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giovedì 17 dicembre 2020

Spiridione Franco: Storia della rivolta del 1856 in Sicilia organizzata dal barone Francesco Bentivegna in Mezzojuso e da Salvatore Spinuzza in Cefalù.

Percorrendo una via di Roma, fantasticando sulle memorie del passato, sulla decadenza del presente, su questa Roma sogno di tante generazioni, e di tanti Eroi, su questa Roma Alma Parens, dove la grandezza del suo nome s'infutura a traverso la gloria del mondo, mi venne fatto di posare gli occhi sopra un volumetto, che stava quasi nascosto fra un mucchio di tomi, e stampe antiche, su di un tavolo di rivenditori. Quel libro portava il titolo seguente: Francesco Bentivegna. Romanzo storico di Rocco Baldanza.
Il nome glorioso del martire, e il ricordo dolcissimo dell'amico, e compagno di lotta, mi rinfiorì nella mente lo sfortunato episodio di Mezzojuso mia patria, di cui io fui testimone oculare, cosicché anzioso di costatare se la narrazione corrispondeva alla esattezza della storia di quei fatti, volli farne acquisto.
Non nascondo ad onore dal vero, che trovai alcune pagine immaginarie, e molte inesattezze storiche, anzi essendo lo stile piuttosto chiaro e conciso = la narrazione presocchè esatta e scorrevole = quella lettura dico mi procurò delle vere emozioni e non poche lagrime ho versato al racconto della morte intrepida del valoroso martire della libertà, vittima del piombo Borbonico, la cui data gloriosa del 20 Dicembre 1856 in Mezzojuso è registrata nel martirologio Italiano a caratteri immortali.
Fu appunto nel costatare qualche inesattezza dei fatti e la forma romanzesca alla narrazione, che mi venne in animo di scrivere anche io alcune pagine, sul movimento rivoluzionario di Mezzojuso del 22 Novembre 1856, certo di appagare un desiderio se non espresso sentito dagli amici, non tralasciando di ricordare oltre al prode Bentivegna Salvatore Spinuzza moschettato in Cefalù il 14 Marzo 1857, e gli altri compagni di quel tentativo di Cefalù, i quali molti furono condannati alla pena di morte, che dopo per clemenza del Re tiranno ebbero commutata la pena a 18 anni di carcere duro nel bagno dell'Isola di Favignana.
Chi avrà la benevolenza di seguirmi nel racconto sarà benigno verso di me, e se qualche volta si accorgerà che la forma mi avrà tradito il pensiero, se anche tiene mente ch'io mi sono preoccupato di scrivere della storia esatta, e non un libro d'arte. Del resto non vi sarei di certo riuscito, perchè la turbolenta mia gioventù dedita ai moti rivoluzionari del 1848 (di cui sono dietro a scrivere alcune note) mi fece per molto tempo allontanare degli studi regolari a me tanti cari.
Premesso ciò mi consentirete ch'io vi trattenga anche del cav. Nicolò Dimarco, che nella nostra storia occupa il primo posto dopo la splendida figura del Barone Francesco Bentivegna...
 
Spiridione Franco

Spiridione Franco: Storia della rivolta del 1856 in Sicilia organizzata dal barone Francesco Bentivegna in Mezzojuso e da Salvatore Spinuzza in Cefalù. Entrambi traditi, vennero arrestati e fucilati. Altre 24 persone ebbero sentenza di morte.
Prefazione del prof. Santo Lombino, direttore del Museo delle Spartenze in Villafrati
Pagine 170 - Prezzo di copertina € 15,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito ibuonicuginieditori.it
On line su Ibs e Amazon

Spiridione Franco: Storia della rivolta del 1856 in Sicilia. Premessa dell'autore

 
Alla Gioventù Italiana,
 
A voi giovani, dedico quest'umile mio lavoro, dal quale emerge una breve pagina delle nostre sofferenze per arrivare alla sospirata mèta, l'unità della patria. Onoratelo di un vostro sguardo, e da esso apprenderete che a voi incombe il dovere di reclamare le altre Provincie tuttavia soggette allo straniero qualunque sia il sacrifizio che vi possa costare.
Non dimenticate che il 12 Gennaio 1848 la gioventù siciliana fu la prima ad insorgere contro la tirannide, seguita poscia dal Piemonte e da Milano. Battuti a Novara: non cessammo per questo di congiurare contro l’aborrita dinastia Borbonica. Lo stato d'assedio ci opprimeva, come una cappa di piombo, tuttavia ognuno voleva un'arma, e la portava costantemente, per quanto le carceri rigurgitassero, le isole adiacenti fossero tutte popolate di delinquenti politici, molti sfuggissero al capestro esulando e cento altri cadessero sotto il piombo nemico. Fra tanti martiri non va dimenticato Nicolò Garzilli studente di medicina, fucilato in Palermo nel gennaio 1850 con altri cinque compagni. Nel novembre 1856 insorse in Mezzojuso, mia patria il barone Francesco Bentivegna, mentre Salvatore Spinuzza sollevava Cefalù. Traditi, entrambi vennero fucilati, il Bentivegna in Mezzojuso il 21 dicembre 1856, e lo Spinuzza in Cefalù il 14 Marzo 1857. Non per questo la bandiera della rivolta non cessava un istante di sventolare ovunque, finché nel 1860 colla venuta di Garibaldi e dei suoi mille eroi abbiamo vinto.
È in onore del martire Francesco Bentivegna, che io mi sono indotto a pubblicare queste pagine perchè la gioventù impari da lui come si debba contenere in faccia ai tiranni, e come morire intrepidamente per la patria.
Non è un libro d'arte che io offro, perchè la rivoluzione interruppe i miei studii, nè più mi permise di riprenderli, ma è un racconto genuino di tutto quanto ho visto coi miei occhi, essendo stato di tutti gli avvenimenti della mia
patria testimonio, e parte.
Leggetelo, studiatelo con amore, o giovani carissimi, questo racconto quanto sincero, altrettanto fedele, e così comprenderete quanto dobbiate gelosamente custodire l'unità della Patria, che a noi e costata tanto sangue e tanti sagrifizii,
 
L’autore
Spiridone Franco
Veterano Siciliano

Spiridione Franco: Storia della rivolta del 1856 in Sicilia organizzata dal barone Francesco Bentivegna in Mezzojuso e da Salvatore Spinuzza in Cefalù. Entrambi traditi, vennero arrestati e fucilati. Altre 24 persone ebbero sentenza di morte. 
Prefazione del prof. Santo Lombino, direttore del Museo delle Spartenze in Villafrati
Pagine 170 - Prezzo di copertina € 15,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicugineditori.it 
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Chi era Spiridione Franco?

