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lunedì 7 novembre 2016

Luigi Natoli: Francesco Bentivegna


Adunava molti animosi in un magazzino nella campagne di S. Maria di Gesù, e rivolte loro calde parole di incitamento, li apparecchiò alla prossima battaglia. Ma il convegno e i discorsi seppe da un delatore la polizia, che per maggiore sicurezza, fece trasportare i già prigionieri nelle segrete della cittadella di Messina, e arrestò il Bentivegna ed altri della congiura. Contro questo “branco di scellerati” come col consueto linguaggio le polizie di tutti i tempi chiamavano i novatori, si istruì un voluminoso processo.

(1856) Intanto che l’emigrazione apriva sottoscri­zioni e raccoglieva i mezzi per l’acquisto di 10 mila fu­cili, Francesco Bentivegna correva al comitato di Pa­lermo, prendeva accordi, e stimato giunto il tempo di sostituire l’azione ai disegni, la sera del 22 novem­bre 1856, congregati in Mezzojuso alquanti fedeli, con David Figlia, Spiridione Franco, Nicolò Di Marco e altri, inalberò il vessillo tricolore al grido di viva l’Italia.

Disarmata la guardia urbana, solleva Villafrati, corre a Ciminna in arme per opera di Luigi La Porta, ma giunto alla Pianotta, riceve annunzio che Palermo è tranquilla, e che invece movevano contro di lui forti colonne di fanti, cavalli e cannoni e compagni d'arme.

Il comitato di Palermo e i paesi della provincia sgo­menti degli apparati del governo, non seguirono il moto rivoluzionario, onde il Bentivegna si trovò solo e ab­bandonato: allora per non esporre i pochi seguaci a un vano sacrificio, sciolse la squadra, e cupo, silen­zioso, dolente riparò a Corleone.

(1856) Il Bentivegna fu preso, per tradimento, il 3 dicembre, e tradotto il Palermo fu sottoposto a giudizio con procedura illegale, contro la quale ricorsero i suoi difensori, ma invano; ed egli venne dal consiglio di guerra, il 19, condannato alla fucilazione, da eseguirsi in Mezzojuso entro le ventiquattro ore. Ricondotto fra la sbirraglia e le truppe a Mezzojuso, impavido e sereno sostenne il martirio, il 20 dicembre, un’ora e mezza circa del pomeriggio. Aveva trentasei anni. Il De Simone infierì sul cadavere, vietandolo alle cure pietose dei parenti, e facendolo buttare con le vesti del condannato in un carnaio, donde, di notte, la pietà di congiunti e di amici, celatamente lo trasse.

La sentenza illegale e crudele ebbe pubblico biasimo, e svergognò il governo che la volle; ma né il biasimo né la vergogna lo arrestarono nella voluttà del misfare.
 
Luigi Natoli: La rivoluzione siciliana nel 1860 - Narrazione
Fa parte del volume: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.

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