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sabato 19 novembre 2016

Luigi Natoli: il 4 aprile 1860. Tratto da: La rivoluzione siciliana, narrazione.



E venne l’alba del 4, dopo una notte che dovette parer lunga alle anime, aspettanti fra le armi il segnale convenuto. Avevano esse il presentimento che il loro segreto era stato tradito?
Forse l’ebbe Francesco Riso, l’aveva avuto anzi qualche giorno prima, quando all'avvocato Pennavaria aveva detto Ho dato la mia parola, e sebbene son per­suaso che nel pericolo mi abbandoneranno, non la ri­tiro”.
Poco prima dell’alba, Riso mandò qualcuno a esplo­rare la vicina piazza della Fieravecchia dove doveva essere sparato il mortaretto: il messo la trovò deserta, il che parve cattivo indizio, e scorò qualcuno; ma fu un baleno. Alle cinque del mattino, Riso mandò sul cam­panile della chiesa Nicola Di Lorenzo e Domenico Cu­cinotta con bombe all’Orsini, appostò là altri com­pagni, e si avviò con alcuni de’ suoi alla porta d’uscita. Al suo apparire una pattuglia di compagni d’armi in agguato gridò: – Alto, chi va là? – Rispose: – Chi viva? – Viva il re! –Viva Italia! – ribattè il Riso, e tirò due colpi di fucile, che uccisero il soldato Cipollone. Fu il segno dell'attacco. Il Di Lorenzo ed il Cucinotta suonano a stormo le campane; il Riso corre al cam­panile, e piantata la bandiera tricolore, ritorna giù a so­stenere il fuoco: cadono Giuseppe Cordone, Mariano Fasitta, Matteo Ciotta, Michele Boscarello e Francesco Migliore. Agli spari e allo scampanio, accorre per la Vetriera la squadra della Magione: Sebastiano Camar­rone e Giuseppe Aglio, audaci, girando sotto l’arco pic­colo di S. Teresa, respingono un plotone di soldati; ma invano. Cade Salvatore La Placa, ferito al petto, e raccolto da pietosi e celato, scampa così all’eccidio. Guaritosi appena, corse poi a raggiungere le squadre, com­battè il 27 maggio a Porta Carini, e fu ferito alla gamba.
La squadra della Zecca, uscita anche essa, trovatasi di fronte al grosso della truppa, e non potendo affron­tarla si disperse.
Tra il fumo, gli spari,  gli urli, parte della squadra ripara nel convento. Il Riso grida energicamente: “Co­raggio; la città sta per insorgere; sostenetemi tre ore di fuoco, e saremo salvi”.
E intanto le campane squillavano sulle fucilate, e pa­reva chiamassero disperatamente la città, che o impre­parata o sgomenta non si moveva, e lasciava compiere il sacrificio; squillavano, terribile voce di libertà, non ostante la sconfitta. ll generale Sury appunta i cannoni contro il campanile per far tacere le campane: atterra la porta del convento con gli obici, e allora i regi, fanti, cacciatori, artiglieri, compagni d'arme si lanciano all'as­salto. Per snidare gl'insorti, il tenente Bianchini porta a braccia un obice sul piano superiore del convento. Gl' insorti si sbandano: Giuseppe Virzì e Bartolomeo Castellana, sbarazzatisi delle armi, si buttan dall'alto e si rompono le gambe: raccolti da buona gente e oc­cultati, e dopo alcuni giorni portati all'ospedale come muratori precipitati da una fabbrica, così scamparono alla strage. Francesco Riso, colto da quattro palle al ventre e al ginocchio cade. La sua caduta mette fine alla resistenza.
Caddero in poter loro alcuni insorti: testimoni oculari narrano di un birro, che rubato l’orologio al Riso, caduto per terra, lo ferì di baionetta all’inguine; e di un altro che finì ferocemente un giovane insorto ferito e impotente a muoversi...
 
 
 
Luigi Natoli: La rivoluzione siciliana. Narrazione.
Tratto da: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.
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