L'alba si apriva nel cielo d'oriente con
tenerezza grande. Fedele fu il primo a svegliarsi e come vide che Pispisedda si
stropicciava gli occhi e stirava le braccia, spalancando la bocca in uno
sbadiglio lungo e rumoroso, gli disse:
- Pispisedda, me ne vado.
- A quest'ora? A quest'ora i tuoi dormono la
grossa; se il sole non cala a piombo sulle case non si levano. Io lo so.
- Sarà vero; ma mia madre, a quest'ora si sarà levata.
- E che premura hai?!... Voglio farti conoscere
tanti picciotti amici, vieni.
E se lo tirò appresso fino a piazza Magione, dov'era il mercato delle frutta, che cominciava già a popolarsi.
E se lo tirò appresso fino a piazza Magione, dov'era il mercato delle frutta, che cominciava già a popolarsi.
A mano a mano che i picciotti giungevano,
Pispisedda li additava a Fedele:
- Ecco Sautampizzu, famoso saltatore; sorpassa
un muro alto, con un lancio; balza sui muri dei giardini, alleggerisce gli
alberi; arrampicandosi pei tubi dell’acqua e per le cimase tasta se tra le
zucche appese sui muri accosto alle finestre, non ce ne sia qualcuna che vada a
male e convenga levarla dalla compagnia delle altre.
Ecco Cacciatore, tiratore abilissimo; con una
sassata coglie un uccello a volo, e dà il tocco alla campana canterina del
campanile di Sant'Anna; se vai a Porta Nuova, in bocca ad uno dei giganti di
pietra ci trovi un sassolino che sembra un mozzicone di sigaretta; ce l’ha
buttato lui… per far fumare il gigante.
Ecco Ferraù: più forte del principe saraceno,
torce una barra di ferro con le mani; con un pugno stordisce un cavallo; dieci
di noi, se vogliamo tenerlo fermo, ci manda a gambe in aria.
Ecco Centolingue; sa fare il grido di tutti gli
animali: del cane, del gatto, della pecora, del bue, del ciuco, del maiale, del
pipistrello, del gufo.
Ecco don Gaetanino: sa contare tutta la storia
dei Reali di Francia, dei Paladini, di Bovo d'Antona, quello mezzo uomo e mezzo
cavallo.... ed è coraggioso come.... Gano di Magonza.
E la presentazione continuò un bel pezzo, mentre
i picciotti, facendo spallucce, sbirciavano dall'alto in basso Fedele, che, per
essere un pecoraro, stimavano di una razza inferiore alla loro. I monelli, per
quanto scalzi si fossero e col vestito a brandelli erano cittadini di Palermo,
la capitale, dove ci soleva stare il Re in persona. Da più anni il Re “in
persona” non ci stava in Palermo e ciò era anche cagione dell'odio che
sentivano i Palermitani per Casa Borbone.
Intanto, nella piazza del Mercato, la folla si
veniva affittendo, il gridìo si faceva più alto, sì che Fedele, abituato ai
silenzi dei monti, disse a Pispisedda:
- Me ne voglio andare: insegnami la via, ora che
mi hai condotto fin qui.
E s'incamminarono.
- Questa è la Fieravecchia dove undici anni fa
cominciarono a cacciare i soldati, dove nove anni fa presero Garzilli – veniva
dicendo Pispisedda. – Questo è il teatro di Santa Cecilia; e questa è la chiesa
di Sant'Anna, questo è il teatro Carolino, questi sono i Quattro Cantoni, ed
eccoti a piazza Bologni. Quella è la statua del re Carlo V che dice: “Se il
sangue non sarà alto un metro nelle strade di Palermo i birri del Borbone non
se ne andranno”. Guarda, quanti ce ne sono di birri davanti al Commissariato;
quello vicino la statua è la sentinella che ci sta notte e giorno. Ed ora ti
saluto; mi dovresti dare la mancia come la dànno gl’Inglesi con le basette e
gli occhiali verdi e il libro sempre nelle mani; ma noi siamo amici e non la
voglio. Piuttosto, dimmi quando ci rivedremo?
Fedele sorrideva malinconicamente; egli amava di
già quel monello piccinino come una statuina di terracotta abbronzata; quel
monello, con la bella grossa testa ricciuta, dove gli occhioni verdognoli si
aprivano come grandi finestre sul mare agitato, che gli aveva fatto tanto bene,
così, spensieratamente; e gli pareva di conoscerlo da molto tempo e lo appaiava
di già alle altre persone che gli erano care: la madre, la signora Bianca,
Rocco e Giulia e il padre suo, morto, ma tanto dolce nella memoria.
- Ci rivedremo presto o qui in città o lassù a
Baida. Vieni a trovarmi e staremo insieme come fratelli; lassù l'aria buona ti
farà crescere come un pioppo e sarai libero.
- Sì, ma più tardi, se scendi, mi trovi ai
Quattro Cantoni o nei quartieri della Kalsa, vicino la chiesa della Gancia.
Quando mi dice la testa, faccio il muratore; lavoro da don Ciccio Riso in via
Vetriera. Tu puoi venirmi a trovare anche colà.
- Ti saluto.
- Servo suo – fece il monello sberrettandosi e
stemperando in una sghignazzata un sorriso affettuoso.
Giuseppe Ernesto Nuccio: Picciotti e Garibaldini. Romanzo storico nella Palermo del 1859-60.
Nella versione originale pubblicata dall'editore Bemporad nel 1919
Prefazione del dott. Rosario Atria. - Corredato dalle illustrazioni dell'epoca di Alberto della Valle
Pagine 511 - Prezzo di copertina € 22,00
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