Gli storici siciliani della rivoluzione del 1848, mossi da
non so quale paura, più della parola che della cosa, o non parlano o
diminuiscono l’importanza delle manifestazioni repubblicane, che non vi
mancarono, negando perfino l'esistenza di un partito repubblicano, pel solo
fatto che esso era scarsamente rappresentato in Parlamento. E ciò, non ostante
che più volte uomini di parte repubblicana, per la loro tutorità, fossero stati
chiamati al governo.
Che un
partito organizzato come lo intendiamo oggi non ci fosse, è vero: ma non è da
maravigliarsene. Nel '48 le Camere non rappresentavano divisioni nette di
partiti; v'erano certamente i più temperati a destra, e v'erano i più accesi a
sinistra; ma poiché si era, e si fu, per tutti i sedici mesi in un periodo
rivoluzionario, col nemico ai fianchi, e con la necessità impellente di
costituirsi e assicurarsi l’indipendenza, il comune interesse offriva un
terreno nel quale le frazioni del Parlamento, anche senza preventivi accordi,
si intendevano e procedevano insieme, superando le divergenze programmatiche.
I repubblicani al Parlamento erano un piccolo gruppo, ma di prim'ordine;
fuori del Parlamento erano più numerosi che non si creda. Michele Amari lo storico,
Giuseppe La Farina, Francesco Crispi, Vincenzo Errante, Giuseppe La Masa,
Pasquale Calvi, Michele Bertolami, Giovanni Interdonato, Angelo Marrocco, Saverio
Friscia e pochi altri alla Camera dei Comuni; e accanto a essi i simpatizzanti,
come Paolo Paternostro, Francesco Ferrara, Gabriele Carnazza e altri più o
meno, che sedevano a sinistra; fuori del Parlamento, Gabriele Dara, Carlo Papa,
Pietro d'Alessandro, Rosolino Pilo, Francesco Milo-Guggino, Giorgio Tamaio,
Rosario Bagnasco, Giuseppe Vergara-Craco, Carlo F. Bonaccorsi, Paolo Morello,
Giovanni Corrao, Giuseppe Benigno, Giuseppe Badia, poeti, scrittori,
giornalisti, combattenti, e una folla di ignoti, che non mancava di manifestare
i suoi sentimenti in foglietti anonimi, in poesiole. Ma i repubblicani non scrivevano soltanto nei giornali di lor parte; essi trovavano accoglienza – senza riserve – anche in altri giornali. L'Indipendenza e la Lega di Francesco Ferrara, il miglior giornale della Sicilia e uno dei migliori che vedessero la luce in Italia in quei tempi, era preferito dagli scrittori repubblicani. Uno dei redattori più assidui era C. F. Bonaccorsi, amico del Mazzini, da lui conosciuto a Londra, e che avremo occasione di citare più innanzi. Quando non scrivevano sui giornali, mandavano intorno foglietti volanti. Uno ne ho sottocchio, che fra l'altro dice, parlando della rivoluzione siciliana: “...e chi sa se potrà smentire la comune sentenza che dalla schiavitù non possano i popoli destinarsi a liberissime istituzioni? E chi sa se tutto d'una sol voce proclamando il popolo il sacro nome di repubblica, diverrà la repubblica il primitivo elemento della vita siciliana?”.
V’è un gruppo di poeti, e qualcuno degno di esser meglio conosciuto,
che si possono dire i propagandisti dell'odio avverso la monarchia. Gl'inni
stessi, esaltatori di vittoria o incitatori alla guerra, non si sottraggono a
questo sentimento: uno di essi, che io fanciullo sentivo ancora canticchiare
da qualche vecchio del '48, aveva questa strofe, la sola che io ricordi:
Dall'Alpi
allo Stretto
s'
innalzi una voce;
si
pianti la croce
sul
trono dei re!
Luigi Natoli: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860.
Tratto da: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.
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