E venne l’alba del 4, dopo una notte che dovette parer lunga alle anime,
aspettanti fra le armi il segnale convenuto. Avevano esse il presentimento che
il loro segreto era stato tradito?
Forse l’ebbe Francesco Riso, l’aveva avuto anzi qualche giorno prima, quando
all'avvocato Pennavaria aveva detto “Ho dato la mia parola, e sebbene son persuaso che
nel pericolo mi abbandoneranno, non la ritiro”.
Poco prima dell’alba, Riso mandò qualcuno a esplorare
la vicina piazza della Fieravecchia dove doveva essere sparato il mortaretto:
il messo la trovò deserta, il che parve cattivo indizio, e scorò qualcuno; ma
fu un baleno. Alle cinque del mattino, Riso mandò sul campanile della chiesa
Nicola Di Lorenzo e Domenico Cucinotta con bombe all’Orsini, appostò là altri
compagni, e si avviò con alcuni de’ suoi alla porta d’uscita. Al suo apparire
una pattuglia di compagni d’armi in agguato gridò: – Alto, chi va là? –
Rispose: – Chi viva? – Viva il re! –Viva Italia! – ribattè
il Riso, e tirò due colpi di fucile, che uccisero il soldato Cipollone. Fu il
segno dell'attacco. Il Di Lorenzo ed il Cucinotta suonano a stormo le campane;
il Riso corre al campanile, e piantata la bandiera tricolore, ritorna giù a sostenere
il fuoco: cadono Giuseppe Cordone, Mariano Fasitta, Matteo Ciotta, Michele
Boscarello e Francesco Migliore. Agli spari e allo scampanio, accorre per la
Vetriera la squadra della Magione: Sebastiano Camarrone e Giuseppe Aglio,
audaci, girando sotto l’arco piccolo di S. Teresa, respingono un plotone di
soldati; ma invano. Cade Salvatore La Placa, ferito al petto, e raccolto da
pietosi e celato, scampa così all’eccidio. Guaritosi appena, corse poi a raggiungere le squadre, combattè il 27
maggio a Porta Carini, e fu ferito alla gamba.
La squadra della Zecca, uscita anche essa, trovatasi di fronte al
grosso della truppa, e non potendo affrontarla si disperse.
Tra il fumo, gli spari, gli urli, parte della squadra
ripara nel convento. Il Riso grida energicamente: “Coraggio; la città sta per
insorgere; sostenetemi tre ore di fuoco, e saremo salvi”.
E intanto le campane squillavano sulle fucilate,
e pareva chiamassero disperatamente la città, che o impreparata o sgomenta
non si moveva, e lasciava compiere il sacrificio; squillavano, terribile voce
di libertà, non ostante la sconfitta. ll generale Sury appunta i cannoni contro il campanile per far tacere le campane: atterra la porta
del convento con gli obici, e allora i regi, fanti, cacciatori,
artiglieri, compagni d'arme si lanciano all'assalto. Per snidare gl'insorti,
il tenente Bianchini porta a braccia un obice sul piano superiore del convento.
Gl' insorti si sbandano: Giuseppe Virzì e Bartolomeo Castellana, sbarazzatisi
delle armi, si buttan dall'alto e si rompono le gambe: raccolti da buona gente
e occultati, e dopo alcuni giorni portati all'ospedale come muratori precipitati
da una fabbrica, così scamparono alla strage. Francesco Riso, colto da quattro
palle al ventre e al ginocchio cade. La sua caduta mette fine alla resistenza.
Caddero in poter loro alcuni insorti: testimoni oculari narrano di un
birro, che rubato l’orologio al Riso, caduto per terra, lo ferì di baionetta
all’inguine; e di un altro che finì ferocemente un giovane insorto ferito e
impotente a muoversi...
Luigi Natoli: La rivoluzione siciliana. Narrazione.
Tratto da: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.
Prezzo di copertina € 24,00 - Sconto 15% - Spedizione gratuita.
Nessun commento:
Posta un commento