Il mese di gennaio 1848
entrava carico di foschi presentimenti; le agitazioni crescevano, le stampe
rivoluzionarie si moltiplicavano; le spie riferivano al Prefetto di polizia che
pel giorno 12 tutti sarebbero usciti con coccarde tricolori. Il luogotenente
generale Di Maio chiudeva l’Università, rimandando nei paesi natali gli
studenti. Ma la mattina del 9 apparvero sui muri, e furon distribuiti e spediti
in gran numero nella provincia, foglietti a stampa che contenevano questo
memorabile proclama:
“Siciliani, il tempo delle preghiere inutilmente passò.
Inutili le proteste, le suppliche, le pacifiche dimostrazioni, Ferdinando tutto
ha spezzato; e noi, popolo nato libero, ridotto fra le catene nella miseria,
tarderemo ancora a riconquistare i legittimi diritti? – Alle armi, figli della
Sicilia! la forza di tutti è onnipotente: l’unirsi dei popoli è la caduta dei
re. – Il giorno 12 gennaio 1848 segnerà l’epopea gloriosa della universale
rigenerazione. Palermo accoglierà con trasporto quei Siciliani armati che si presenteranno
al sostegno della causa comune, a stabilire riforme e istituzioni conformi al
progresso del secolo, volute dall’Europa, dall’Italia, da Pio. – Unione,
ordine, subordinazione ai capi, rispetto a tutte le autorità e che il furto si
dichiari tradimento alla causa della patria, e come tale sia punito. – Chi sarà
mancante di mezzi sarà provveduto. – Con giusti principi, il cielo seconderà la
giustissima impresa. – Siciliani, alle armi!”
Questa sfida, che si
credette lanciata da un Comitato e stampata dal tipografo Giliberti, era stata
ideata e scritta da Francesco Bagnasco, causidico, di sua iniziativa.
Lo stesso giorno si
diffondeva un Ultimo avvertimento al
tiranno, e con termini energici si invitavano i Siciliani alle armi, pel 12
gennaio. Il Luogotenente Generale allora si scosse, e ordinò arresti; la notte
stessa del 9 la polizia arrestò e fece chiudere nel Castello undici cittadini,
tra i quali erano Francesco Ferrara, Francesco Paolo Perez ed Emerico Amari.
Egli credeva avere posto le mani sui capi; ma a disingannarlo, il domani 10
apparve una dichiarazione firmata da un Comitato
direttore che confermando la sfida, dava istruzioni alle squadre cittadine
e delle campagne, prometteva capi ed armi, e metteva in guardia i cittadini
contro le manovre della polizia.
All’alba del 12 poca
gente disarmata uscì curiosa per le strade; un certo Vincenzo Buscemi,
vedendosi il solo armato, credette ad un tradimento, e tirò la prima fucilata.
Sopraggiunsero altri
nella piazza della Fieravecchia e fra essi Giuseppe La Masa armato, venuto da
due giorni nascostamente da Firenze, che cominciò ad esortare i convenuti.
Giovane, di bell’aspetto, con una pronuncia toscaneggiante, ignoto a tutti, fu
creduto uno dei capi venuto dal Continente. Allora il giovane avvocato Paolo Paternostro,
salì sulla fontana che orna la piazza, ed arringò la folla che si veniva facendo.
Si gridò Viva Pio IX! Viva l’Italia! Viva
la Sicilia! Il La Masa scrisse un
breve proclama, in nome di un Comitato
provvisorio della Piazza d’armi della Fieravecchia, e improvvisò una
bandiera legando un cencio bianco uno rosso e uno verde a una canna. Ma Santa
Astorina, moglie di Pasquale Miloro, uno degli accorsi, portò una bandiera e
coccarde tricolori preparate dal marito nella notte. Si cominciarono a sonare
le campane a stormo. Gli insorti erano qualche centinaio e si divisero a
squadre; avvenne uno scontro contro la cavalleria, e vi trovò la morte Pietro
Omodei, il primo cittadino caduto. Se il Comando non avesse ritirato le truppe,
avrebbe potuto troncare i pochi insorti, ma memore del 1820, forse temendo
imboscate, non osò prendere una vigorosa offensiva, e segnò la sua condanna.
Un vero Comitato provvisorio della Piazza d’Armi,
fu costituito in piazza Fieravecchia coi nomi del La Masa, di Giuseppe
Oddo-Barone, barone Bivona, di Tommaso Santoro, di Salvatore Porcelli, di Damiano
Lo Cascio, di Sebastiano Corteggiani, di Giulio Ascanio Enea, di Mario
Palizzolo, di Pasquale Bruno, dei tre fratelli Cianciolo, di Giacinto Carini,
di Rosario Bagnasco, di Leonardo Di Carlo, del principe di Villafiorita, di
Giovanni Faija, di Rosolino Pilo, dei fratelli d’Ondes; ai quali poi si
aggiunsero Salvatore Castiglia, Filippo Napoli, Ignazio Calona, Vincenzo Fuxa,
il principe di Grammonte e qualche altro.
Il giorno dopo
cominciarono ad arrivare le squadre dei dintorni, e si ripresero i
combattimenti per espugnare i Commissariati e i posti avanzati, come quelli
delle Finanze e della vicina gendarmeria. Intanto, essendo necessario
provvedere ai bisogni della città e della rivoluzione, fu convocata, dal
pretore marchese di Spedalotto, la municipalità con l’intervento dei membri del
Comitato della Fieravecchia e di altri cittadini, e si convenne la costituzione
di un grande Comitato, diviso in quattro Comitati minori, uno per la guerra e
la sicurezza, presieduto dal Principe di Pantelleria, il secondo per l’annona,
presieduto dal Pretore, il terzo per raccogliere le somme, presieduto dal
marchese di Rudinì, il quarto per le notizie, la stampa, la propaganda, presieduto
da Ruggero Settimo, il quale fu posto anche a capo del Comitato generale, con
Mariano Stabile segretario. Si istituirono inoltre ospedali pei feriti nella
Casa Professa dei Gesuiti e nei conventi di S. Domenico e Sant’Anna; il fiore
dei medici offerse l’opera sua, gratuitamente. Due Commissioni, delle quali una
di donne, attesero alla beneficenza...
Luigi Natoli: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860.
Tratto da: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.
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