“Palermo
– scrive, dunque, il Nievo – pareva una città di morti; non altra rivoluzione
che sul tardi qualche scampanio”. Intendente bene; sul tardi; sarà stato verso
le otto, verso le dieci, a mezzodì; infatti per un pezzo, secondo il Nievo, i
volontari andavano “uno qua, due là in cerca di Napoletani per farli sloggiare,
e dei Palermitani per far loro fare la rivoluzione, o almeno qualche barricata”.
Altri
scrittori garibaldini dicono che sul primo momento nella strada di Porta di
Termini e nella piazza della Fieravecchia non videro nessuno; ma poco dopo
incominciarono ad aprirsi finestre e porte, e a venir fuori la gente, e in
breve la piazza fu piena stipata.
Così
il Capuzzi, così l'Abba, così tutti quasi. L'Eber dopo aver descritto l'assalto
del Ponte e della barricata di Porta di Termini, racconta: “Presso la Porta di
Termini è la piazza della Fieravecchia. E fu lì che Garibaldi fece la prima
fermata. Bisogna ben conoscere i Siciliani per farsi un'idea della frenetica
acclamazione con cui accolsero l'eroe: ciascuno voleva baciargli le mani ed
abbracciargli le ginocchia; ad ogni momento arrivavano uomini che volevano fare
lo stesso”.
L'Eber, come ho detto, cavalcava accanto a Turr e a
Garibaldi, ed entrava con loro: osservatore più che attore. Egli dunque
assicura, non avendo nessuna Bice da sbalordire, che quando Garibaldi giunse
alla Fieravecchia, il popolo accorreva d'ogni parte. Il Luzio non dirà
certamente che Garibaldi entrò in Palermo a mezzodì. L'Eber, dice che erano le
cinque del mattino; ma non è esatto. Alle cinque si combatteva fra il ponte
dell'Ammiraglio e la porta: i primi legionari entrarono in città verso le
cinque e mezza. Garibaldi alle sei e mezza circa. Garibaldi entrò l’ultimo;
egli assistette all'entrata dei legionari e delle squadriglie, che avveniva in
gruppi, per poter superare, senza danno, fra una cannonata e l’altra, il
crocicchio di Porta di Termini. Infatti, su quel crocicchio e sulla porta non
si ebbe nessun ferito.
Ora può
darsi, anzi è così, che quando entrarono i primi volontari, e con loro il
Mondino, il Bavin-Pugliesi, il Mastricchi,
delle squadre, le strade fossero deserte. Racconta l'Abba, che domandato che
cosa facessero i Palermitani che non si vedevano, a un popolano sbucato “d'
una porta armato di daga” (qualcuno dunque si vedeva) n'ebbe questa risposta: “Eh,
signorino, già tre o quattro volte, all' alba, la polizia fece rumore e
schioppettate, gridando: Viva l'Italia, viva Garibaldi ! Chi era
pronto veniva giù e i birri lo pigliavano senza misericordia”. Questo
particolare è confermato dal diario di Antonio Beninati, il quale sotto la
data 25 maggio, nota.... “durante la notte, come al solito, forti scariche di
fucileria alle porte della città. Dico io perchè sprecare tanta polvere?
Nessuno crede che i nostri possono fare salve di gioia. Vedi un po' quanto son
minchioni! dopo le scariche le truppe gridano “viva il Re!”. Non ci colgono
no, no, e no!”.
Ma v'è un'altra ragione: nel pomeriggio del 26, il governo
faceva affiggere un bollettino dello Stato maggiore, nel quale si affermava
Garibaldi, sconfitto a Parco, in ritirata verso l’interno dell' isola, e
inseguito dalle truppe. Il Comitato o perchè non aveva avuto modo di
controllare la notizia, o perchè non credette di distruggerla, per non svelare
l'inganno in cui le truppe di Von Meckel eran cadute, tacque. La notizia quindi
ebbe credito nella maggioranza dei cittadini. Onde quella momentanea solitudine
silenziosa, che per altro durò che pochi minuti.
Ma quando Garibaldi entrò, la piazza era piena di gente.
