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venerdì 1 giugno 2018

Luigi Natoli: ingresso di Garibaldi e delle squadre siciliane a Palermo. Tratto da: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860


“Palermo – scrive, dunque, il Nievo – pareva una città di morti; non altra rivoluzione che sul tardi qualche scampanio”. Intendente bene; sul tardi; sarà stato verso le otto, verso le dieci, a mezzodì; infatti per un pezzo, secondo il Nievo, i volontari andavano “uno qua, due là in cerca di Napoletani per farli sloggiare, e dei Palermitani per far loro fare la rivoluzione, o almeno qualche barricata”.
Altri scrittori garibaldini dicono che sul primo mo­mento nella strada di Porta di Termini e nella piazza della Fieravecchia non videro nessuno; ma poco dopo incominciarono ad aprirsi finestre e porte, e a venir fuori la gente, e in breve la piazza fu piena stipata.
Così il Capuzzi, così l'Abba, così tutti quasi. L'Eber dopo aver descritto l'assalto del Ponte e della barricata di Porta di Termini, racconta: “Presso la Porta di Ter­mini è la piazza della Fieravecchia. E fu lì che Gari­baldi fece la prima fermata. Bisogna ben conoscere i Siciliani per farsi un'idea della frenetica acclamazione con cui accolsero l'eroe: ciascuno voleva baciargli le mani ed abbracciargli le ginocchia; ad ogni momento arrivavano uomini che volevano fare lo stesso”.

L'Eber, come ho detto, cavalcava accanto a Turr e a Garibaldi, ed entrava con loro: osservatore più che attore. Egli dunque assicura, non avendo nessuna Bice da sbalordire, che quando Garibaldi giunse alla Fieravecchia, il popolo accorreva d'ogni parte. Il Luzio non dirà certamente che Garibaldi entrò in Palermo a mez­zodì. L'Eber, dice che erano le cinque del mattino; ma non è esatto. Alle cinque si combatteva fra il ponte dell'Ammiraglio e la porta: i primi legionari entrarono in città verso le cinque e mezza. Garibaldi alle sei e mezza circa. Garibaldi entrò l’ultimo; egli assistette all'entrata dei legionari e delle squadriglie, che avve­niva in gruppi, per poter superare, senza danno, fra una cannonata e l’altra, il crocicchio di Porta di Ter­mini. Infatti, su quel crocicchio e sulla porta non si ebbe nessun ferito.

