“Che era? Una luminara?”. La gente adunata dinanzi la porta del Circolo si passava, con voce sommessa, la spiegazione del fatto straordinario: “La luminara è per la vittoria di Surfareddu”. Fedele credette che quella fosse una festa nuova; ma non si poteva spiegare perchè mai la luminara avesse accentuato negli animi quello stato di agitazione. Dopo un poco egli seguì un altro gruppo che saliva rapidamente; ma si fermò ai Quattro Cantoni e scòrse che anche a piazza Bologni il Circolo dei Nobili era illuminato. Veniva sempre nuova gente, che si rimandava con un ammiccar tra furbo e gioioso le notizie: “Surfareddu, la festa di Surfareddu. Anche alla Pagliarola c’è la luminara. Anche al Circolo delle Dame e dei Cavalieri. Ecco, anche laggiù, verso Porta Felice un balcone illuminato”.
Molti scesero per la via Toledo, e Fedele li seguì, tratto, quasi incoscientemente, da quella febbre d’ansia, che ormai prendeva tutti.
Ma, giunta presso il Circolo dei Buoni amici, la gente si fermò muta e attese. Alcuni, paurosi, imboccarono le vie Cintorinai e Pannieri e sgusciarono come ombre. “Che sarà mai?” si chiese Fedele al quale non era sfuggito quel moto istantaneo di paura. Ma tosto udì ripetere sommessamente un nome: “Maniscalco!”. Fedele ebbe un brivido.
Maniscalco era (come aveva detto l’Addiminavinturi) il padrone di Palermo. Già la soglia del casino era tutta sgombra e quelli di dentro erano usciti per confondersi con la gente della via. A un tratto, Fedele vide che il gruppo rimasto presso il casino arretrò, avvicinandosi verso il crocivio, e una frase breve, concitata, passò da una bocca ad un’altra: “Iddu è, Maniscalcu!” .
S’udì nel silenzio il passo cadenzato dei soldati. Fedele, che stava nell’angolo di via Pannieri, si rizzò e vide disegnarsi l’alta figura di Maniscalco sul vano luminoso della porta centrale, tra un nugolo di soldati.
Molti scesero per la via Toledo, e Fedele li seguì, tratto, quasi incoscientemente, da quella febbre d’ansia, che ormai prendeva tutti.
Ma, giunta presso il Circolo dei Buoni amici, la gente si fermò muta e attese. Alcuni, paurosi, imboccarono le vie Cintorinai e Pannieri e sgusciarono come ombre. “Che sarà mai?” si chiese Fedele al quale non era sfuggito quel moto istantaneo di paura. Ma tosto udì ripetere sommessamente un nome: “Maniscalco!”. Fedele ebbe un brivido.
Maniscalco era (come aveva detto l’Addiminavinturi) il padrone di Palermo. Già la soglia del casino era tutta sgombra e quelli di dentro erano usciti per confondersi con la gente della via. A un tratto, Fedele vide che il gruppo rimasto presso il casino arretrò, avvicinandosi verso il crocivio, e una frase breve, concitata, passò da una bocca ad un’altra: “Iddu è, Maniscalcu!” .
S’udì nel silenzio il passo cadenzato dei soldati. Fedele, che stava nell’angolo di via Pannieri, si rizzò e vide disegnarsi l’alta figura di Maniscalco sul vano luminoso della porta centrale, tra un nugolo di soldati.
Vociava, agitando un suo frustino e guatava torvo intorno; ma, vedendo che nel Circolo s’era fatto il vuoto, gridava un ordine ai soldati; i quali, a colpi di baionetta, spezzavan gli specchi, abbattevan le candele e facevan serrar le porte del Circolo. Fedele era rimasto impietrito; gli pareva che da un momento all’altro Maniscalco dovesse dire ai soldati: “Sparate” e quelli, sparando, uccidessero tutti i cittadini, lui compreso. Ma trasse un largo sospiro, quando vide che Maniscalco, seguito dai soldati, risaliva per via Toledo. Dal piccolo gruppo di cittadini, che erano rimasti imperterriti, partì un sordo mugolìo nel quale Fedele sentì una minaccia oscura; difatti, avvicinandosi al gruppo che parlava concitato, udì queste frasi: “Ora va a far chiudere la Pagliarola. La vittoria dei Piemontesi e dei Francesi sugli Austriaci non gli garba. Ma deve striderci, la vittoria se la devono ingollare lui e il suo re Francesco. Se Vittorio Emanuele ci aiutasse, altri guai sarebbero per tutti e due”.