 
Poche sono le notizie biografiche sull’autore, all’anagrafe Paolino Spiridione Franco, nato a Mezzojuso (Pa) il 6 marzo 1828, da famiglia benestante, e indicato nelle carte giudiziarie come possidente, fratello di Agostino, vescovo cattolico di rito ortodosso e di Nicolò, futuro addetto alla Biblioteca vaticana. Attivo nella rivoluzione antiborbonica del 1848-49, nei primi giorni della quale conobbe i fratelli Bentivegna, e nella lotta clandestina degli anni successivi, in particolare nella fallita insurrezione del novembre 1856, prenderà di nuovo le armi nel 1860 con i picciotti che seguirono i Mille di Garibaldi fino alla battaglia del Volturno, dove fu ferito gravemente. Nominato capitano dell’Esercito meridionale, si spense a Roma il 2 gennaio 1914.

Spiridione Franco: Storia della rivolta del 1856 in Sicilia organizzata dal barone Francesco Bentivegna in Mezzojuso e da Salvatore Spinuzza in Cefalù. Prefazione di Santo Lombino

La scrittura di Spiridione Franco segue giorno per giorno, quasi ora per ora, la fallita impresa rivoluzionaria del Barone Francesco Bentivegna nel novembre 1856, del suo “stato maggiore selvaggio” e dei suoi seguaci, dando conto dei movimenti dei vari attori e del loro antagonista, il direttore di polizia Salvatore Maniscalco, fortemente intenzionato a impedire in qualunque modo la ripresa dell’iniziativa antigovernativa. L’infelice impresa terminerà con la cattura del Bentivegna e Spiridione Franco ci fa seguire le successive tappe del martirio del barone mazziniano, il cui destino è stato già deciso in alto loco: come capo del moto rivoluzionario deve essere punito con la massima severità, con una condanna capitale che scoraggi chi abbia voglia di seguire il suo esempio. La narrazione del Nostro ci fa seguire ovviamente anche il ruolo da lui avuto in queste vicende, sottolineando i momenti in cui Franco ha dato un apporto determinante all’andamento dell’impresa rivoluzionaria, cui ha deciso di partecipare per dedizione alla causa e per ammirazione verso Bentivegna, pur avendo espresso il presentimento che, date le condizioni di partenza, il risultato finale poteva essere solo la galera o la fuga in America. Dopo l’arresto del capo e la resa degli altri comprimari, Spiridione Franco è rimasto per lunghi mesi latitante, travestendosi e nascondendosi in campagna ed in città, grazie alla sua conoscenza di uomini e cose, alla destrezza del suo ingegno e al sostegno di numerosi personaggi, tra cui il fratello vescovo. Colpisce nel racconto di Spiridione la sua vivacità e il suo senso dell’ironia .
Dalla prefazione di Santo Lombino

Spiridione Franco: Storia della rivolta del 1856 in Sicilia organizzata dal barone Francesco Bentivegna in Mezzojuso e da Salvatore Spinuzza in Cefalù. Entrambi traditi, vennero arrestati e fucilati. Altre 24 persone ebbero sentenza di morte. 
Prefazione del prof. Santo Lombino, direttore del Museo delle Spartenze in Villafrati
Pagine 170 - Prezzo di copertina € 15,00
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lunedì 14 dicembre 2020

Spiridione Franco: Storia della rivolta del 1856 in Sicilia organizzata dal barone Francesco Bentivegna in Mezzojuso e da Salvatore Spinuzza in Cefalù

Il 20 dicembre del 1856 ricorre l'anniversario della fucilazione di Francesco Bentivegna, barone in Mezzojouso, organizzatore di una delle prime rivolte che puntano alla liberazione della Sicilia dall'oppressore borbonico; impossibile la riuscita, pochi i rivoluzionari che seguirono il barone nelle sue idee di libertà, tra cui Salvatore Spinuzza che nel marzo del 1857 ne seguirà la triste sorte. Breve rivolta ma fondamentale, importantissima, poichè Francesco Bentivegna, da vero e proprio leader, darà quel fulgido esempio che verrà seguito dai rivoluzionari del 1860, da Francesco Riso e dalle squadre siciliane, e che culminerà con l'arrivo di Garibaldi il 27 maggio del 1860. In suo ricordo e in suo onore noi Buoni Cugini pubblichiamo lo scritto di Spiridione Franco, amico e compagno di lotta del barone Bentivegna.
Lo scritto è quindi un diario, in cui l'autore narra i fatti del 1856 senza nulla aggiungere, facendo emergere la grande figura del barone Francesco Bentivegna e del fratello Stefano.
"Leggetelo, studiatelo con amore, o giovani carissimi, questo racconto quanto sincero, altrettanto fedele, e così comprenderete quanto dobbiate gelosamente custodire l'unità della Patria, che a noi e costata tanto sangue e tanti sagrifizii". (Spiridione Franco)
Il nostro ringraziamento va al professore Santo Lombino, direttore scientifico del Museo delle Spartenze di Villafrati, che ha arricchito il volume con la sua prefazione. 
In tutto lo scritto, Spiridione chiama in causa i testimoni dei fatti e delle sue azioni che sono ancora in vita al momento della stesura e della pubblicazione del memoir, mettendo in nota i loro nomi e cognomi perché chi vuole possa verificare che egli dice la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. Come del resto fanno da sempre tutti gli autobiografi che si rispettino (Santo Lombino)

Pagine 157 
Prezzo di copertina € 15,00
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In libreria presso La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour 133, Palermo)

