Carmelo
Agnetta, esule a Parigi, accorso a Genova poco dopo che ne era partito
Garibaldi, raccolti settanta altri ritardatari imbarcò sull’Utile, con gli
aiuti del conte Michele Amari e di Giuseppe La Farina; e non ostante i dubbi e
i timori di Giacomo Medici, che ne lo sconsigliava, come aveva sconsigliato
Garibaldi. Partito il 25 maggio, seguendo la stessa rotta già percorsa dai
Mille, e sbarcato a Marsala, di lì per Vita, Calatafimi, Alcamo, Partinico,
giunse il 7 giugno a Monreale, dove lo incontrò un corriere speditogli incontro
da Garibaldi, con un biglietto di saluti e di congratulazioni e l’audace
navigazione; onde il piccolo corpo fu detto giustamente la retroguardia dei Mille.
L’Agnetta
si affrettò quella stessa mattina a calare in Palermo; e sebbene i suoi militi
fossero stanchi e desiderosi di riposarsi dalla lunga marcia, li condusse
difilato nella piazza Pretoria, perché Garibaldi li passasse in rassegna.
Aspettava appunto il Generale, che glielo aveva già fatto sapere, quando il
Bixio, sceso giù in piazza, domandato che uomini fossero quelli, senza altro
ordinò all’Agnetta di condurli ai funerali del prode Tukory, che stavano
ordinandosi.
Carmelo
Agnetta non conosceva il Bixio, il quale per altro era in vesti borghesi.
Rispose che aspettava il Generale; Bixio allora ripetè l’ordine con maggior
imperiosità: l’Agnetta, che senza essere più impetuoso di Bixio, come
leggermente dice il Lazzarini, non era tale da tollerare sopraffazioni, ribattè
che egli non riceveva ordini se non dai superiori.
Alle
quali parole il Bixio, invece di farsi conoscere, lasciandosi trasportare dal
suo naturale, rispose con uno schiaffo; l’Agnetta sguainò la sciabola. Se non
era pel pronto accorrere e l’efficace intromettersi di autorevoli ufficiali dei
Mille, l’Italia avrebbe pianto quel giorno la perdita immatura di uno dei suoi
più illustri figli.
Al
rumore corse anche Garibaldi; udì il fatto, e divenne pallido per la collera;
fulminò con gli occhi il Bixio, e gli ordinò gli arresti in casa; e tentando il
Bixio giustificarsi, ripetè l’ordine con fiero cipiglio.
L’Agnetta
affidò a due amici l’incarico di sfidare Nino Bixio; ma Garibaldi, durando la
guerra, non poteva consentire che due valorosi di quella tempra esponessero per
una quistione personale, la vita sacra alla patria; e per suo desiderio e
consiglio fu convocato un giurì d’onore, che rimandò la partita alla fine della
campagna, salvo restando l’onore e il diritto dei due avversari.
Essi
promisero di attenersi a quel verdetto, e lealmente mantennero la parola per
tutto il resto della campagna, conducendosi come se nulla fosse avvenuto fra
loro.
Sciolto
l’esercito meridionale, ridiventati liberi, l’Agnetta ricordò al Bixio che gli
doveva una riparazione; ma il Bixio si rifiutò, adducendo ragioni di indegnità,
che, veramente, anche se fossero state vere, non era più il caso, dopo il
giurì, di sollevare. E allora l’Agnetta scrisse e stampò un foglietto volante,
divenuto rarissimo, ma di cui un esemplare fu esposto nella Mostra del
risorgimento del 1902 a Palermo; nel quale fieramente ribattendo le calunniose
accuse, le chiamava comodi pretesti per non battersi.
Il
duello avvenne in seguito a questa pubblicazione: e dati gli uomini, il loro
coraggio, la loro valentia, nel maneggio delle armi, e l’arma scelta: la
pistola, destò apprensioni e mise in moto tutti i liberali e i vecchi
commilitoni. L’Agnetta promise che non avrebbe mirato per uccidere: ma avrebbe
punito la mano che lo aveva insultato. E così avvenne. Avvenuto lo scontro
presso Cannobio in Svizzera, Bixio fu ferito alla mano destra. Dopo il duello
essi divennero amici, chè erano ambedue d’indole generosa e leale.
Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.
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Nella foto: Nino Bixio.
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