Adunava molti animosi in un magazzino nella campagne di S. Maria di
Gesù, e rivolte loro calde parole di incitamento, li apparecchiò alla prossima
battaglia. Ma il convegno e i discorsi seppe da un delatore la polizia, che per
maggiore sicurezza, fece trasportare i già prigionieri nelle segrete della
cittadella di Messina, e arrestò il Bentivegna ed altri della congiura. Contro
questo “branco di scellerati” come col consueto linguaggio le polizie di tutti
i tempi chiamavano i novatori, si istruì un voluminoso processo.
(1856) Intanto che l’emigrazione
apriva sottoscrizioni e raccoglieva i mezzi per l’acquisto di 10
mila fucili, Francesco Bentivegna correva al comitato di Palermo, prendeva
accordi, e stimato giunto il tempo di sostituire l’azione ai disegni, la sera
del 22 novembre 1856, congregati in Mezzojuso alquanti fedeli, con David
Figlia, Spiridione Franco, Nicolò Di Marco e altri, inalberò il vessillo
tricolore al grido di viva l’Italia.
Disarmata la guardia urbana, solleva Villafrati,
corre a Ciminna in arme per opera
di Luigi La Porta, ma giunto alla Pianotta, riceve annunzio che Palermo è
tranquilla, e che invece movevano contro di lui forti colonne di fanti, cavalli
e cannoni e compagni d'arme.
Il comitato di Palermo e i paesi della provincia sgomenti degli apparati del governo, non seguirono
il moto rivoluzionario, onde il Bentivegna si trovò solo e abbandonato: allora
per non esporre i pochi seguaci a un vano sacrificio, sciolse la
squadra, e cupo, silenzioso, dolente riparò a Corleone.
(1856) Il
Bentivegna fu preso, per tradimento, il 3 dicembre, e tradotto il Palermo fu
sottoposto a giudizio con procedura illegale, contro la quale ricorsero i suoi
difensori, ma invano; ed egli venne dal consiglio di guerra, il 19, condannato
alla fucilazione, da eseguirsi in Mezzojuso entro le ventiquattro ore.
Ricondotto fra la sbirraglia e le truppe a Mezzojuso, impavido e sereno
sostenne il martirio, il 20 dicembre, un’ora e mezza circa del pomeriggio.
Aveva trentasei anni. Il De Simone infierì sul cadavere, vietandolo alle cure
pietose dei parenti, e facendolo buttare con le vesti del condannato in un
carnaio, donde, di notte, la pietà di congiunti e di amici, celatamente lo
trasse.
La sentenza illegale e crudele ebbe pubblico
biasimo, e svergognò il governo che la volle; ma né il biasimo né la vergogna
lo arrestarono nella voluttà del misfare.
Luigi Natoli: La rivoluzione siciliana nel 1860 - Narrazione
Fa parte del volume: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.
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