martedì 25 agosto 2020

Luigi Natoli: Verso nuovi ideali. Tratto da: Storia di Sicilia

Salendo al trono, Ferdinando II col nuovo proclama prometteva di sanare le piaghe che affliggevano il Regno, e di apportare utili riforme nell’amministrazione, nella giustizia, e nell’esercito. Queste promesse e l’avere scacciato il Viglia e gli altri intriganti, lo facevano in Napoli salutare «novello Tito».
Ma quanto a mutamenti politici Ferdinando fu profondamente avverso. Era assolutista, e né gli avvenimenti di Francia, né il fermento che era in tutta Italia scossero la sua fede nel regime assoluto.
Di scarso ingegno, di più scarsa coltura, vendicativo nelle vittorie, doppio e astuto nelle sconfitte, buono per tornaconto, virtuoso negli affetti domestici, volgare nelle amicizie, caparbio sino alla cecità, illuso di regnare per inabolibile diritto divino, avrebbe potuto essere il primo re d’Italia, e si contentò d’essere vassallo dell’Austria
In Sicilia il suo proclama fu portato l’11 di Novembre dal generale Nunziante, incaricato dal Re stesso di destituire dalla carica di luogotenente il marchese Ugo delle Favare, tristissimo e feroce poliziotto, e di obbligarlo a partire lo stesso giorno, entro due ore, per Napoli. Questa espulsione destò speranze di miglioramento, le quali crebbero per la nomina a luogotenente generale di suo fratello Leopoldo, conte di Siracusa; e dovunque si festeggiò l’evento con luminarie, indirizzi, poesie.
Durante l’anno, furono fatte utili cose in Sicilia; uno stretto trattato pel commercio dei vini con la Francia; fondato in Palermo l’Istituto dei Sordomuti; abolito il monopolio dei tabacchi; e qualche altro provvedimento preso per mitigare i pesi che oberavano l’Isola. E in seguito ad un viaggio attraverso la Sicilia, il Re emanò disposizioni per promuovere lo sviluppo delle industrie e delle belle arti, per la formazione di società economiche, e per la costruzione di strade. Successivamente furono bonificati alcuni dazi; abolito un dazio sulle carni; istituito il Gran libro del Debito Pubblico e la Cassa di ammortizzazione; studiate le rettifiche sulle imposte della fondiaria e del macino per renderle meno gravose. Ed altre buone disposizioni vennero prese in seguito. Se non che tutti gli affari di Sicilia trovarono una malcelata avversione nel ministero di Napoli, mosso da non si sa quale rancore contro di essa. Onde il Principe Leopoldo si recò a Napoli, e ottenne fosse di nuovo istituito presso quel governo il ministro degli affari di Sicilia. Notiamo qui per curiosità l’apparizione di un’isola vulcanica nel mare di Sciacca 1’11 luglio del 1831, e che poco dopo si sommerse.
Nel novembre dal 1832 Ferdinando sposò Maria Cristina di Savoia, figlia di Carlo Alberto, e fece con la sposa nuovamente il viaggio per la Sicilia, tra feste più sontuose delle prime, specialmente a Palermo e a Messina. Maria Cristina fece sentire ai Napoletani gli effetti della sua pietà, ma per breve tempo; ché nel gennaio 1836, dato alla luce l’erede al trono, Francesco, morì; e si disse per uno spavento avuto nel puerperio.
Durante questo periodo, l’attaccamento della Sicilia al principe Leopoldo, e l’interesse che questi prendeva delle cose dell’Isola, destarono sospetti nell’animo di Ferdinando, che richiamò il fratello, e gli diede successore il Principe di Campofranco.
La Sicilia se ne dolse, ma forse più le belle dame. Maggiore e più sincero fu il compianto per la morte di Vincenzo Bellini, orgoglio dell’Isola materna, il nome del quale non ha bisogno di illustrazioni.

La rivoluzione del ‘20 e i fatti successivi, avevano aperto gli occhi ai Siciliani, che s’accorgevano quanto fossero state perniciose le rivalità municipali nell’interesse della libertà e dell’indipendenza; e quanto invece fosse necessaria l’unione. Aveva anche mostrato ai liberali napoletani che non c’era da fidarsi dei Borboni; che bisognava riprendere con la forza la libertà soppressa, e che quindi era necessario il concorso della Sicilia. Si riprendeva il lavorìo segreto a Napoli come in Sicilia, ma con nuovi intendimenti, e con nuove aspirazioni. Entrava in esse un nome, che fino allora era stato semplicemente una designazione geografica: Italia.
La gioventù colta si era venuta educando sui grandi scrittori italiani: Dante, Alfieri, Foscolo, prendevano il posto del Tasso e del Monti (quello della Bassvilliana) preferiti nelle scuole dei Gesuiti.
Fin dal 1830 un esule, M. Palmieri, auspicava che non si parlasse più di Siciliani, Napoletani, Toscani, Piemontesi e via dicendo, ma d’Italiani; e, pure vagheggiando l’unità nazionale, proponeva una federazione di repubbliche italiane, con a capo Roma. Una visione dell’Italia libera e indipendente dallo straniero, balenava in un carme di F. P. Perez, scritto in morte di U. Foscolo nel 1833; si allacciavano relazioni con gli esuli italiani riparati in Spagna, a Malta, a Corfù, dopo il 1831; si disegnavano sbarchi nell’Isola, nella quale si riteneva «coperto di cenere, ma non spento il fuoco». Non mancavano fra i giovani di Sicilia, gli aderenti alla Giovane Italia. In uno dei primi numeri del giornale che aveva lo stesso nome, il Mazzini rivolgeva infatti ai Siciliani una memoranda lettera, entrata di contrabbando, e diffusa fra essi. Ma più attive erano le relazioni fra Siciliani e Napoletani.
Si erano formati alcuni comitati a Palermo, a Messina a Siracusa e tra loro si scrivevano, e corrispondevano coi liberali napoletani.

Luigi Natoli: Storia di Sicilia (dalla preistoria al fascismo). L'opera è la fedele riproduzione del volume originale pubblicato dalla casa editrice Ciuni nel 1935
Copertina di Niccolò Pizzorno 
Pagine 511 - Prezzo di copertina € 24,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it, lafeltrinelli.it, su Amazon al venditore I Buoni Cugini e in tutti i siti vendita online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria Sciuti (Via Sciuti n. 91/f), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi n. 15)

martedì 2 giugno 2020

Documenti e memorie della Rivoluzione siciliana del 1860: Poesia del campagnolo marsalese Baldassarre Li Vigni dedicata a Giuseppe Garibaldi


Comitato cittadino pel Cinquantenario del 27 maggio 1860: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana del 1860. 
A cura di Giuseppe Pitrè, Luigi Natoli, Pipitone Federico, Alfonso Sansone, Salvatore Giambruno, Giuseppe Travalli, Cesare Matranga. 
La prima parte del volume comprende i documenti della rivoluzione, anteriori e posteriori al 4 aprile 1860 fino al 27 maggio. La seconda, una scelta degli atti della Dittatura che propriamente riguardano il periodo rivoluzionario, il rinnovamento politico-amministrativo della Sicilia e uomini e fatti della rivoluzione; la terza, più varia, contiene atti della rappresentanza civica, memorie, rendiconti, poesie, diari del tempo fra le quali le memorie storiche di Filippo e Gaetano Borghese - Il diario inedito di Enrico Albanese - Le lettere di Giuseppe Bracco al conte Michele Amari - Il diario di Antonio Beninati. 
Pagine 475 - Prezzo di copertina € 22,00
Disponibile al sito www.ibuonicuginieditori.it, www.lafeltrinelli.it, Amazon Prime e tutti i siti vendita online. 


Garibaldi a Palermo, ossia il più bel tratto della Rivoluzione siciliana narrata da un testimone oculare. Prima versione dall'inglese.

(31 maggio 1860) Nel pomeriggio Garibaldi fece un giro di ispezione per la città. Io ero presente, ma stimo veramente impossibile darvi anche una debole idea del modo ond'egli fu ricevuto in ogni dove. Fu uno di quei trionfi che sembrano essere anche troppo per un uomo. La cosa più maravigliosa che in questo genere io abbia mai veduto fu l'accoglienza fatta a Milano a Napoleone e a Vittorio Emanuele, quasi un anno fa: ed io penso che il ricevimento di ieri fu anche più straordinario. L'ingresso di quei due sovrani aveva alcun che di più formale, che era di freno alla piena espressione dell'entusiasmo popolare. Essi procedevano a cavallo circondati dalle loro guardie, mentre l'idolo del popolo, Garibaldi, nella sua tunica di flanella rossa, con una cravatta avvolta trascuratamente intorno al collo, camminava a piedi tra un'immensa folla di popolo che mandava grida di esultanza; e tutto ciò che i suoi pochi seguaci potessero fare era d'impedire che fosse trasportato sulle spalle dei cittadini. La gente a forza di spinte facevasi innanzi per baciargli le mani o almeno toccare i lembi del suo vestito, come se quel tocco fosse la panacea dei patimenti passati e futuri. Le madri sollevavano i bambini chiedendo che li benedicesse, e in tutta questa frenesia di gioia l'idolatrato eroe, tranquillo e sorridente come nell'ora di fuoco più micidiale, prendeva in braccio i bambini e li baciava, sforzandosi nello stesso tempo di calmare la folla, fermandosi ad ogni momento per ascoltare la lacrimevole storia di case bruciate, di roba rubata dai fuggenti soldati, dando buoni consigli, confortando e promettendo che tutti i danni verrebbero debitamente riparati. 
Io non ho avuto il tempo di recarmi su tutti i luoghi dai quali le Borboniche soldatesche sono state cacciate; ma solo andando a vedere da sè, l'uomo può farsi un'idea delle perdite fatte da esse, e conoscere quanto superiore siano i Garibaldini nei combattimenti per le strade. 



