Agiato fontanaro, di bell’aspetto, di gran
cuore, Francesco Riso era stato attratto nella cospirazione da Giuseppe
Bruno-Giordano; e ne era divenuto uno dei più attivi e audaci. Assunto il
periglioso incarico, avea preso a pigione un magazzino dei frati della Gancia,
contiguo al convento e vicino a casa sua, col pretesto di conservarvi
doccionati e strumenti del mestiere, in realtà per depositarvi armi e
munizioni; e altro magazzino aveva appigionato alla Magione per lo stesso
scopo, dove durante quei giorni di preparazione, lentamente, eludendo ogni
vigilanza, s’erano venuti trasportando le armi. E in quello della Gancia, il
tre di aprile, in sporte di carbone, furono portate le bombe fuse dallo
Chentrens e le mitraglie e i pezzi del cannone di legno, smontato. Le quali
armi perciò non si trovavano ancora tutte raccolte, quando il primo di aprile
il barone Pisani figlio, per incarico del comitato andò a verificare, per cui,
non ricevendo buona impressione corsero parole vivaci fra il Pisani e il Riso:
ma il dado era tratto, e non si dovea più aspettare.
La forza di cui poteva disporre l’animoso
popolano si trovò essere di poco più che ottanta uomini, che il Riso ripartì in
tre squadre; una di venti uomini, capo lui stesso, doveva appostarsi nel
magazzino della Gancia; l’altra di cinquanta, alla Magione, e doveva
capitanarla Salvatore La Placa, bovaro, audace e valoroso; la terza doveva
capitanarla Salvatore Perricone.
Delle bombe furono portate nel palazzo Rudinì,
ai Quattro Canti, per essere lanciate sulla truppa quando sarebbe scesa dalle
caserme: altre armi avevano raccolto i fratelli Carlo e Carmelo Trasselli,
nella loro casa, presso la Gancia, dove nella notte del tre aspettavan uomini
fidati; e altri uomini presso la porta di Termini dovevano adunarsi coi
fratelli Antonino e Serafino Lomonaco-Ciaccio. Di due bandiere cucite da un
Impallomeni mercante di berretti, una portava egli stesso, il 3 aprile, al
Riso, l’altra consegnava all’avvocato Mancuso, e doveva sventolare ai Quattro
Canti.
Gli storici raccolsero che la spia fosse stata
un frate della Gancia. È falso. L’equivoco nacque dal vedere il 4 aprile un
fra’ Michele da Prizzi col casco dei poliziotti, unito con la sbirraglia; ma
fra Michele non era della Gancia. La polizia o per essere più esatti, l’ispettore Catti, aveva ricevuto la denunzia dalla
guardia di polizia segreta Francesco Basile, al quale, per imbecillità, certi
Muratore e Urbano, avevano confidato che il 4 sarebbe scoppiata la rivolta, e
lo avevano invitato a unirsi con loro, non sapendo forse che il Basile fosse un
agente segreto. E ciò risulta da documenti ufficiali.
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