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martedì 9 aprile 2024

Giuseppe Ernesto Nuccio: La fuga di Gaspare Bivona e Filippo Patti, superstiti del 4 aprile . Tratto da: Picciotti e Garibaldini. Romanzo storico siciliano

 
Pispisedda balzò sui primi scalini della chiesa e cominciò a vociar: “Figliolanze, figliolanze. Una il grano   la figliolanza”. Frattanto sogguardava a destra e a manca della strada. Da ponente calava una fila lunga di carri; ed essendo la cosa inusitata, in quei giorni di subbuglio e di trepidanza, i soldati, ch’eran di fazione, si sporsero incuriositi e, come il primo carrettiere li raggiunse lo fermarono.
Ma questi, che pareva s’aspettasse la richiesta, con un sorriso malizioso nella faccia che voleva dir “dovete striderci!”, mostrò un foglio dov’era scritto, con tanto di firma del general Salzano, il permesso di fermarsi davanti il convento della Gancia, dovendo caricar mercanzia da alquanti magazzini del vicolo della Pietà, troppo angusto, perchè c’entrassero i carri.
E, come il soldato diede il passo, il carrettiere fece schioccare la frusta incitando la bestia con un arrì alto e gioioso al quale seguirono quelli reiterati dei carrettieri.
E i carri avanzaron con un fracassìo che rintronava, rotto dal vociar dei carrettieri.
“Ci siamo!” pensava Pispisedda non restando dal gridar: – Figliolanze, figliolanze, un grano ogni figliolanza.  
Ma venne tosto, dal basso della strada, dalla parte di via Torremuzza, un gridìo alto.
Pispisedda balzò sugli scalini e guardò. Ecco Drea e un branco di picciotti salir di carriera sventolando fogli:
“Figliolanze, figliolanze” venivano gridando “figliolanze, un grano l’una!”, e si spargevano lungo la via, tra un carro e l’altro; che si eran fermati davanti le grate del convento, facendo baluardo.
Ma altri carri, altri carrettelli di venditori salgono dal basso della strada e vengono tutti insieme in linea orizzontale, solleciti, come se non voglian cedersi il passo: “Arance, arance”, grida uno, e un altro: “Aghi e spille”. E d’ogni banda gridi che s’incrocian: “Latte, latte! Caramelle! sale bianco!”.
E dai vicoli traversi sbucano ancora venditori come se accorressero ad un mercato.
E poi che la maggior parte dei carri ingombra il passo presso le grate, in quel punto s’agglomera e rigurgita quel torrente improvviso di carri, di carretti, di mercanzia, di gente; e poi che ciascuno simula l’impazienza viva di proceder, chiede il passo con la voce aspra e minacciosa, onde, mentre s’intreccian dispute, le ruote dei carri, s’incagliano, s’impigliano. Un carico di seggiole s’arrovescia fra il groviglio e finisce con l’ostruire in siffatto modo il lastrico, che, a voler passare oltre, è ormai impresa vana, per modo che la sentinella, a mano a mano, ha dovuto accorciar l’andare finchè s’è appiolata presso la chiesa, dove i soldati sono assordati dal gridìo che li discervella.
Pispisedda, dall’alto dello scalino, sogguarda laggiù e il grido: “Figliolanze” gli muore mezzo strozzato dall’ansia, dalla trepidazione vivissima. Perché, laggiù, oltre la barriera di seggiole, di carri, di gente disputante, che vocìa, che si sbraccia, che simula litigi, Pispisedda travede Tanu Vaccaru e il macellaio e Gaspare Graziano curvi, affannati a squarciar con le unghie e con gli arnesi il muro donde usciranno i due prigionieri. E come Pispisedda si volge a sogguardar i soldati e li scorge irrequieti, indecisi e mormoranti per quel diavoleto nuovo, impallidisce e trema: “Ah se, Dio non voglia!, questi si decidessero a scendere e a rompere la barriera, tutto quel generoso armeggio del popolo per salvar i fratelli riuscirà vano, e la turba degli sgherri del Re si getterà irosa su i cittadini”.
