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giovedì 7 giugno 2018

Luigi Natoli: I figli della Libertà nella battaglia di Milazzo. Tratto da: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860


Sceso sulla strada, il Gene­rale ordinò al Missori di spingere all'assalto parte del battaglione Dunne, i giovanetti figli della Libertà, che fremevano, come puledri che urtano allo stabio, per cor­rere nei campi.
Al batter della carica, quei giovinetti si lanciarono contro la mitraglia. Il fuoco del nemico si concentrò sopra di loro, seminando la morte nelle loro file; ma nulla tratteneva quei lioncelli, l’ardimento dei quali parve mirabile allo stesso Garibaldi. Qualche mese in­nanzi, laceri, sporchi, oziosi, predestinati al carcere o all'ospedale, alunni del vizio, quei giovanetti, di cui i più vecchi non toccavano ancora diciotto anni, erra­vano per le vie e le piazze di Palermo; la rivoluzione li redimeva, li nobilitava, insegnava loro la grande virtù del sacrificio, ne faceva degli eroi. Superando siepi e canneti, arrampicandosi sui muri, lasciando parte di loro per la via, respinsero i vecchi e fieri cacciatori, si impadronirono del cannone.
Qui avvenne l'episodio della cavalleria, variamente raccontato dagli storici, nel quale ogni attore vide e magnificò il proprio gesto. Raccogliendo le varie redazioni, parmi poter qui ristabilire la verità, dando a ciascuno il suo.
Per incoraggiare i giovani volontari siciliani, Gari­baldi era disceso a piedi sulla strada, con Missori, che era ritornato al suo fianco. Non è vero che c'era anche Statella; Statella, ferito poco innanzi, era stato portato nelle ambulanze. I giovanetti e i cacciatori siculi si affrettavano a trainare il cannone, quando le file bor­boniche si aprirono, e diedero il passo allo squadrone della cavalleria, che si lanciò all'assalto per riprendere il pezzo. Nuovi, anzi inesperti alla scherma contro la cavalleria, i volontari presi da momentaneo sgomento, invece di opporre un forte gruppo, si aprirono in due, forse con l'intenzione di sbandarsi ai lati dello stradale: ma lo stradale era fiancheggiato da fitte siepi di fichi d'India, che impedirono la fuga; costretti da questo ostacolo, per difendersi si voltarono; la voce dei capi, li incoraggiò.
I cacciatori a cavallo, per l'angustia della strada non potevano galoppare a squadrone serrato, ma un dietro l'altro.
Giunsero tra le due file, e i primi non potendo per l'impeto del galoppo, frenare in tempo i cavalli, tra­scorsero oltre le linee; ma da una parte e da l’altra le scariche dei giovani volontari, atterrando cavalli e cava­lieri impedirono al resto d'avanzarsi. Circa venticinque cacciatori col capitano Giuliani e il luogotenente Faraone rimasti tagliati fuori, si affrettarono a tornare indietro. Il tenente Rammacca si para innanzi per affrontarli; il capitano Giuliani gli cala un fendente, che vien parato da un cacciatore siculo. Il sergente Santi Tumminello affronta il tenente Faraone, e con un colpo di baionetta alla gola lo rovescia da cavallo, gli toglie la spada, il revolver e il cavallo.
Il Giuliani, si lancia sopra Garabaldi, e alla intima­zione di arrendersi risponde con un fendente, Garibaldi para il colpo, e afferrato il cavallo per la briglia, dà un colpo di punta alla gola del Giuliani e l’uccide. Mis­sori fa fuoco col suo revolver sopra due altri cavalieri, e li atterra, sebbene i documenti borbonici affermino in modo assoluto, che i cacciatori a cavallo uccisi in quell'episodio furono tutti feriti di arma bianca.

La storia raccolse il gesto del Missori, per la noto­rietà del prode e audace comandante delle guide: non raccolse quello degl’ignoti giovanetti di Corrao e di Dunne, di quei “Picciotti” che aspettano ancora lo sto­rico il quale raccolga, illustri e glorifichi gli episodi di valore e d'eroismo da loro offerti in gran copia, e senza vanità. Eppure la lettera del Dumas al Carini non tace quel che essi fecero; ed essa è confermata dalle rela­zioni Corrao e Rammacca, scritte allora allora. Si vegga dunque quanto sia veritiera l’epigrafe dettata dal Pascoli.
Stupirono i figli della Libertà per lo slan­cio all'assalto e per la resistenza al fuoco. Quando due mesi dopo Garibaldi si apparecchiava per muovere sopra Capua, volle con sè due battaglioni dei nostri giovinetti, e li fece trarre dall'istituto eretto in Palermo nel giu­gno e diretto allora da Alberto Mario.
- A Milazzo – disse al Mario – ho veduto come si battono questi demoni....
E fino agli ultimi suoi anni il valoroso sir Dunne ricordava i “Picciotti” del suo battaglione; e venendo in Italia non tralasciava di domandare se ve ne fos­sero ancora vivi. Fino a pochi anni or sono ce n'erano ancora, e nell'ombra dell'oblio e della povertà si gloria­vano d'essere stati di quel battaglione; e uno dei super­stiti era un Raimondi, reso popolare da un giornaletto, che ignorava forse come pel valore spiegato a Milazzo, il piccolo Raimondi era stato promosso caporale sul campo.
Ma nessuno fuor del Dumas ha consacrato una parola agli eroici giovinetti di Dunne mietuti dalla mitraglia, nè ai cacciatori di Corrao, tre volte ostina­tamente andati all'assalto, e alle cui baionette si deve se Garibaldi non cadde sotto l’impeto della cavalleria borbonica.
Non un marmo dedicato alla virtù di questi oscuri eroi, che la nostra irriconoscenza, la nostra inferiorità civile, ha lasciato sepolti nell'ignoranza! E soltanto per questo, narrando della giornata di Milazzo, io mi son trattenuto a rievocare la parte presavi dai Siciliani, non lieve, nè secondaria. E non per gretto campanilismo, ma per sentimento di giustizia, tanto più doveroso, in quanto anche oggi, con tanto lume di documenti, si ripetono e si consacrano errori, e si perpetuano omissioni e silenzi imperdonabili.





Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano. 
Pagine 575 - Prezzo di copertina € 24,00
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