Se lo tirò appresso fino a piazza Magione, dov’era il mercato delle frutta, che cominciava già a popolarsi.
A mano a mano che i picciotti giungevano, Pispisedda li additava a Fedele:
- Ecco Sautampizzu, famoso saltatore; sorpassa un muro alto, con un lancio; balza sui muri dei giardini, alleggerisce gli alberi; arrampicandosi pei tubi dell’acqua e per le cimase tasta se tra le zucche appese sui muri accosto alle finestre, non ce ne sia qualcuna che vada a male e convenga levarla dalla compagnia delle altre.
Ecco Cacciatore, tiratore abilissimo; con una sassata coglie un uccello a volo, e dà il tocco alla campana canterina del campanile di Sant’Anna; se vai a Porta Nuova, in bocca ad uno dei giganti di pietra ci trovi un sassolino che sembra un mozzicone di sigaretta; ce l’ha buttato lui .... per far fumare il gigante.
Ecco Ferraù: più forte del principe saraceno, torce una barra di ferro con le mani; con un pugno stordisce un cavallo; dieci di noi, se vogliamo tenerlo fermo, ci manda a gambe in aria.
Ecco Centolingue; sa fare il grido di tutti gli animali: del cane, del gatto, della pecora, del bue, del ciuco, del maiale, del pipistrello, del gufo.
Ecco don Gaetanino: sa contare tutta la storia dei Reali di Francia, dei Paladini, di Bovo d’Antona, quello mezzo uomo e mezzo cavallo.... ed è coraggioso come.... Gano di Magonza.
E la presentazione continuò un bel pezzo, mentre i picciotti, facendo spallucce, sbirciavano dall’alto in basso Fedele, che, per essere un pecoraro, stimavano di una razza inferiore alla loro. I monelli, per quanto scalzi si fossero e col vestito a brandelli erano cittadini di Palermo, la capitale, dove ci soleva stare il Re in persona. Da più anni il Re “in persona” non ci stava in Palermo e ciò era anche cagione dell’odio che sentivano i Palermitani per Casa Borbone.
Intanto, nella piazza del Mercato, la folla si veniva affittendo, il gridìo si faceva più alto, sì che Fedele, abituato ai silenzi dei monti, disse a Pispisedda:
- Me ne voglio andare: insegnami la via, ora che mi hai condotto fin qui.
E s’incamminarono.
- Questa è la Fieravecchia dove undici anni fa cominciarono a cacciare i soldati, dove nove anni fa presero Garzilli – veniva dicendo Pispisedda. – Questo è il teatro di Santa Cecilia; e questa è la chiesa di Sant’Anna, questo è il teatro Carolino, questi sono i Quattro Cantoni, ed eccoti a piazza Bologni. Quella è la statua del re Carlo V che dice: “Se il sangue non sarà alto un metro nelle strade di Palermo i birri del Borbone non se ne andranno”. Guarda, quanti ce ne sono di birri davanti al Commissariato; quello vicino la statua è la sentinella che ci sta notte e giorno. Ed ora ti saluto; mi dovresti dare la mancia come la dànno gl’Inglesi con le basette e gli occhiali verdi e il libro sempre nelle mani; ma noi siamo amici e non la voglio. Piuttosto, dimmi quando ci rivedremo?
Fedele sorrideva malinconicamente; egli amava di già quel monello piccinino come una statuina di terracotta abbronzata; quel monello, con la bella grossa testa ricciuta, dove gli occhioni verdognoli si aprivano come grandi finestre sul mare agitato, che gli aveva fatto tanto bene, così, spensieratamente; e gli pareva di conoscerlo da molto tempo e lo appaiava di già alle altre persone che gli erano care: la madre, la signora Bianca, Rocco e Giulia e il padre suo, morto, ma tanto dolce nella memoria.
- Ci rivedremo presto o qui in città o lassù a Baida. Vieni a trovarmi e staremo insieme come fratelli; lassù l’aria buona ti farà crescere come un pioppo e sarai libero.
- Sì, ma più tardi, se scendi, mi trovi ai Quattro Cantoni o nei quartieri della Kalsa, vicino la chiesa della Gancia. Quando mi dice la testa, faccio il muratore; lavoro da don Ciccio Riso in via Vetriera. Tu puoi venirmi a trovare anche colà.
- Ti saluto.
