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martedì 14 marzo 2023

Spiridione Franco: La morte di Salvatore di Salvatore Spinuzza il 14 marzo 1857. Tratto da: Francesco Bentivegna. Storia della rivolta del 1856 in Sicilia.

Era già ritornato in Palermo il Giudice Istruttore Barcia dopo di avere compito il processo di Cefalù, contro Salvadore Spinuzza e compagni, un’altra vittima era stata destinata alla Dea della vendetta (Nemesi).
Il giorno 12 Marzo del 1857 il Consiglio di Guerra si occupò a giudicare Salvadore Spinuzza, ritenuto capo di quella banda di Cefalù; il commissario di Guerra Schittini fece una lunga ed accanita requisitoria affermando con prove estratte dal processo, che dopo la figura rivoluzionaria di Bentivegna viene quella del giudicabile, il quale era d’accordo col Bentivegna che insorgendo questi, doveva insorgere il giudicabile, come già insorse appena apprese il movimento del 22 Novembre, in Mezzojuso. 
Difatti il detto commissario del Re accusava Spinuzza di resistenza alla forza pubblica fatta in Cefalù, dopo nella casa ove venne tratto in arresto.
«E tutto ciò per volere distruggere la forma del Governo del nostro amato Sovrano. Per sì fatti motivi chiedo che si applichi l’articolo 123, che porta alla pena di morte da eseguirsi fra le ore 24 in Cefalù come pubblico esempio, e prego il consiglio di uniformarsi alle mie coscienziose conclusioni».
La difesa dello Spinuzza si limitò a chiedere al Consiglio di volersi begninare di raccomandarlo alla clemenza Sovrana come già aveva fatto coi giudicati, Figlia e Stefano Bentivegna nelle precedenti sedute; ma furono parole sprecate al vento, un’altra vittima era destinata, e fu involata, nella persona di Salvadore Spinuzza. 
Come era a prevedersi il Consiglio dopo entrato nella sala della deliberazione, dopo pochi minuti esce. Il Segretario lesse la sentenza:
«Lo Spinuzza Salvadore a grande maggioranza viene condannato alla pena di morte da eseguirsi fra 24 ore in Cefalù». 
La mattina del giorno 13 un legno da Guerra giungeva nella spiaggia di Cefalù, portando la seconda vittima che immolare si doveva; ma il mare essendo grosso quel giorno non si potè effettuare la scesa, l’indomani giorno 14 il mare essendo più calmo, fecero scendere la vittima con molta pompa di sbirri e col solito De Simone, dopo due ore di cappella il secondo martire della libertà cadde fulminato dalle palle borboniche immerso nel proprio sangue, dopo due mesi e 24 giorni con quanta perfidia avevano trafitto il Bentivegna in Mezzojuso. 
Il Pio Sovrano Ferdinando II come ancora chiamavano alcuni seguaci soddisfatto del sangue di Bentivegna e Spinuzza, prese la via della clemenza di accordo coi suoi sanguinari ministri. 
Dopo immolata la seconda vittima, il Consiglio di guerra seguitò a giudicare la banda di Mezzojuso come prima aveva dato principio giudicando Stefano Bentivegna e Davide Figlia che furono condannati alla morte, in seguito furono condannati alla stessa pena. 


Spiridione Franco (testimone dei fatti): Francesco Bentivegna. Storia della rivolta del 1856 in Sicilia organizzata dal barone Francesco Bentivegna in Mezzojuso e da Salvatore Spinuzza in Cefalù. Entrambi traditi, vennero arrestati e fucilati. Altre 24 persone ebbero sentenza di morte.
Prefazione del prof. Santo Lombino
Pagine 170 - Prezzo di copertina € 15,00
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Giovanni Raffaele: La morte di Salvatore Spinuzza. Tratto da: Le torture in Sicilia al tempo dei Borboni. Un periodo di cronaca contemporanea.