L'Eber non era certo un visionario. Nelle Note di Salvatore Calvino, che
apparteneva allo stato maggiore di Garibaldi, si legge: “Entrati in città ci
trovammo subito nella piazza della Fieravecchia.... La piazza era gremita di
gente da non poter contenere una persona di più. È impossibile poter descrivere
le grida e lo entusiasmo di quell'immensa popolazione, in gran parte inerme....
io mi vidi a destra e a sinistra del mio cavallo due patrioti trapanesi, miei
amici, Innocenzo Piazza e Raimondo Amato” (131).
E nel diario Beninati, sotto la data 27 maggio domenica
ore 6.30, dopo alcune brevi note sulle fucilate che s'udivano e la fuga di una
ventina di soldati, si legge: “Scorgo nella via Divisi un piemontese (132), ed
altri dei nostri gridare: “Aprite, siamo i vostri fratelli! aprite!”. Non vi è
più dubbio; i nostri sono entrati; in un minuto, e fra due salti siamo alla
Fieravecchia; le campane della chiesa di Montesanto salutano per le prime
l'arrivo dei liberatori. Con me corrono l'avv. Giovanni, Angelo e Luigi
Muratori; questo ultimo ragazzetto si era armato di un grosso coltellaccio.
Alla Fieravecchia trovo un popolo inerme, gridare: “Viva Garibaldi, viva l’Italia!”
le squadre entrano in ordine sparso: ogni squadra con la bandiera, nella quale
era attaccata l’immagine del santo protettore del paese: Misilmeri S. Giusto;
Bagheria, S. Giuseppe; Marineo, S. Ciro; e così di seguito. Era bello vedere le
“bonache” (133) dei nostri confuse con le camicie rosse...
“Mi
avvicino alla Porta, scorgo una guida a cavallo; da noi si credette che quella
fosse Garibaldi, quindi grida assordanti di evviva; ma quella ci fa gesto che
Garibaldi è dietro; ci avanziamo e vicino al quadrivio si vede una massa armata
e nel mezzo Garibaldi, sorridente, col sigaro in bocca, saluta il popolo: dai balconi
del palazzo di Villafiorita, le signore sventolano i fazzoletti; si grida: Viva
Garibaldi! viva S. Rosalia! Si fa sosta alla Fieravecchia; vedo il capitano
Carini che abbraccia il suo figlio Ettorino; il capitano vestiva con cappello
molle, camicia rossa, ed un cappotto con maniche larghe ricamate con laccio;
il capitano La Masa, vestiva di velluto, con berretto alla spagnola.
“Abbraccio
i miei vecchi amici Vincenzo Capra, Giuseppe Càngeri, fratello di Cono fucilato
il 14 aprile, Giuseppe Naccari, venuto coi Piemontesi, Titta Marinuzzi.... Il
generale fa sosta nella piazza; la prima parola che egli disse fu: “Andate a
raccogliere i feriti”....
“Corriamo
pei feriti. Ma di questi già una buona porzione sono stati raccolti dai
facchini della piazza, e da alquanti cittadini, che privi di un'arma, prestano
la loro opera in sollievo dei sofferenti.... Garibaldi (ore 7) si muove dalla
Fieravecchia, Menotti che ha la mano fasciata tiene la briglia del cavallo....
Il generale veste con piccolo cappello sugli occhi, camicia rossa, fazzoletto
di seta, color arancione scuro, laccio d'argento e sicari nella tasca della
camicia, calzoni color grigio.... Percorre la via Divisi, via Maqueda, Arco di
S. Giuseppe, e si dirige verso il Carminello....” (134).
Per
una “città di morti” non c’è male: se non altro eran morti che gridavano,
applaudivano, correvano a raccogliere i feriti, sotto la mitraglia, suonavano
le campane; morti-vivi, insomma, e così vivi, che Garibaldi, alle 7 del
mattino, poteva far stampare il suo ordine del giorno, col quale annunziava il
suo ingresso in Palermo; e poteva costituire il Comitato provvisorio, con le
sue varie sezioni.
Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.
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