Comitato cittadino pel Cinquantenario del 27 maggio 1860: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana del 1860. 
A cura di Giuseppe Pitrè, Luigi Natoli, Pipitone Federico, Alfonso Sansone, Salvatore Giambruno, Giuseppe Travalli, Cesare Matranga. 
La prima parte del volume comprende i documenti della rivoluzione, anteriori e posteriori al 4 aprile 1860 fino al 27 maggio. La seconda, una scelta degli atti della Dittatura che propriamente riguardano il periodo rivoluzionario, il rinnovamento politico-amministrativo della Sicilia e uomini e fatti della rivoluzione; la terza, più varia, contiene atti della rappresentanza civica, memorie, rendiconti, poesie, diari del tempo fra le quali le memorie storiche di Filippo e Gaetano Borghese - Il diario inedito di Enrico Albanese - Le lettere di Giuseppe Bracco al conte Michele Amari - Il diario di Antonio Beninati. 
Pagine 475 - Prezzo di copertina € 22,00
Disponibile al sito www.ibuonicuginieditori.it, www.lafeltrinelli.it, Amazon Prime e tutti i siti vendita online. 

Luigi Natoli: I piccoli garibaldini del 1860.

Apro l’Unità Italiana del 2 agosto, e vi trovo la seguente letterina:
“Affezionatissimo padre, 
“L’amore della Patria supera ogni altro amore, è lei che mi chiama a difenderla. Spero di ritornare vittorioso, ma se il destino vuole che io muoia son pronto a versare il mio sangue. Abbracciandola, ecc..”
Chi scrisse questa letterina? Un quattordicenne, Ignazio Zappalà di Palermo, che fuggì dalla casa paterna, si battè a Milazzo, e fece poi tutta la campagna nell’Italia meridionale. Il signor Antonino, padre, corse a Milazzo, ma se ne tornò col cuore gonfio d’orgoglio, e pubblicò nella stessa Unità questo certificato: 
“Cacciatori della Alpi – 2° Battaglione.
Costa al sottoscritto che il quattordicenne Ignazio Zappalà di Antonino seguì da Palermo il suddetto battaglione all’insaputa di suo padre, e prese parte attiva, anzi si distinse nel combattimento del 20 luglio avvenuto nelle campagne di Milazzo, il cui esito felice ci rese padroni della città. 
A richiesta e in fede, 
Milazzo 25 luglio 1860
Il capitano comandante la 1^ compagnia
Pasquale Mileti
“Visto: Il maggiore comandante
“Sprovieri Francesco”.

Ma non è il solo che a 14 anni se ne andò con Garibaldi: Ferdinando Oddo, eccolo lì istoriato nella prosa secca e, nella sua brevità, solenne, dell’estratto dall’Archivio di Stato di Torino. Egli si arruolò il 10 di giugno, vuol dire quindici giorni dopo l’entrata di Garibaldi in Palermo; e fu assegnato nell’artiglieria di fortezza. Questo garibaldino minuscolo (era piccolo di statura) fu mandato alla batteria di Torre del Faro, e nei giorni 21, 22, 23 agosto, nel duello con le navi borboniche “per coraggio e fermezza militare” fu sul campo promosso caporale.
Il padre, Ignazio, come Antonino Zappalà, non imboscavano allora i figli, ma perdonavano la loro fuga, e li offrivano alla patria. 
Nunzio Spina era orfano; il padre, prima di morire, lo raccomandò a uno degli ufficiali del Castello a mare di Palermo. Scoppiò la rivoluzione, venne Garibaldi, e fu conchiuso l’armistizio; e il Castello restò isolato, perché, rotte le comunicazioni col Comando generale e, dalla parte di terra, circondato dalle linee dei nostri. I soldati rinchiusi non avevano sigari né tabacco; non ardivano uscire per paura di esser fucilati come spie. Ricorsero al piccolo Spina, e lo mandarono fuori. Fu visto dai nostri, arrestato e condotto all’uffiziale che era un Garibaldino: questi lo interroga, e intanto gli trovano una lettera: dice che la mandava un soldato alla mamma. È vero; la lettera è mandata con uno della squadra, e l’uffiziale domanda al piccolo Spina: “Vuoi tornare nel Castello o rimanere con noi?” – “Voglio rimanere, anzi so sonare la tromba” – “E tu sarai il nostro trombettiere”. Così Nunzio Spina fu Garibaldino, mentre ancora durava lo stato di guerra nella città; e continuò fino al Volturno. 
Il certificato rilasciatogli dall’Archivio di Stato di Torino dice: 
“Risulta che Spina Nunzio trovasi inscritto nel 1° battaglione Reggimento Cacciatori dell’Etna (Vincenzo Bentivegna) 2^ Brigata del Milbitz, 16^ Divisione (Coseuz) dell’esercito garibaldino, col quale ha fatto la campagna del 1860 dell’Italia Meridionale”. 
Egli era nato il 27 marzo 1849. 
Quanti altri ce ne furono in quel tempo, che il fascino di Garibaldi chiamava intorno a sé, e lasciavano i trastulli per seguirlo?
(Il disegno di Niccolò Pizzorno è eseguito sulla descrizione della divisa dei piccoli garibaldini spiegata nel testo dall'Autore)




Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano – Raccolta di scritti storici e storiografici dell’autore sul Risorgimento in Sicilia, costruita sulle opere originali. Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni anno 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860 (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931) 
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848 - 1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 575 – Prezzo di copertina € 24,00
Disponibile al sito www.ibuonicuginieditori.it, www.lafeltrinelli.it, Amazon Prime e tutti i siti vendita online.
In libreria presso La Feltrinelli libri e musica - Palermo



Luigi Natoli: L'inizio del governo regio e la persecuzione dei garibaldini. Tratto da: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860.