A mano a mano che i picciotti giungevano, Pispisedda li additava a Fedele:
- Ecco Sautampizzu, famoso saltatore; sorpassa un muro alto, con un lancio; balza sui muri dei giardini, alleggerisce gli alberi; arrampicandosi pei tubi dell’acqua e per le cimase tasta se tra le zucche appese sui muri accosto alle finestre, non ce ne sia qualcuna che vada a male e convenga levarla dalla compagnia delle altre.
Ecco Cacciatore, tiratore abilissimo; con una sassata coglie un uccello a volo, e dà il tocco alla campana canterina del campanile di Sant’Anna; se vai a Porta Nuova, in bocca ad uno dei giganti di pietra ci trovi un sassolino che sembra un mozzicone di sigaretta; ce l’ha buttato lui .... per far fumare il gigante.
Ecco Ferraù: più forte del principe saraceno, torce una barra di ferro con le mani; con un pugno stordisce un cavallo; dieci di noi, se vogliamo tenerlo fermo, ci manda a gambe in aria.
Ecco Centolingue; sa fare il grido di tutti gli animali: del cane, del gatto, della pecora, del bue, del ciuco, del maiale, del pipistrello, del gufo.
Ecco don Gaetanino: sa contare tutta la storia dei Reali di Francia, dei Paladini, di Bovo d’Antona, quello mezzo uomo e mezzo cavallo.... ed è coraggioso come.... Gano di Magonza.
E la presentazione continuò un bel pezzo, mentre i picciotti, facendo spallucce, sbirciavano dall’alto in basso Fedele, che, per essere un pecoraro, stimavano di una razza inferiore alla loro. I monelli, per quanto scalzi si fossero e col vestito a brandelli erano cittadini di Palermo, la capitale, dove ci soleva stare il Re in persona. Da più anni il Re “in persona” non ci stava in Palermo e ciò era anche cagione dell’odio che sentivano i Palermitani per Casa Borbone.
Intanto, nella piazza del Mercato, la folla si veniva affittendo, il gridìo si faceva più alto, sì che Fedele, abituato ai silenzi dei monti, disse a Pispisedda:
- Me ne voglio andare: insegnami la via, ora che mi hai condotto fin qui.
E s’incamminarono.
- Questa è la Fieravecchia dove undici anni fa cominciarono a cacciare i soldati, dove nove anni fa presero Garzilli – veniva dicendo Pispisedda. – Questo è il teatro di Santa Cecilia; e questa è la chiesa di Sant’Anna, questo è il teatro Carolino, questi sono i Quattro Cantoni, ed eccoti a piazza Bologni. Quella è la statua del re Carlo V che dice: “Se il sangue non sarà alto un metro nelle strade di Palermo i birri del Borbone non se ne andranno”. Guarda, quanti ce ne sono di birri davanti al Commissariato; quello vicino la statua è la sentinella che ci sta notte e giorno. Ed ora ti saluto; mi dovresti dare la mancia come la dànno gl’Inglesi con le basette e gli occhiali verdi e il libro sempre nelle mani; ma noi siamo amici e non la voglio. Piuttosto, dimmi quando ci rivedremo?
Fedele sorrideva malinconicamente; egli amava di già quel monello piccinino come una statuina di terracotta abbronzata; quel monello, con la bella grossa testa ricciuta, dove gli occhioni verdognoli si aprivano come grandi finestre sul mare agitato, che gli aveva fatto tanto bene, così, spensieratamente; e gli pareva di conoscerlo da molto tempo e lo appaiava di già alle altre persone che gli erano care: la madre, la signora Bianca, Rocco e Giulia e il padre suo, morto, ma tanto dolce nella memoria.
- Ci rivedremo presto o qui in città o lassù a Baida. Vieni a trovarmi e staremo insieme come fratelli; lassù l’aria buona ti farà crescere come un pioppo e sarai libero.
- Sì, ma più tardi, se scendi, mi trovi ai Quattro Cantoni o nei quartieri della Kalsa, vicino la chiesa della Gancia. Quando mi dice la testa, faccio il muratore; lavoro da don Ciccio Riso in via Vetriera. Tu puoi venirmi a trovare anche colà.
- Ti saluto.
- Servo suo – fece il monello sberrettandosi e stemperando in una sghignazzata un sorriso affettuoso.
Giuseppe Ernesto Nuccio: Picciotti e Garibaldini. Romanzo storico sulla rivoluzione del 1859-60
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice Bemporad nel 1919, con le illustrazioni originali di Alberto della Valle.
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Pagine 511 - Prezzo di copertina € 22,00
Disponibile in libreria e in tutti i siti vendita online.
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
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