le monarchie ne erano sgomente. La Corte di Napoli, assolutista, arrestò quel moto di riforme, che lentamente andava rinnovando lo Stato, più e meglio in Napoli, che in Sicilia, dove ostava la tenace resistenza dell’istituto parlamentare. La politica estera ondeggiò fra le paure, e le incertezze: si temettero moti interni; ogni aspirazione liberale fu detta giacobinismo; il sospetto guidò gli atti a una reazione. Tre giovani furono nel 1793 impiccati a Napoli, non rei che di innocua simpatia; ma più serio pericolo provocarono in Palermo altre condanne.
Già erano entrate le dottrine rivoluzionarie con la massoneria che aveva logge in Palermo, in Messina, in Catania, in Siracusa e nei minori centri; onde vi furono arresti, prigionie, processi, le cui carte si trovano ancora nell’Archivio di Stato. Vittima più illustre però fu l’avvocato Francesco Di Blasi, cadetto di nobile famiglia, dotto, autore di opere pregiate, giurista, che imbevuto delle dottrine rivoluzionarie, attirati alcuni giovani, fra cui dei militari, tutti della borghesia e delle maestranze, cospirò per abbattere il Governo, e proclamare la repubblica in Sicilia, fidando più nella generosità delle idee, che nella sicurezza dei mezzi. Doveva la rivolta scoppiare nella Settimana Santa del 1795, reggendo la Sicilia l’arcivescovo Lopez y Rojo, successo al Caramanico, improvvisamente morto: ma un delatore, certo Teriaca, avvertì l’Arcivescovo e il Comandante delle Armi, generale Walmoden. Il Di Blasi e i compagni furono arrestati e sottoposti a giudizio: egli, torturato, non accusò che sé stesso. Fu condannato con Giulio Tenaglia, Benedetto La Villa e Bernardo Palumbo; egli ebbe mozzato il capo, gli altri furono impiccati, il 31 di maggio nel piano di S. Teresa, oggi Indipendenza, tra lo squallore della città, e sotto la minaccia delle artiglierie del Palazzo. 
Prima di andare al supplizio il Di Blasi scrisse due sonetti. Furono essi i primi caduti per le nuove idee nel regno di Sicilia.(*)
Gli eccessi e le carneficine del Terrore e più il vilipendio della religione avevano suscitato nel clero di Sicilia e nelle popolazioni un grande orrore pei “giacobini”, i quali erano rappresentati come belve, nemici delle cose più sante: donde l’odio aumentato dalla tradizionale avversione pei francesi, che strinse la Sicilia intorno al trono. Cosicchè, calati i francesi in Italia, e temendo il Re un’invasione, l’Isola non fu sorda alle richieste di uomini e di denari. I grandi feudatari levarono milizie, le città offrirono le somme che poterono. Né la pace segnata fra il re Ferdinando e la Repubblica francese nel 1796 dissipò i timori.

Son note le vicende del regno di Napoli in quegli ultimi anni del secolo: la rottura della pace nel 1798, richiese nuovi sacrifici ai due Regni: si requisì l’oro e l’argento dei privati, che però non risposero tutti, pavidi di non esserne ricompensati.
Riaccesa la guerra con la Francia, re Ferdinando occupò guasconescamente Roma; ma i suoi eserciti, furono sconfitti ed egli ritornò rapidamente a Napoli; imbarcatosi la notte del 23 dicembre sul Vanguardia, vascello della squadra inglese, con la famiglia, la corte, l’ambasciatore britannico e le opere d’arte più pregiate, salpò per Palermo. Dopo una tempestosa traversata, nella quale morì il figlioletto Alberto, vi giunse la notte del 25, improvvisamente. La notizia, diffusasi per la città, destò commozione. Accolto con applausi, sbarcò prima il Re, e il giorno dopo verso sera la Regina. I Sovrani subito si misero all’opera per fortificare la Sicilia e riconquistare il regno perduto, mentre a Napoli entravano i Francesi, e vi istituivano la Repubblica Partenopea.
La Sicilia, illudendosi di riconquistare con la sua fedeltà il Re, e vedere di nuovo risplendere l’antica reggia, fece ogni sforzo per aiutarlo. Si lasciò depauperare, ordinò tre reggimenti, costruì cannoniere, offrì milizie volontarie, come se quella guerra fosse stata cosa sua. La Corte ebbe con sé in quel tempo la nobiltà per calcolo, le plebi per ignoranza e le vane speranze di miglioramenti, il clero per interesse e fanatismo; i faccendieri per speculazione; ma nel ceto medio intellettuale v’erano molti che vagheggiavano nuovi ordinamenti liberi, ed erano avversi alla Corte, che lo sentiva. Del resto l’Isola non era tranquilla; e non solo per cagione della guerra, ma pei disordini che scoppiavano qua e là contro i giacobini veri o supposti; donde scene di barbarie disonorevoli, cui si abbandonavano le plebi fanatiche.
Anche la nobiltà in qualche modo mutata, non fu servile; e quando la Corte abbandonò la Sicilia, non dissimulò il suo malcontento.