Quel che fecero i lafariniani, liberi ormai e padroni della posizione è incredibile. Con tutti i mezzi, sorprendendo la buona fede del ceto medio amorfo e desideroso di queto vivere e di maggior agiatezza, fecero vedere che sarebbe venuta l’età dell’oro, e i marenghi sarebbero corsi per le strade; non tasse; non vessazioni fiscali e poliziesche; la Sicilia rigenerata sotto un re prode che aveva meritato il soprannome di Galantuomo. Quanto alla massa del popolo, ignorante, non ancora educata alle nuove concezioni politiche, che si era battuta contro il Borbone per l’odio accumulato da quarant’anni, per la miseria, per la tradizione dell’indipendenza dell’isola dalla soggezione di Napoli, per le promesse dei liberali, pronta agli entusiasmi, speranzosa nel nuovo re, non costava gran fatica trascinarla a votare. 
Coloro che avrebbero voluto, e l’avevano chiesto, condizionare l’annessione; che volevano assicurato, se unitari, il proseguimento del programma nazionale; se autonomisti, oltre a questo, il riconoscimento della autonomia amministrativa; dinanzi alla necessità di affrettare la formazione del regno, per evitare la minacciata rovina della patria e opporre all’Austria e alla Francia – i due pericoli – una nazione forte di ventidue milioni, ebbero il patriottismo di far tacere, per allora, ogni sentimento di parte; e non osteggiarono l’opera degli agenti del Cavour, che manipolavano la prossima votazione.
Tutti i muri delle città erano tappezzati di cartelli che esortavano a votare pel si; nelle botteghe, nei ritrovi pubblici, altri cartelli portavano in grosse lettere si; schede col si si distribuivano alle persone; si portavano attaccate ai vestiti, sui cappelli, e perfino (oh inconsapevole ironia!) nelle testiere degli asini. Ma quel si per la massa del popolo significava il principio di un’era di prosperità economica e sociale; nessuno immaginava che nascondesse una servitù.
Il 21 ottobre avvenne la votazione; il 4 novembre, fatti gli scrutinii e compilato il verbale, il presidente della Corte Suprema Pasquale Calvi, affacciato a un balcone del palazzo dei Tribunali, proclamava alla folla che gremiva la piazza Marina, il risultato della votazione: 432.953 si, 667 no. La folla applaudì entusiasticamente.
Dopo la proclamazione il Calvi coi suoi colleghi portò il verbale del plebiscito al Prodittatore, che la stessa sera partì per Napoli. Cessava il governo della rivoluzione, cominciava quello del governo regio. Il marchese Montezemolo era eletto Commissario; e il 5 novembre il La Farina ne dava la notizia al suo amico e conterraneo Carlo Gemelli: “Siamo coi bauli pronti: Montezemolo è il Commissario Regio. Cordova verrà come direttore delle finanze ecc.”. A Pietro Gramignani domandava gli elenchi degli impiegati “del ministero, governatori, intendenti, questori, officiali di pubblica sicurezza” da sostituire a quelli nominati dalla Dittatura, qualificati come “gente senza coscienza e senza pudore”.
Oltre al Cordova venivano a far parte del Consiglio di luogotenenza il La Farina, Matteo Reali, Casimiro Pisani e Giacinto Tholosano. Ma l’opera reazionaria, vendicativa, parricida di costoro, cominciò prima del loro insediamento ufficiale. Quando il primo dicembre il re, invitato e sollecitato, venne a Palermo, accolto con delirio dalla popolazione, i muri della città erano tappezzati di cartelli con queste scritte: Viva Vittorio Emanuele! – Viva Cavour! – Viva Montezemolo, (che doveva venire ancora, che non si sapeva chi fosse e che non aveva fatto nulla per la Sicilia) Viva Cordova e La Farina! Abbasso i cessati Segretari di Stato! Nessun accenno a Garibaldi!...  Anzi per Garibaldi era stato peggio: il 21 novembre un ordine del marchese di Rudini sopraintendente ai teatri vietava che nelle scene si dessero drammi in cui figurassero argomenti e personaggi garibaldini. Quest’ordine, quegli “evviva” e quegli “abbassi”, la soppressione di ogni accenno alla rivoluzione redentrice, erano l’indice di quel che doveva avvenire dopo: una reazione bieca e feroce, un regime di arbitrî, di vendette, di violenze, di persecuzione contro gli uomini del partito d’azione, garibaldini o mazziniani, repubblicani o no; una serie di arresti, di martiri, di fucilazioni; e leggi scellerate, che per quattro o cinque anni esasperarono la Sicilia, e fecero rimpiangere il governo borbonico.
Bisognava cancellare dalla storia che l’unità italiana era stata compiuta dalla rivoluzione e da Garibaldi; e far della Sicilia una terra liberata, anzi conquistata dal Piemonte: e l’opera nefasta ebbe i suoi frutti; che ancora pesa la calunnia sparsa dalla reazione cavourriana e lafariniana e sull’opera della Sicilia per l’Unità della Patria, e sugli uomini della rivoluzione, e ancora si considera la Sicilia come una terra conquistata, barbara ancora, nella quale il Piemonte venne a portare le prime luci della civiltà.



Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano – Raccolta di scritti storici e storiografici dell’autore sul Risorgimento in Sicilia, costruita sulle opere originali. Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni anno 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860 (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931) 
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848 - 1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 575 – Prezzo di copertina € 24,00
Disponibile al sito www.ibuonicuginieditori.it, www.lafeltrinelli.it, Amazon Prime e tutti i siti vendita online.
In libreria presso La Feltrinelli libri e musica - Palermo



mercoledì 27 maggio 2020

Tutti i volumi sul Risorgimento siciliano editi I Buoni Cugini editori.

Dal diario di Antonio Beninati, l'ingresso di Garibaldi a Palermo. Fa parte di: Documenti e memorie della Rivoluzione siciliana del 1860

27 maggio 1860, Domenica ore 6 1/2. - Da lontano si odono delle fucilate; il fuoco cessa per un poco di tempo: si risentono fucilate a grandi scariche: dopo un poco un fuoco ben nutrito. Vedo correre a passo di corsa una ventina di soldati, che venivano dalla via Montesanto e prendono per via S. Cristoforo: dopo ho saputo che quello era un picchetto che guardava la porta di Termini. Si sono ritirati, e unitisi al picchetto della Posta si sono rifuggiati al Carminello. Il fuoco di fucileria si sente ben nutrito. 
Scorgo nella via Divisi un piemontese e altri nostri gridare: "Aprite! siamo i vostri fratelli, aprite, aprite!" Non vi è dubbio, i nostri sono entrati: in un minuto e fra due salti corriamo alla Fieravecchia; le campane della chiesa di Montesanto salutano per primi l'arrivo dei liberatori, con me corrono l'avv. Giovanni, Angelo e Luigi Muratori, questo ultimo, ragazzetto, s'era armato di un grosso coltello da cucina. Alla Fieravecchia trovo un popolo gridare: "Viva Italia! viva Garibaldi!" - Le sqadre entravano in ordine sparso; ogni squadra colla bandiera nella quale era attaccata l'immagine del Santo protettore del paese - Misilmeri: S. Giusto; Bagheria: S. Giuseppe; Marineo: S. Ciro; e così di seguito. 
Era bello vedere le bonache dei nostri confuse colle camicie rosse - ed i nostri con lunghe lancie; il giubilo è incredibile. Mi avvicino alla Porta, scorgo una guida a cavallo; da noi si credette che quella fosse Garibaldi; quindi gridi assordanti di evviva, ma quello ci fa gesto che Garibaldi è dietro; ci avanziamo e vicino al quatrivio si vede una massa armata e nel mezzo Garibaldi sorridente, col sicaro in bocca, saluta il popolo. Dai balconi del palazzo Villafiorita le signore sventolano i fazzoletti.Si grida: "Viva Garibaldi! Viva S. Rosalia!"



