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lunedì 7 novembre 2016

Luigi Natoli: Giuseppe Campo


Fermato il giorno, che invece del 4 fu il 9 ottobre, il comitato direttivo si dava alacremente a preparare ogni cosa; Giuseppe Bruno-Giordano faceva fondere bombe, altre bombe si fondevano in casa di Giovanni Faija, assunto a ufficio di Segretario; la polvere apprestava il Rammacca, il piombo il negoziante Giuseppe Briuccia. Stabilite relazioni coi più noti e animosi liberali dei paesi vicini, e coi più autorevoli e sicuri cittadini dei vari quar­tieri della città, il dottor Di Benedetto formava e il co­mitato direttivo approvava il piano di insurrezione. Essa doveva scoppiare simultaneamente dentro e fuori Pa­lermo, appena dato il segno, attaccandosi a un tempo dalle squadre interne ed esterne le varie caserme mili­tari, così da impedire il congiungimento delle truppe, isolarle, chiuderle, costringerle alla resa. Il governo in­tanto, raccogliendo la voce di “una irruzione dell’av­venturiero Garibaldi” dava ordini agli Intendenti delle provincie di usar la maggior sorveglianza, e non si accorgeva ancora del fuoco che ardeva nella capitale.
Ma per ragioni che parvero esatte, si scartò poi l’idea di cominciar l’insurrezione nella città; e cercan­dosi un luogo adatto nei dintorni, Giuseppe Campo si offerse animosamente di levar Bagheria, e movere pel primo con la sua squadra sopra Palermo, dando così il segno della generale rivolta. Fidava egli nelle promesse dei suoi amici e principalmente di un tal Francesco Gandolfo, che vantava aver una forte squa­dra; ma, andato a Bagheria, l’alba del 9, il Campo non si trovò accanto che cinque o sei intrepidi: non pensò che bisognava essere audaci, e per timore di fallire, ri­mandò il moto al giorno 10, senza però darne avviso al Comitato: il quale, aspettati invano i segnali convenuti, mandò il Marinuzzi, cui s’unì il Di Chiara, per saper qualche cosa. Il Campo, esposto il caso, promise che avrebbe a ogni costo preso le armi il 10 di mattina; ma intanto le altre squadre delle campagne, che tenendosi fin dal giorno 8 nascoste nei posti assegnati, avevano fino allora aspettato, mancato il segno, non avvisate, credendo perduta ogni cosa, si sciolsero.
ll Campo non potè raccogliere i suoi uomini che verso sera, e mosse nella notte; e disarmata la guardia ur­bana di Santa Flavia, impadronitosi del posto doganale di Porticello, divise le sue forze in due. Una parte, pro­seguendo per l’Aspra, nell’oscurità vide quantità d’uo­mini, e credette fosse la squadra di Villabate. Ma al suo grido: Viva la libertà! rispose un altro grido di Viva il re! e una scarica; e la sorpresa sgomentò gli insorti e li disperse.
L’altra parte col Campo corse a Villabate, assalì il posto delle guardie urbane e la casa del loro capo Salmeri; ma sopraggiunte milizie e compagni d’arme, la esigua schiera si sbandò; e il Campo, travestito da contadino, scampò nella villa del conte Federico, donde l’anno appresso fuggì in continente, ove erano i fratelli, esuli anch’essi, e ritornò poi coi Mille. Nobile famiglia di patriotti questa dei Campo; quattro fratelli pari per valore, generosità, integrità di carattere, devozione alla patria, disinteresse, modestia, che non lasciarono scor­rere un giorno inoperoso , finché la patria domandò cuori e braccia.
 
Luigi Natoli: La rivoluzione siciliana. Narrazione
Tratto dal volume: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.

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