(*) L'autore illustra ampiamente la figura del giureconsulto Francesco Paolo Di Blasi nel romanzo storico Calvello il Bastardo. 


Tratto da: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Il volume comprende:
Il volume contiene:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 544 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
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Luigi Natoli: Noi in Sicilia demmo alla causa dell'Unità centinaia di morti... Tratto da: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860

Nel 1820 i Palermitani erano soli, e senza capi, e cacciarono le truppe napoletane, che eran cinquemila uomini con cannoni e cavalleria; e nel 1848 erano solissimi, quando costrinsero le truppe regie a lasciare Palermo. Le statistiche dànno che i siciliani combattenti non superarono le due migliaia, e i borbo­nici erano in Palermo, coi rinforzi sopraggiunti dodicimila! (127). E la lotta fra i regi fortificati nelle caserme e nel Castello, e il popolo della città e delle campagne, durò semplicemente ventisei giorni. Per ventisei giorni un popolo, bombardato, combattè; e non posò le armi se non quando l'ultimo dei regi, fuggendogli innanzi, lungo la marina di Solunto, non s'imbarcò. Non so quale altra città d'Italia abbia, fra le sue mura, combattuto ven­tisei giorni! Ma allora, forse, o le squadre e il popolo non si erano sufficientemente addestrati a fuggire, o erano d'accordo coi regi!
E sedici mesi dopo, quando le truppe borboniche, comandate dal Satriano, marciano su Palermo? Ma guar­date un po’ che cosa viene in testa alle squadre citta­dine! Invece di addestrarsi a fuggire, tengono in scacco per tre giorni i Napoletani; e non posan l'armi che per onorevole capitolazione.
E dopo il 4 aprile 1860? Piana, Mezzoiuso, Misil­meri, Alcamo, Partinico, Carini insorgono e mandano squadre sopra Palermo. Queste squadre incominciano una guerra tormentosa, e perfino compiono qualche eroico gesto. Duecento uomini o poco più, nel villaggio di S. Lorenzo, attaccati il 5 aprile da una forte colonna di regi, non soltanto non fuggono, ma fanno indietreg­giare i regi stessi: i quali tornano con cavalleria, e due altre compagnie fresche; perdono trenta uomini, e son costretti a ritirarsi un'altra volta. E di questi episodi ne avvengono a Bagheria, a Lenzitti, dovunque.
Il 21 maggio 1860, alla Neviera, queste squadre, che da oltre un mese vivevano sui monti, dormendo allo sco­perto, bagnati dalla pioggia, soffrendo la fame, sosten­gono l’urto di tre colonne borboniche. Vi perdono la vita, fra gli altri, Rosalino Pilo e Pietro Piediscalzi, ma salvano Garibaldi dall'essere assalito a Renda; ciò che nella migliore ipotesi lo avrebbe costretto a ritirarsi sopra Castrogiovanni; e addio rivoluzione. Questa è storia documentata; ma nondimeno si continuerà a ripe­tere che le squadre nel 1860, per compiacere il signor Guerzoni, il signor Luzio, e compagnia, fuggivano!
Rendere omaggio a quelli dei Mille che mori­rono o ebbero ferita, è dovere: ma tacere i nomi dei Siciliani caduti, negare anzi che si siano battuti, peg­gio ancora calunniarli, non è soltanto ingiustizia, è viltà.
Ma il torto è però nostro. Dal 4 aprile a tutto il 1860, noi in Sicilia demmo alla causa della libertà e dell'unità centinaia di morti; dei quali non raccogliemmo i nomi, nè si seppe mai chi fossero. I morti dei volon­tari potevano essere identificati agevolmente, con l'aiuto dei registri dell'Intendenza; ma quelli delle squadre, no. Neppure i capi-guerriglia conoscevano i nomi dei loro uomini; quei contadini lasciavano le loro terre, le loro case, le loro famiglie; andavano a ingrossare una squa­dra, combattevano, taciti, senza chiedere altro che il loro pane e le munizioni; morivano avvolti nello stesso silenzio; nessuno domandava chi erano, donde venivano; e i più, la gran maggioranza, restò ignota, anonima, senza postuma gloria, senza compianto, senza onori. Martiri oscuri diedero la vita alla Patria e non conte­sero la gloria a nessuno.


Tratto da: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento. 
Il volume comprende:
Il volume contiene:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935

La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 544 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno. 
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
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