Dalla nota del volume si legge che la "narrazione è tratta da appunti presi a matita dal signor Beninati, vecchio e modesto patriota, e da lui gentilmente favoritici".
Comitato cittadino pel Cinquantenario del 27 maggio 1860: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana del 1860. 
A cura di Giuseppe Pitrè, Luigi Natoli, Pipitone Federico, Alfonso Sansone, Salvatore Giambruno, Giuseppe Travalli, Cesare Matranga. 
La prima parte del volume comprende i documenti della rivoluzione, anteriori e posteriori al 4 aprile 1860 fino al 27 maggio. La seconda, una scelta degli atti della Dittatura che propriamente riguardano il periodo rivoluzionario, il rinnovamento politico-amministrativo della Sicilia e uomini e fatti della rivoluzione; la terza, più varia, contiene atti della rappresentanza civica, memorie, rendiconti, poesie, diari del tempo fra le quali le memorie storiche di Filippo e Gaetano Borghese - Il diario inedito di Enrico Albanese - Le lettere di Giuseppe Bracco al conte Michele Amari - Il diario di Antonio Beninati. 
Pagine 475 - Prezzo di copertina € 22,00
Disponibile al sito www.ibuonicuginieditori.it, www.lafeltrinelli.it, Amazon Prime e tutti i siti vendita online. 


Garibaldi a Palermo, ossia il più bel tratto della rivoluzione siciliana, narrata da un testimone oculare. Prima versione dall'inglese. Fa parte di: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana del 1860.

 Palermo, 27 Maggio - Sono le due pomeridiane, e mentre vi scrivo le bombe fischiando per l'aria mi passano sul capo. Allorquando lo sbarco di Garibaldi primamente empì di terrore la corte di Napoli, il giovine Borbone alla sua valorosa flotta concentrata presso Palermo mandò l'ordine di bombardare i suoi fedeli Palermitani, e ridurre in cenere la città loro, quante volte osassero insorgere contro la sua paterna autorità. 
I Palermitani avevano già provato simili carezze paterne dall'illustre genitore del presente Sovrano, il quale, come bene vi rammenterete, è conosciuto nella storia sotto il nome di re Bomba per aver largito così fatti ricordi del suo amore alle maggiori città del reame. Chiunque ne abbia fatto esperienza, potrebbe dirvi che il bombardare una città è un assai deplorevole trastullo, in ispecie quando non si abbiano i modi di rispondere in modo condegno; e nondimeno Palermo stamane è insorta.
Stamani Garibaldi allo spuntar del giorno apparì alle porte orientali di Palermo, e dopo una lotta comparativamente non sanguinosa, entrò in città: la più gran parte della quale verso le ore dieci antemeridiane era nelle mani di lui. I Napolitani furono rinculati in varie forti posizioni attorno al Palazzo Reale verso Sud-Ovest della città e a nord-ovest verso il molo... 
Quasi tutte le nazioni civili in quest'acque sono rappresentate da legni da guerra per vedere ed approvare con la loro presenza questo nobile modo di procedere: Inglesi, Francesi, Sardi, Austriaci, nessuno vi manca. Che anzi essi hanno avuto la cortesia di gittare le ancore in luoghi tali da non potere impedire i movimenti della valorosa flotta napolitana. E fu detto ieri, nel campo di Garibaldi, che l'ammiraglio inglese avesse protestato contro ogni idea di bombardamento. Però le bombe che fischiavano nell'aria per ogni verso, chiaramente provano una di queste due cose: o che l'ammiraglio non protestò, o che i Napolitani non porsero ascolto a così fatta protesta. La prima supposizione è più probabile...
La mia relazione riposa sopra ogni autorità degnissima di fede; rispetto poi ai fatti seguiti da ieri in qua io posso riferirveli come testimonio oculare...



Comitato cittadino pel Cinquantenario del 27 maggio 1860: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana del 1860. 
A cura di Giuseppe Pitrè, Luigi Natoli, Pipitone Federico, Alfonso Sansone, Salvatore Giambruno, Giuseppe Travalli, Cesare Matranga. 
La prima parte del volume comprende i documenti della rivoluzione, anteriori e posteriori al 4 aprile 1860 fino al 27 maggio. La seconda, una scelta degli atti della Dittatura che propriamente riguardano il periodo rivoluzionario, il rinnovamento politico-amministrativo della Sicilia e uomini e fatti della rivoluzione; la terza, più varia, contiene atti della rappresentanza civica, memorie, rendiconti, poesie, diari del tempo fra le quali le memorie storiche di Filippo e Gaetano Borghese - Il diario inedito di Enrico Albanese - Le lettere di Giuseppe Bracco al conte Michele Amari - Il diario di Antonio Beninati. 
Pagine 475 - Prezzo di copertina € 22,00

Dalle memorie storiche di Filippo e Gaetano Borghese: Il 27 maggio 1860. Fa parte di: Documenti e memorie della Rivoluzione siciliana.

Era l'alba del 27 maggio tra quest'alba memoranda e lo spuntar del sole si metteva di mezzo la liberazione della Sicilia. Palermo città fortificata, da più mesi munita da due forti, difesa da tre fregate, presidiata da 22 mila soldati forti di ogni arma, cadeva in men d'un ora all'urto tremendo di un pugno di prodi! I valorosi che tanto operarono furono 800 italiani e 4000 uomini di squadre, ma con un Garibaldi. Tal fatto sublime merita al certo uno dei primi posti nelle storie moderne delle militari imprese. 
Garibaldi la notte del 27 moveva da Gibilrossa, procedendo in gran silenzio verso Palermo. All'alba la sua avanguardia incontravasi con gli avamposti regi che accampavansi al bivio della Scaffa, un miglio distante dal Ponte dell'Ammiraglio. Attaccossi la mischia e i regi, piegando sull'ala sinistra che estendevasi al Camposanto, dopo brevissimo tratto disfatti, riparavano al quartiere di S. Antonio. 
Gl'Italiani colle loro bajonette e le coraggiose squadriglie incalzandoli e non curando la mitraglia con cui una fregata regia bersagliavali, entravano vittoriosi dalla porta di Termini. Garibaldi il primi varcava la fatal porta; seguivano i prodi emigrati siciliani La Masa, Carini, Campo, Crispi, Mastricchi, Fuxa e La Porta trovavansi con Orsini; Oddo impegnato altrove. Allora i regi di Sant'Antonio, come ancora quei di tutte le caserme interne della città, precipitosamente ritiraronsi al palazzo reale...