Fedele capì che la luminara, fatta per la vittoria di Solferino, non era garbata a Maniscalco; il quale davvero doveva essere il padrone di Palermo (come re Francesco era il padrone di Napoli) se faceva romper gli specchi e serrar le porte delle case che non eran sue.
A un tratto, s’udì un rumore sordo di passi cadenzati che venivano dal basso di via Toledo. Tosto il gruppo si sparpagliò dicendo: “Gli Svizzeri!”. Ma costoro, sopraggiunti a passo forzato, si scagliarono sui cittadini investendoli violentemente.
Fu un rapido urlare e spingere; un ripararsi e colpire incomposto. Fedele, più spinto dagli altri che dalla sua stessa volontà, si trovò all’angolo opposto della via, e, precisamente, presso lo sbocco di via Cintorinai; ma tosto uno svizzero balzò su lui e gli assestò una piattonata sulla spalla. Allora il ragazzo, rivoltandosi istintivamente, spinse addietro il soldato con sì fatta violenza da mandarlo a gambe levate, quindi, quasi sbalordito pel suo atto stesso rimase lì fermo a guardare il caduto, che s’arrovellava per rialzarsi avendo i piedi impigliati nella guaina. Ma alcuni popolani, che avevano assistito alla breve lotta, urlavano a Fedele: “Scappa, scappa!” e poi che il ragazzo, ancora stordito, non si moveva, un monello, d’un balzo, gli fu da presso e, afferratolo pel braccio, se lo trasse dietro, lungo la via Cintorinai, gridandogli: “Scappa, carduni” . Allora Fedele, rimessosi dallo stupore, si diede a correre dietro a quello che balzava come un leprotto...
Fedele capì che la luminara, fatta per la vittoria di Solferino, non era garbata a Maniscalco; il quale davvero doveva essere il padrone di Palermo (come re Francesco era il padrone di Napoli) se faceva romper gli specchi e serrar le porte delle case che non eran sue.
A un tratto, s’udì un rumore sordo di passi cadenzati che venivano dal basso di via Toledo. Tosto il gruppo si sparpagliò dicendo: “Gli Svizzeri!”. Ma costoro, sopraggiunti a passo forzato, si scagliarono sui cittadini investendoli violentemente.
Fu un rapido urlare e spingere; un ripararsi e colpire incomposto. Fedele, più spinto dagli altri che dalla sua stessa volontà, si trovò all’angolo opposto della via, e, precisamente, presso lo sbocco di via Cintorinai; ma tosto uno svizzero balzò su lui e gli assestò una piattonata sulla spalla. Allora il ragazzo, rivoltandosi istintivamente, spinse addietro il soldato con sì fatta violenza da mandarlo a gambe levate, quindi, quasi sbalordito pel suo atto stesso rimase lì fermo a guardare il caduto, che s’arrovellava per rialzarsi avendo i piedi impigliati nella guaina. Ma alcuni popolani, che avevano assistito alla breve lotta, urlavano a Fedele: “Scappa, scappa!” e poi che il ragazzo, ancora stordito, non si moveva, un monello, d’un balzo, gli fu da presso e, afferratolo pel braccio, se lo trasse dietro, lungo la via Cintorinai, gridandogli: “Scappa, carduni” . Allora Fedele, rimessosi dallo stupore, si diede a correre dietro a quello che balzava come un leprotto...
Giuseppe Ernesto Nuccio: Picciotti e Garibaldini. Romanzo storico sulla rivoluzione del 1859-60.
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice Bemporad nel 1919 e impreziosito dalle illustrazioni di Alberto Della Valle (1917) e dalla copertina di Niccolò Pizzorno.
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online.
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