La
bandiera poi “dai cittadini venne posta in mano della statua equestre in
bronzo, rappresentante Marco Aurelio nella piazza del Campidoglio” ove sventolò
il successivo giorno “fino alle 4 pomeridiane” quando “formalmente” e alla
presenza del popolo numeroso venne “rimossa da quelli stessi che ve l’avevan
situata”.
La bandiera fu allora
presa in consegna da alcun cittadini, che vollero serbarla in memoria dell'avvenimento;
e furono i signori Vittorio Merighi, veronese, che abitava in via dei Pontefici
n. 50; Antonio Panuzzi, romano, abitante in via dell’Unità 78; Carlo Pastori,
parmigiano, che stava in via della Pace n. 13; e Girolamo Sellino, romano,
legale, che abitava ai Coronari 13. Non potendo certamente fare a pezzi la
bandiera convennero di farla custodire nel Caffè delle Belle Arti, che era
allora nel Corso, al n. 404.
Ma pochi giorni dopo Luigi
Orlando ne domandò la restituzione, proponendosi di inviare il prezioso e
storico vessillo alla municipalità di Palermo già liberata dal giogo borbonico.
E così quei sei cittadini da una parte e Luigi Orlando dall’altra convennero
l’11 di marzo del 1848 nel Convento dei padri Teatini di Roma e precisamente
nell’ “appartamento del padre Francesco Ventura”, con l’intervento del notaro
Orazio Milanesi, romano, milite del 2° battaglione civico e notaio di collegio,
“presenti l’Ill.mo e Rev.mo don Gioacchino Ventura figlio del signor D. Paolo
barone di Raulica e Generale dei RR. PP. Teatini... e il molto reverendo padre
don Gaetano Alberto nativo di Trapani” e fu redatto e pubblicato l’atto di
consegna, firmato da tutti gli intervenuti. Del quale si rilasciava copia
autentica all’Orlando, che prometteva formalmente di depositare presso il
notaro Milanesi copia autentica della deliberazione del Municipio di Palermo
“onde in ogni tempo consti la testimonianza della simpatia e dell’interesse che
la Sicilia ha preso per il bene dell’Eterna Città, e l’onore che si faceva al
loro vessillo dai Romani”.
L’atto era debitamente
registrato il 14 marzo 1848 nel vol. 239 Atti civili, al foglio 14 casella 1.
“gratis”.
Luigi Orlando fedele alla
promessa, venne in Palermo, consegnò la bandiera al Municipio. Il Senato, anzi
l’ “Eccellentissimo Senato della Città di Palermo, Grande di Spagna di prima
classe” – come è detto nella deliberazione – era composto dei signori Marchese
di Spedaloto pretore Presidente, cav. don Alberto Vassallo Paleologo, barone
don Girolamo Valdaura, D. Stefano Emanuele Fraccia barone di Favarotta, D.
Giulio Benso duchino della Verdura, cav. Don Giuseppe Rao di Cancemi e di
Capopassero senatori, e D. Eduardo Alliata duca di Salaparuta, ed assistito
dall’archiviario don Domenico Naselli.
Accettando con
deliberazione del 15 maggio l’offerta della bandiera portata da Luigi Orlando
“guardia nazionale di Roma” il Senato tiene a rilevare che il processo verbale
del Notaro Milanesi – dice la deliberazione – “un eloquentissimo indirizzo dei nostri fratelli teverini” e “ribagnò
nuova volta il nostro ciglio” di affetto e di simpatia per la terra dei Cesari “....e
i nostri eroi palpitarono del palpito
più generoso che mai fosse concesso a
umana gente”.
E fedele interprete del
pubblico suffragio, il Senato vuole che nella pagina della nostra redenzione
siano scritte queste parole:
“Fratelli
Quiriti, fratelli Merighi, Ranuzzi, Costa, Pastori, Sellini, nostri fratelli di
Sicilia che stanziate in Roma, ascendete il Campidoglio, onde abbracciare in un
sol punto le solenni ruine della Roma Pagana e la maestosa grandezza della Roma
cristiana; ivi spiegate nuova volta il vessillo della immensa opera della Roma
attuale, e scrivete in un marmo sotto alla statua di Marco Aurelio: Pio IX il 3
febbraio 1848 qui raccolse il voto di tutte le generazioni italiane, qui la sua
mano alzò l’altare della Sicilia, ed ora qui i Siciliani depongono le loro lagrime
di riconoscenza per l’immortale padre della loro patria”.
Copia della deliberazione si consegnò ad Orlando per portarla “al Municipio dell' eccelsa città” (107).
Copia della deliberazione si consegnò ad Orlando per portarla “al Municipio dell' eccelsa città” (107).
Leggendo questa prosa oggi
si sorriderebbe, e si direbbe: troppa enfasi. Ma l’enfasi era del tempo. Del resto in ogni occasione se ne fa, nè sempre è
sincera. Al '48 sì. Era un'esaltazione commovente che aveva bisogno di sfogarsi
con grandi parole; perchè veramente allora si sognò. Ma benedetti quei sogni
dai quali doveva balzare viva la realtà dell'unità nazionale.
Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.
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