Comitato cittadino pel Cinquantenario del 27 maggio 1860: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana del 1860. 
A cura di Giuseppe Pitrè, Luigi Natoli, Pipitone Federico, Alfonso Sansone, Salvatore Giambruno, Giuseppe Travalli, Cesare Matranga. 
La prima parte del volume comprende i documenti della rivoluzione, anteriori e posteriori al 4 aprile 1860 fino al 27 maggio. La seconda, una scelta degli atti della Dittatura che propriamente riguardano il periodo rivoluzionario, il rinnovamento politico-amministrativo della Sicilia e uomini e fatti della rivoluzione; la terza, più varia, contiene atti della rappresentanza civica, memorie, rendiconti, poesie, diari del tempo fra le quali le memorie storiche di Filippo e Gaetano Borghese - Il diario inedito di Enrico Albanese - Le lettere di Giuseppe Bracco al conte Michele Amari - Il diario di Antonio Beninati. 
Pagine 475 - Prezzo di copertina € 22,00

Luigi Natoli: Cadono ardenti patrioti... - Tratto da La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione.


Cade fe­rito Raffaele De Benedetto; cadono morti, prime vittime della gloriosa giornata, il dottore Rocco La Russa, il ca­valiere Pietro Lo Squiglio, Pietro Inserillo popolano; giovani, ardenti di fede, s’erano da tempo votati alla libertà della patria; compivano ora il voto, morendo di­nanzi le mura della città, ove i destini della terza Italia si decidevano.
Tukory, il nobile ungherese, dinanzi ai suoi, dopo aver oltrepassato il ponte, si avanza; una palla gli rompe il ginocchio; cadono feriti lì presso Benedetto Cairoli, Giorgio Manin, Stefano Canzio, Daniele Piccinini; Bixio è ferito anch’esso. La Masa accorre, obliando l’alterco, gli domanda affettuosamente: – “Sei ferito?” – “Non è nulla, grazie;” – risponde Bixio sorridendo, si toglie da sé la palla e ritorna a combattere.
Ludovico Tukory, ferito il 27 al ponte dell'Ammiraglio, trasportato all’ospedale del principe di S. Lorenzo, dopo aver subito l’amputazione della gamba, vi moriva la sera del 6 per sopravvenuta cancrena. Garibaldi ne diede l’annuncio con commoventi parole. Il cadavere fu il giorno dopo accompagnato da tutti i garibaldini ancor validi, dal popolo, da’ signori; e non vi mancarono dame che vollero testimoniare il loro cordoglio per la morte del prode straniero. Lungo il tragitto, dai balconi della via Maqueda, le donne si inginocchiavano, bianche e silenziose, e gittavan fiori sulla bara.
Ludovico Tukóry di Koros Hadany in Ungheria, aveva trentadue anni; aveva combattuto sotto il generale Bem per la sua patria, poi era andato in Turchia. Nel ‘59 aveva con altri ungheresi seguito Garibaldi in Lombardia contro il comune oppressore; si era segnalato a Varese e a Como, ed era stato fra i primi a correre allo scoglio di Quarto. Impavido, avventuroso, audace, aveva nel pallido volto e negli occhi profondi tutti i sogni della sua razza.
Insieme a lui morì lo stesso giorno Michele del Mastro di Ortodonico che nel Cilento, aveva preso parte ai rivolgimenti di Napoli del 1848; esule in Genova, seguì Garibaldi e con lui combattè alla di­fesa di Roma. Venuto in Sicilia, semplice soldato nella 6a compagnia, fu ferito al braccio il 28, in quella stessa barricata ove cadevano i fratelli De Benedetto ed era ferito Francesco Cucchi, bergamasco. Riusciti vani i soc­corsi dell’arte, Michele del Mastro morì il 9 giugno. La città e i compagni gli resero solenni onoranze, ed egli fu provvisoriamente deposto in una tomba accanto a quella di Tukory, nella chiesa di S. Antonino.
All’uno e all’altro diede con calda enfasi l’ultimo sa­luto fra Giovanni Pantaleo.




Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano – Raccolta di scritti storici e storiografici dell’autore sul Risorgimento in Sicilia, costruita sulle opere originali. Il volume comprende:

Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni anno 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860 (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931) 
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848 - 1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 575 – Prezzo di copertina € 24,00
Disponibile al sito www.ibuonicuginieditori.it, www.lafeltrinelli.it, Amazon Prime e tutti i siti vendita online. 
In libreria presso La Feltrinelli libri e musica (Palermo)




Luigi Natoli: L'ingresso a Palermo. Tratto da: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860.