Ora può darsi, anzi è così, che quando entrarono i primi volontari, e con loro il Mondino, il Bavin-Pugliesi, il Mastricchi, delle squadre, le strade fossero deserte. Racconta l'Abba, che domandato che cosa facessero i Palermitani che non si vedevano, a un popolano sbu­cato “d' una porta armato di daga” (qualcuno dunque si vedeva) n'ebbe questa risposta: “Eh, signorino, già tre o quattro volte, all' alba, la polizia fece rumore e schioppettate, gridando: Viva l'Italia, viva Garibaldi ! Chi era pronto veniva giù e i birri lo pigliavano senza misericordia”. Questo particolare è confermato dal dia­rio di Antonio Beninati, il quale sotto la data 25 mag­gio, nota.... “durante la notte, come al solito, forti sca­riche di fucileria alle porte della città. Dico io perchè sprecare tanta polvere? Nessuno crede che i nostri pos­sono fare salve di gioia. Vedi un po' quanto son min­chioni! dopo le scariche le truppe gridano “viva il Re!”. Non ci colgono no, no, e no!”.
Ma v'è un'altra ragione: nel pomeriggio del 26, il governo faceva affiggere un bollettino dello Stato mag­giore, nel quale si affermava Garibaldi, sconfitto a Parco, in ritirata verso l’interno dell' isola, e inseguito dalle truppe. Il Comitato o perchè non aveva avuto modo di controllare la notizia, o perchè non credette di distruggerla, per non svelare l'inganno in cui le truppe di Von Meckel eran cadute, tacque. La notizia quindi ebbe credito nella maggioranza dei cittadini. Onde quella momentanea solitudine silenziosa, che per altro durò che pochi minuti. 
Ma quando Garibaldi entrò, la piazza era piena di gente. L'Eber non era certo un visionario. Nelle Note di Salvatore Calvino, che apparteneva allo stato mag­giore di Garibaldi, si legge: “Entrati in città ci tro­vammo subito nella piazza della Fieravecchia.... La piazza era gremita di gente da non poter contenere una persona di più. È impossibile poter descrivere le grida e lo entusiasmo di quell'immensa popolazione, in gran parte inerme.... io mi vidi a destra e a sinistra del mio cavallo due patrioti trapanesi, miei amici, Innocenzo Piazza e Raimondo Amato” (131).
E nel diario Beninati, sotto la data 27 maggio domenica ore 6.30, dopo alcune brevi note sulle fuci­late che s'udivano e la fuga di una ventina di soldati, si legge: “Scorgo nella via Divisi un piemontese (132), ed altri dei nostri gridare: “Aprite, siamo i vostri fratelli! aprite!”. Non vi è più dubbio; i nostri sono entrati; in un minuto, e fra due salti siamo alla Fieravecchia; le campane della chiesa di Montesanto salu­tano per le prime l'arrivo dei liberatori. Con me cor­rono l'avv. Giovanni, Angelo e Luigi Muratori; questo ultimo ragazzetto si era armato di un grosso coltellaccio. Alla Fieravecchia trovo un popolo inerme, gridare: “Viva Garibaldi, viva l’Italia!” le squadre entrano in ordine sparso: ogni squadra con la bandiera, nella quale era attaccata l’immagine del santo protettore del paese: Misilmeri S. Giusto; Bagheria, S. Giuseppe; Marineo, S. Ciro; e così di seguito. Era bello vedere le “bonache” (133) dei nostri confuse con le camicie rosse...
“Mi avvicino alla Porta, scorgo una guida a cavallo; da noi si credette che quella fosse Garibaldi, quindi grida assordanti di evviva; ma quella ci fa gesto che Garibaldi è dietro; ci avanziamo e vicino al quadrivio si vede una massa armata e nel mezzo Garibaldi, sorridente, col sigaro in bocca, saluta il popolo: dai balconi del palazzo di Villafiorita, le signore sventolano i fazzoletti; si grida: Viva Garibaldi! viva S. Rosalia! Si fa sosta alla Fieravecchia; vedo il capitano Carini che abbraccia il suo figlio Ettorino; il capitano vestiva con cappello molle, cami­cia rossa, ed un cappotto con maniche larghe ricamate con laccio; il capitano La Masa, vestiva di velluto, con berretto alla spagnola.
“Abbraccio i miei vecchi amici Vincenzo Capra, Giuseppe Càngeri, fratello di Cono fucilato il 14 aprile, Giuseppe Naccari, venuto coi Piemontesi, Titta Mari­nuzzi.... Il generale fa sosta nella piazza; la prima parola che egli disse fu: “Andate a raccogliere i feriti”....
“Corriamo pei feriti. Ma di questi già una buona porzione sono stati raccolti dai facchini della piazza, e da alquanti cittadini, che privi di un'arma, prestano la loro opera in sollievo dei sofferenti.... Garibaldi (ore 7) si muove dalla Fieravecchia, Menotti che ha la mano fasciata tiene la briglia del cavallo.... Il gene­rale veste con piccolo cappello sugli occhi, camicia rossa, fazzoletto di seta, color arancione scuro, laccio d'argento e sicari nella tasca della camicia, calzoni color grigio.... Percorre la via Divisi, via Maqueda, Arco di S. Giuseppe, e si dirige verso il Carminello....” (134).
Per una “città di morti” non c’è male: se non altro eran morti che gridavano, applaudivano, correvano a raccogliere i feriti, sotto la mitraglia, suonavano le campane; morti-vivi, insomma, e così vivi, che Gari­baldi, alle 7 del mattino, poteva far stampare il suo ordine del giorno, col quale annunziava il suo ingresso in Palermo; e poteva costituire il Comitato provvisorio, con le sue varie sezioni.



Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano. 
Pagine 575 - Prezzo di copertina € 24,00
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