Ma, un altro poco, e Filippo Patti e Gaspare Bivona saranno tratti da quella sepoltura dove essi stessi si cacciarono. E Pispisedda torna a sogguardar laggiù, dove lo schiamazzìo si vien facendo più alto, quasi un vento di follìa agiti quella breve onda umana incomposta che avanza, arretra, ondeggia, spinta e risospinta fra un cozzar di ruote e di carri, uno scalpitar d’animali e uno schioccar di fruste e risonar di voci: “Indivia, indivia bianca! Caramelle, caramelle di miele! Latte, latte! Sale bianco!” e di gridi: “Date il passo! Fiancheggiate a sinistra! M’avete stroncata l’ala del carro! Piegate a destra! Non posso, c’è il salaro! Malaccorto! Scimunito!...”.
Ed ecco che il patassìo si riaccende più pazzo che mai. Come a un segno, i rivenditori rivociano; i carri, i carrettelli si muovono riafferrandosi fra le ruote, impigliandosi peggio, e grida, e schiocchi di fruste si fanno più alti di prima. I soldati, senza avvedersene, sono ricacciati addietro e i tre, con più ardore, ricominciano a scavar nel muro, e a dar voce a quei due di dentro. 
Ecco che altri soldati si cacciano dove dura quel tafferuglio, che sbalordisce. Ma un giovane esce dal grosso del viluppo, si scaglia in mezzo a un gruppo di donne, e tosto due popolane si accapigliano all’indemoniata; il branco si sparte in due, altri uomini, altre donne sostenendo le difese delle prime s’accapigliano e s’ingaggia tale una baruffa che sembra una bolgia d’indemoniati.
“Che succede? Maledette streghe! Ci volean anche loro!” strepitano i soldati. E tornano indietro a sedar la baruffa simulata con perfetta arte, per dar modo agli animosi di compir l’opera, ripresa con più lena. Attorno ai tre che scavano il muro, il baluardo di rivenduglioli, di carri e di animali, s’è fatto più stretto.
E Pispisedda, sbattuto, spinto, risospinto riesce a cacciarsi davanti la finestra. Vi rimane impietrito: oltre i tre uomini, curvi, che affossan le mani nei buchi del muro per trarre un masso, al di là della grata, nel tenebrore, ha intravedute due facce pallide con occhi che gettan fiamme.... E ode l’ansimar grosso di quelli che strappano il masso, mentre, poco discosto, urla la tregenda delle donne che simulano la baruffa.
- Spingete – raccomanda a quelli di dentro Tanu Vaccaru. – Un ultimo sforzo e sarete liberi. 
Sì, è vero, il masso tentenna.
- Preparate i cappotti! – grida Graziano; e i due uomini dispiegano, da una parte e dall’altra, due larghi mantelli.
Oh Dio! Ecco che staccano il masso. Due di fuori caccian le braccia nel buco, un mantello si dispiega, ondeggia; qualcosa di vivo c’è sotto che si rizza, e il mantello parte con uno dei fuggitivi. Ed ecco: le braccia si ricaccian nella buca, l’altro mantello si ridispiega, si drizza, si restringe e via.... anche il secondo mantello tra mezzo a un gruppo di uomini che spulezzano. “Son salvi!” grida dentro l’anima Pispisedda, balzando giù come un pazzo. 
Ma ancora nessuno si muove. Perché non fuggono tutti? 




Giuseppe Ernesto Nuccio: Picciotti e Garibaldini. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1860, al tempo della rivoluzione.
L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato nel 1919 con la casa editrice Bemporad e arricchito dalle illustrazioni dell'epoca di Alberto Della Valle.
Pagine 520 - prezzo di copertina € 22,00
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Il volume è disponibile:
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