Il 15
novembre 1847 Roma era in festa: su tutti gli edifici sventolava il bianco
vessillo del Papa: alle legazioni e alle ambasciate italiane ed estere ondeggiavano
le bandiere dei rispettivi stati; fra esse quella del re di Napoli, bianca con
in mezzo lo scudo borbonico: gigli d'oro su azzurro. Quel giorno prendeva
possesso del suo ufficio la Consulta di stato, istituita da Pio IX; una delle
riforme, che con l'amnistia e la istituzione della guardia civica parvero agli
Italiani esaltati, i primi squilli di tromba della libertà. Roma dunque tripudiava:
una folla immensa si assiepava sul Corso, e gremiva la piazza del Quirinale.
Di
cortei i Romani ne vedevano spesso, e sfolgoranti di colori e di pompe, ma
questo era affatto nuovo; e se non aveva le pompe esteriori di una processione,
aveva un significato spirituale altissimo, che eccitava l’entusiasmo popolare.
Era semplice ed austero. Il Papa aveva espresso volontà che non vi
figurassero le bandiere degli altri stati italiani ed esteri, “per prudenziali
riguardi” – scrive il notaro Orazio Milanesi, cittadino romano e milite del 2°
battaglione civico: ma permise che vi prendessero parte quanti cittadini di
altri stati, dimorassero in Roma.
Anche
allora abitavano in Roma molti Siciliani, giovani artisti o preti o studiosi o
altro. V'erano fra i tanti i fratelli Luigi e Giuseppe Orlando, patrioti
provati e futuri fondatori del cantiere di Livorno; i giovani pittori Natale
Carta, Giaconia e Rindello, il padre Gioacchino Ventura generale dei Teatini,
che fu poi il rappresentante del governo siciliano, il suo congiunto
padre Francesco Ventura, il padre don Gaetano Alberto Palizzolo, molti altri.
questi Siciliani di Roma avevano preso accordi per intervenire
in massa al corteo con una bandiera; e avevano dato incarico ai fratelli Luigi
e Giuseppe Orlando di provvederla, e di “riunire sotto quella ad ora determinata
i Siciliani dimoranti in Roma caldi amatori dell'italiano progresso”.
Pare
che non sia stato molto facile provvedersi una bandiera: a ogni modo fu pronta
pel 15 novembre; se non che la proibizione del Papa impedì che essa figurasse
nel gran corteo ufficiale. La proibizione però non contemplava le dimostrazioni
popolari; e la sera ve ne fu una nella quale “unitamente al vessillo
pontificio, sventolarono le bandiere di tutti gli Stati italiani ed esteri”:
del regno di Sardegna, cioè del ducato di Modena, del Granducato di Toscana,
del regno di Napoli e via dicendo: e sventolò la bandiera dei Siciliani.
La
quale non era quella del regno delle due Sicilie; era il tricolore: il
tricolore italiano.
“E
così – consacra il notaro Milanesi –
fu questa la prima insegna tricolore che sventolò senza contrasto in questa
Capitale nel corrente secolo”.
Singolare bandiera, fatta per così dire di cenci. Eccola,
come la descrive, con minuzie notarili, il buon Milanesi. Dopo aver constatato
che era di tre colori, dice: “Quello verso l'asta è di color verde, l'altro successivo
di color bianco e quello all'estremità di color rosso, e le cuciture dei teli e
degli orli son fatte con cotone dei tre suddetti diversi colori. La suddetta
bandiera è larga m. 1 e cent. 83, lunga m. 1 e cent. 25 e mm. 3; la larghezza
del primo telo è di cent. 62 ed è composta di tre pezzi uniti insieme che si
differiscono un poco nel colore; il secondo telo bianco è largo cent. 60,
formato in due striscie e l'ultimo telo rosso è largo cm. 61, composto di tre
pezzi che si differiscono un poco nel colore; tutti riuniti con sette cuciture
ribattute, con orlo ad uso fazzoletto.... più nel quarto superiore che è più
vicino all'asta vi è attaccato con cuciture lo stemma della Sicilia in uno
scudo rotondo del diametro di cm. 17 in mussola di cotone rappresentante la Trinacria,
dipinta a chiaroscuro, acqua ragia ed olio”.
Dopo questa dimostrazione
la bandiera che aveva eccitato entusiastici applausi, fu conservata; ma non
mancò l’occasione, perchè ritornasse a garrire al vento della città eterna...
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