Messina contrastò per cinque giorni il passo alle regie truppe, in una difesa disperata ed eroica, nella quale rifulgono esempi di eroismo; che dovrebbe porla, per lo meno accanto a quella di Brescia, se i narratori di storia rendessero giustizia alle nostre vicende. Essa non cedette, se non quando era ridotta un cumulo di macerie, le sue artiglierie insufficienti smantellate, consumate le ultime cartucce; straziati gli inermi con crudeltà efferate. E il Tempo e i miserabili giornali assoldati dal governo, che avevano aizzato prima, gongolavano ora alle notizie delle “vittorie” dei regi: ma altri giornali ne piangevano(81). Le barbarie furon fatte cessare dall’energico intervento degli ammiragli Parker e Baudin: ma l’eco se ne diffuse dovunque. Il 23 settembre il comitato centrale della società per la confederazione italiana, adunatosi a Torino, lanciava la sua protesta.
“Le scene di sangue e di sterminio, colle quali il re di Napoli ha or compiuto l’eccidio dell’eroica città di Messina, e i deplorabili tentativi coi quali non cessa di pretendere che la Sicilia sia ricondotta alla schiavitù, pongono la Società Nazionale nel dovere di appellarne alla forza della pubblica opinione, manifestando ai popoli e ai governi d’Italia la dolorosa impressione che essa ne ha risentita.
“Un rapido sguardo sopra le origini di tanta lotta, giustificherà pienamente il giudizio che la Società crede formarne, allorchè si dichiara affatto convinta che stanno in favore della Sicilia i più rispettabili titoli, sui quali un popolo possa mai appoggiare la domanda della propria indipendenza”.
Dopo aver esposto la storia della fusione di Napoli e Sicilia, e del tradimento perpetrato a danno di questa; dopo di aver affermato il diritto dei popoli di ribellarsi contro una crudele oppressione; tanto più, quando questa si fonda sulle “ambigue frasi del congresso di Vienna oramai esacrato nel mondo e cancellato dal diritto pubblico d’Europa”, e dopo aver riconosciuto che la Sicilia fu la prima a proclamare il vincolo federale, conclude: “Gli uomini i cui consigli han gareggiato in barbarie colle tendenze del loro re; gli uomini che ne han tanto degenerato la truppa e insozzato la bandiera; gli uomini che han mascherato di rancor nazionale e convertito in guerra sterminatrice ciò che era appena una miserabile pretesa di usurpazione dinastica; gli uomini che per accattare un sorriso di corte han gittata la desolazione in una delle più benemerite fra le italiane contrade; costoro porteranno sulla loro coscienza l’enorme responsabilità dell’uno fra i più gravi attentati che il cittadino d’Italia possa mai commettere contro la patria”. Questa protesta votata alla unanimità portava le firme del conte Luigi Sanvitale, del generale Racchia, di Francesco Freschi, Francesco Ferrara, Domenico Carutti, Antonio Gallenga(82).
“Le scene di sangue e di sterminio, colle quali il re di Napoli ha or compiuto l’eccidio dell’eroica città di Messina, e i deplorabili tentativi coi quali non cessa di pretendere che la Sicilia sia ricondotta alla schiavitù, pongono la Società Nazionale nel dovere di appellarne alla forza della pubblica opinione, manifestando ai popoli e ai governi d’Italia la dolorosa impressione che essa ne ha risentita.
“Un rapido sguardo sopra le origini di tanta lotta, giustificherà pienamente il giudizio che la Società crede formarne, allorchè si dichiara affatto convinta che stanno in favore della Sicilia i più rispettabili titoli, sui quali un popolo possa mai appoggiare la domanda della propria indipendenza”.
Dopo aver esposto la storia della fusione di Napoli e Sicilia, e del tradimento perpetrato a danno di questa; dopo di aver affermato il diritto dei popoli di ribellarsi contro una crudele oppressione; tanto più, quando questa si fonda sulle “ambigue frasi del congresso di Vienna oramai esacrato nel mondo e cancellato dal diritto pubblico d’Europa”, e dopo aver riconosciuto che la Sicilia fu la prima a proclamare il vincolo federale, conclude: “Gli uomini i cui consigli han gareggiato in barbarie colle tendenze del loro re; gli uomini che ne han tanto degenerato la truppa e insozzato la bandiera; gli uomini che han mascherato di rancor nazionale e convertito in guerra sterminatrice ciò che era appena una miserabile pretesa di usurpazione dinastica; gli uomini che per accattare un sorriso di corte han gittata la desolazione in una delle più benemerite fra le italiane contrade; costoro porteranno sulla loro coscienza l’enorme responsabilità dell’uno fra i più gravi attentati che il cittadino d’Italia possa mai commettere contro la patria”. Questa protesta votata alla unanimità portava le firme del conte Luigi Sanvitale, del generale Racchia, di Francesco Freschi, Francesco Ferrara, Domenico Carutti, Antonio Gallenga(82).
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