Ed ora entriamo con Garibaldi e coi Mille nella “città dei morti”. Ho detto “entriamo?”. Sbaglio; per seguire il signor Luzio, secondo il titolo del suo scritto, che ho adottato per questo, dovevo dire “prendiamo”; giacchè si entra in una città che apre le porte, ma trat­tandosi di conquiste, una città si prende.
E va benone. Però.... Ecco, se si dovesse stare alla verità storica, poichè tra il ponte dell'Ammiraglio e Porta di Termini non c'erano che poco più di 250 soldati borbonici, e il combattimento, per questo, non fu in sostanza che una scaramuccia d'avamposti, e la resi­stenza alla barricata di Porta di Termini non durò che il tempo di qualche scarica, quella “presa” diventa un po' esagerata. Ma tiriamo innanzi: queste son pic­colezze.
“Palermo – scrive, dunque, il Nievo – pareva una città di morti; non altra rivoluzione che sul tardi qualche scampanio”. Intendente bene; sul tardi; sarà stato verso le otto, verso le dieci, a mezzodì; infatti per un pezzo, secondo il Nievo, i volontari andavano “uno qua, due là in cerca di Napoletani per farli sloggiare, e dei Palermitani per far loro fare la rivoluzione, o almeno qualche barricata”.
Altri scrittori garibaldini dicono che sul primo mo­mento nella strada di Porta di Termini e nella piazza della Fieravecchia non videro nessuno; ma poco dopo incominciarono ad aprirsi finestre e porte, e a venir fuori la gente, e in breve la piazza fu piena stipata.
Così il Capuzzi, così l'Abba, così tutti quasi. L'Eber dopo aver descritto l'assalto del Ponte e della barricata di Porta di Termini, racconta: “Presso la Porta di Ter­mini è la piazza della Fieravecchia. E fu lì che Gari­baldi fece la prima fermata. Bisogna ben conoscere i Siciliani per farsi un'idea della frenetica acclamazione con cui accolsero l'eroe: ciascuno voleva baciargli le mani ed abbracciargli le ginocchia; ad ogni momento arrivavano uomini che volevano fare lo stesso”.
L'Eber, come ho detto, cavalcava accanto a Turr e a Garibaldi, ed entrava con loro: osservatore più che attore. Egli dunque assicura, non avendo nessuna Bice da sbalordire, che quando Garibaldi giunse alla Fieravecchia, il popolo accorreva d'ogni parte. Il Luzio non dirà certamente che Garibaldi entrò in Palermo a mez­zodì. L'Eber, dice che erano le cinque del mattino; ma non è esatto. Alle cinque si combatteva fra il ponte dell'Ammiraglio e la porta: i primi legionari entrarono in città verso le cinque e mezza. Garibaldi alle sei e mezza circa. Garibaldi entrò l’ultimo; egli assistette all'entrata dei legionari e delle squadriglie, che avve­niva in gruppi, per poter superare, senza danno, fra una cannonata e l’altra, il crocicchio di Porta di Ter­mini. Infatti, su quel crocicchio e sulla porta non si ebbe nessun ferito.
Ora può darsi, anzi è così, che quando entrarono i primi volontari, e con loro il Mondino, il Bavin-Pugliesi, il Mastricchi, delle squadre, le strade fossero deserte. Racconta l'Abba, che domandato che cosa facessero i Palermitani che non si vedevano, a un popolano sbu­cato “d' una porta armato di daga” (qualcuno dunque si vedeva) n'ebbe questa risposta: “Eh, signorino, già tre o quattro volte, all' alba, la polizia fece rumore e schioppettate, gridando: Viva l'Italia, viva Garibaldi ! Chi era pronto veniva giù e i birri lo pigliavano senza misericordia”. Questo particolare è confermato dal dia­rio di Antonio Beninati, il quale sotto la data 25 mag­gio, nota.... “durante la notte, come al solito, forti sca­riche di fucileria alle porte della città. Dico io perchè sprecare tanta polvere? Nessuno crede che i nostri pos­sono fare salve di gioia. Vedi un po' quanto son min­chioni! dopo le scariche le truppe gridano “viva il Re!”. Non ci colgono no, no, e no!”.
Ma v'è un'altra ragione: nel pomeriggio del 26, il governo faceva affiggere un bollettino dello Stato mag­giore, nel quale si affermava Garibaldi, sconfitto a Parco, in ritirata verso l’interno dell' isola, e inseguito dalle truppe. Il Comitato o perchè non aveva avuto modo di controllare la notizia, o perchè non credette di distruggerla, per non svelare l'inganno in cui le truppe di Von Meckel eran cadute, tacque. La notizia quindi ebbe credito nella maggioranza dei cittadini. Onde quella momentanea solitudine silenziosa, che per altro durò che pochi minuti.
Ma quando Garibaldi entrò, la piazza era piena di gente. L'Eber non era certo un visionario. Nelle Note di Salvatore Calvino, che apparteneva allo stato mag­giore di Garibaldi, si legge: “Entrati in città ci tro­vammo subito nella piazza della Fieravecchia.... La piazza era gremita di gente da non poter contenere una persona di più. È impossibile poter descrivere le grida e lo entusiasmo di quell'immensa popolazione, in gran parte inerme.... io mi vidi a destra e a sinistra del mio cavallo due patrioti trapanesi, miei amici, Innocenzo Piazza e Raimondo Amato” (131).
E nel diario Beninati, sotto la data 27 maggio domenica ore 6.30, dopo alcune brevi note sulle fuci­late che s'udivano e la fuga di una ventina di soldati, si legge: “Scorgo nella via Divisi un piemontese (132), ed altri dei nostri gridare: “Aprite, siamo i vostri fratelli! aprite!”. Non vi è più dubbio; i nostri sono entrati; in un minuto, e fra due salti siamo alla Fieravecchia; le campane della chiesa di Montesanto salu­tano per le prime l'arrivo dei liberatori. Con me cor­rono l'avv. Giovanni, Angelo e Luigi Muratori; questo ultimo ragazzetto si era armato di un grosso coltellaccio. Alla Fieravecchia trovo un popolo inerme, gridare: “Viva Garibaldi, viva l’Italia!” le squadre entrano in ordine sparso: ogni squadra con la bandiera, nella quale era attaccata l’immagine del santo protettore del paese: Misilmeri S. Giusto; Bagheria, S. Giuseppe; Marineo, S. Ciro; e così di seguito. Era bello vedere le “bonache” (133) dei nostri confuse con le camicie rosse...
“Mi avvicino alla Porta, scorgo una guida a cavallo; da noi si credette che quella fosse Garibaldi, quindi grida assordanti di evviva; ma quella ci fa gesto che Garibaldi è dietro; ci avanziamo e vicino al quadrivio si vede una massa armata e nel mezzo Garibaldi, sorridente, col sigaro in bocca, saluta il popolo: dai balconi del palazzo di Villafiorita, le signore sventolano i fazzoletti; si grida: Viva Garibaldi! viva S. Rosalia! Si fa sosta alla Fieravecchia; vedo il capitano Carini che abbraccia il suo figlio Ettorino; il capitano vestiva con cappello molle, cami­cia rossa, ed un cappotto con maniche larghe ricamate con laccio; il capitano La Masa, vestiva di velluto, con berretto alla spagnola.
“Abbraccio i miei vecchi amici Vincenzo Capra, Giuseppe Càngeri, fratello di Cono fucilato il 14 aprile, Giuseppe Naccari, venuto coi Piemontesi, Titta Mari­nuzzi.... Il generale fa sosta nella piazza; la prima parola che egli disse fu: “Andate a raccogliere i feriti”....
“Corriamo pei feriti. Ma di questi già una buona porzione sono stati raccolti dai facchini della piazza, e da alquanti cittadini, che privi di un'arma, prestano la loro opera in sollievo dei sofferenti.... Garibaldi (ore 7) si muove dalla Fieravecchia, Menotti che ha la mano fasciata tiene la briglia del cavallo.... Il gene­rale veste con piccolo cappello sugli occhi, camicia rossa, fazzoletto di seta, color arancione scuro, laccio d'argento e sicari nella tasca della camicia, calzoni color grigio.... Percorre la via Divisi, via Maqueda, Arco di S. Giuseppe, e si dirige verso il Carminello....” (134).
Per una “città di morti” non c’è male: se non altro eran morti che gridavano, applaudivano, correvano a raccogliere i feriti, sotto la mitraglia, suonavano le campane; morti-vivi, insomma, e così vivi, che Gari­baldi, alle 7 del mattino, poteva far stampare il suo ordine del giorno, col quale annunziava il suo ingresso in Palermo; e poteva costituire il Comitato provvisorio, con le sue varie sezioni.
Prima di muoversi per andare a Piazza Bologni, Garibaldi, mandò esploratori. Il Calvino si spinse dalla parte di via Cintorinai; e tutti riferirono che le truppe regie si erano ritirate nelle caserme, nel forte, e nel palazzo reale. “Il generale allora – notò il Calvino – ­ordinò di marciare dentro la città, ed egli occupò la piazza Bologni”.


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano – Raccolta di scritti storici e storiografici dell’autore sul Risorgimento in Sicilia, costruita sulle opere originali. Il volume comprende:

Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni anno 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860 (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931) 
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848 - 1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 575 – Prezzo di copertina € 24,00
Disponibile al sito www.ibuonicuginieditori.it, www.lafeltrinelli.it, Amazon Prime e tutti i siti vendita online.
In libreria presso La Feltrinelli Libri e musica (Via Cavour - Palermo)