Quella deposizione fu tenuta come vera, e come circostanza aggravante, quantunque lo Spinuzza a questa imputazione si fosse levato con impeto e dignitosamente aveva detto:
«Signori, fin’ora non ho detto una sola parola, perchè ho compreso che si vuole una vittima, e questa vittima predestinata son io: ma non posso tollerare che mi si addebitassero principii che non sono miei. Non mai ho professato principii repubblicani: io seguiva la bandiera adottata dal Parlamento Siciliano nel 1848, e voleva la monarchia costituzionale. A smentire dunque la deposizione calunniosa di quel testimone, dimando che questa mia dichiarazione s’inserisca nel processo.»
Malgrado tutto questo, il Consiglio di guerra, ritenne la deposizione di questo testimone vera ed aggravante perchè provava più anarchici principii, ordinò che per lo Spinuzza la sentenza si eseguisse la dimane alle ore 15 in Cefalù. Ma verso sera, subitamente cominciò a spirare un vento impetuoso di O.N.O., e il vaporetto che dovea trasportare lo Spinuzza non partì, perchè sarebbe stato impossibile disbarcarlo in quella spiaggia.
La dimane giovedì, il mare cominciò ad abbonacciare, e la partenza ebbe luogo verso le tre p. m. Nel viaggio lo Spinuzza esposto agli spruzzi del mare, e alla brezza freddissima, dimandò di esser messo in qualche luogo più riparato, al che il De Simone tenente di gendarmeria, che come Mastino del Direttore di polizia non mal manca a queste esecuzioni, rispose:
«Sta dove sei, non aver paura di catarro: mò, mò, arrivi a Cefalù, e guarisci di ogni male.» 
I satelliti di questo governo aggiungono sempre l’insulto alla sventura!
Arrivati a Cefalù, il mare ancora grosso, non permise lo sbarco, e per eseguirlo bisognò aspettare, fino a notte avanzata, per cui l’esecuzione non ebbe luogo. Arrivati a terra, Spinuzza domandò di un notaro e fece il suo testamento.
La dimane 13 l’esecuzione neppure ebbe luogo; il re cristiano, cattolico, apostolico romano, non permette che si versasse sangue il venerdì e così l’agonia dell’infelice Spinuzza si prolungò ancora di un giorno.
Quella gente, che era rimasta in Cefalù per non avere ove andare, interpetrò quel ritardo come un buono augurio, e sperò grazia. 
Ma Ramo fu inflessibile, e la popolazione corse al sottointendente, il quale promise, ma nulla adempì.
Venne il sabato: un tenente che incaricato della esecuzione, con una compagnia di cacciatori da Termini era passato in Cefalù, dichiarò di non poter più eseguire la sentenza, perchè trascorso il tempo prescritto negli ordini ricevuti, e indicanti «Giovedì 12 marzo alle ore 15.»
Ma quel sottointendente Nicolosi, che fu giudice in Lercara nel 1820, le cui laidezze sono ricordate da Nicolò Palmeri nella sua opera postuma (saggio storico politico sulla costituzione del regno di Sicilia) tolse ogni difficoltà dicendo:
«Assumo io la responsabilità, ed ecco che vi dò ordine scritto, eseguite.»
L’umanitario governo, per non dare questo spettacolo alla famiglia di Spinuzza, che dovea esser fucilato nel largo avanti alla sua casa, avea mandato tutti a domicilio forzoso in Gratteri. Spinuzza dunque fu condotto in una chiesa che resta di fronte alla di lui casa: ivi fu fatto confessare, fu celebrata una messa, e fu comunicato.
In tutto questo tempo il buon sacrestano di quella chiesa, che conosceva Spinuzza fin dalla sua più tenera infanzia, non fece altro che singhiozzare e piangere dirottamente. Pria di uscire dalla chiesa Spinuzza, domandò per grazia al tenente, di permettergli che abbracciasse quel buon uomo, e l’abbracciò: ma allo staccarsi dalle sue braccia, appena dato qualche passo, il sacrestano svenne, e come corpo morto cade.
Lo Spinuzza si levò il suo cappotto, e fece un passo indietro per coprire l’uomo caduto a terra, e lasciarglielo. Allora il tenente noiato di tanti indugi, gli levò il cappotto, e spingendolo innanti gli disse:
«Cammina, mò che sarai morto, glielo darò io.» 
Ma Spinuzza glielo strappò con violenza dicendo:
«Sei padrone della mia vita, ma non della mia roba: voglio darglielo io.»  
E coprì e baciò il sacrestano ancora svenuto, e poi si avviò con passo fermo.
Uscito nel piano esistente tra la chiesa e la sua casa, lo Spinuzza ſu bendato, e fu seduto su di una sedia messa avanti la porta di entrata della sua casa. Allora con voce ferma gridò:
«Viva la libertà!»  
Fu questo l’ultimo suo sforzo, poi svenne. Il segno fu dato, e l’esecuzione fu compita...
Passo ora a narrarvi ben altre e più crudeli iniquità...


Giovanni Raffaele: Le torture in Sicilia al tempo dei Borboni. Un periodo di cronaca contemporanea.
Pagine 112 - Prezzo di copertina € 11,00
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