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lunedì 9 luglio 2018

Giuseppe Ernesto Nuccio: Garibaldi "discendente di Santa Rosalia". Dalla prefazione del dott. R. Atria in Picciotti e Garibaldini

Garibaldi (o «Canibardu», come lo chiamavano in Sicilia), nella mente dei picciotti, non era semplicemente il condottiero dei Mille. All’inizio del romanzo (siamo ancora nel 1859), in questi termini ne aveva parlato Rocco, preannunciando a Fedele l’intervento nell’Isola dell’eroe che aveva combattuto per l’indipendenza dei popoli sudamericani e per la Repubblica romana: «Chi è Garibaldi? […] Egli è come un San Giorgio con la spada fatata e nessuna spada può ferirlo e nessuna palla ucciderlo». E, subito dopo, gli erano tornate alla mente le parole dell’Indovino: «Santa Rosalia, la vergine palermitana, salvò Palermo dal colera e la salverà dalla schiavitù e manderà un guerriero fatato».
Nuccio recepisce qui la credenza che voleva Garibaldi consanguineo della patrona di Palermo, Santa Rosalia: un guerriero invincibile chiamato a riscattare il popolo da secoli di oppressione, come la santuzza l’aveva salvato dal colera. L’origine di tale credenza, largamente diffusa nei canti e nelle leggende popolari dell’Isola, è probabilmente da ricondursi all’assonanza del cognome del generale con quello della Santa (Sinibaldi). In forza di ciò, la figura del nizzardo fu ammantata d’un’aura di santità, come si evince dalla variante di una leggenda riportata da Salvatore Salomone Marino:
Garibaldi, discendente al solito da Rosalia Sinibaldi la Santa patrona di Palermo, e però sotto la protezione immediata di lei, ebbe da lei in dono, durante il tragitto da Quarto a Marsala, quel rozzo cinturino di cuoio bianco che portava sempre e col quale, agitandolo in mano, si cacciava d’attorno le palle e le bombe che a lui dirigevansi ne’ momenti terribili del combattimento. Ei si ritraeva ogni sera in luogo appartato, anzi scompariva addirittura, perché ogni sera conferiva con la Santa, la quale lo ammaestrava su le mosse e le imprese da fare e gli dettava quelle accese parole con cui egli eccitava il fanatismo dei suoi e atterriva i nemici.
Del formarsi di un sentimento popolare tendente a caricare la figura di Garibaldi di qualità soprannaturali legate alla discendenza da Santa Rosalia e ad attribuire all’eroe il possesso di un corpo taumaturgico, troviamo riscontro anche in alcuni versi di Francesco Dall’Ongaro e nella Storia dei Mille lasciataci da Giuseppe Cesare Abba:
Cominciava così a formarsi intorno a lui la leggenda che pigliò poi tante forme; da quella che un angelo gli parasse le schioppettate, a quell’altra che fosse parente di Santa Rosalia e fin suo fratello.
La figura di Garibaldi al popolo siciliano, appariva non solo invincibile, ma addirittura divina. Attribuzione, quest’ultima, invero particolare per un uomo che non aveva mancato di gridare il suo fiero anticlericalismo, ma che tuttavia – come ha rilevato Denis Mack Smith –, giunto a Palermo dopo la vittoria di Calatafimi, con grande pragmatismo, ritenne opportuno alimentare la leggenda popolare sul suo conto: «Malgrado le sue idee religiose fu abbastanza realistico per celebrare la festa locale di santa Rosalia visitando in pellegrinaggio la grotta della santa. Al pontificale nel Duomo giunse al punto di sedere sul trono reale in camicia rossa, rivendicando il legato apostolico tradizionalmente tenuto dai governanti di Sicilia. Quel miscredente notorio se ne stette là come difensore della fede, con la spada nuda mentre veniva letto il vangelo. Non c’è da meravigliarsi che il popolino gli attribuisse i magici poteri di chi è in diretta comunione con Dio».



Giuseppe Ernesto Nuccio: Picciotti e Garibaldini. 
Pagine 511 - Prezzo di copertina € 22,00
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice Bemporad nel 1919. Impreziosito dalle immagini dell'epoca di Alberto della Valle e dalla copertina di Niccolò Pizzorno. 
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 

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