Il
Radice sine ira, senza attenuare, ma
senza esagerare, con serena obbiettività, fa la storia di quel moto, risalendo
alle origini, seguendone le vicende, dalla preparazione allo scoppio e alle
stragi che ne seguirono; le quali si sarebbero potute evitare, se le autorità
di Catania fossero state meno insipienti e irresolute, e più sollecite. Con la
scorta delle testimonianze citate, dei documenti ufficiali, del diario inedito
di Nino Bixio, il Radice non soltanto corregge il giudizio degli storici, ma
anche i particolari narrativi.
Non è
infatti vero quello che, per amore del gesto eroico, narrarono tutti, che cioè
Bixio abbia quasi espugnato Bronte, impadronendosene a baionetta calata; vi
entrò invece tranquillamente, e quando già il moto era stato sedato
dall’intervento, purtroppo tardivo, di ottanta militi della guardia nazionale,
venuti da Catania, sotto gli ordini del Poulet, vecchio e provato patriota
nostro.
Il
governatore di Catania spediva quella truppa quando il Lombardo e gli altri,
capi del movimento, che chiedevano la divisione delle terre del comune al
popolo, come invano era stato deliberato, non potevan più contenere il moto
della plebe sfrenata. Le rapine, gli incendi, le uccisioni di quelli che erano
ritenuti nemici della divisione, erano già avvenute. Tuttavia la presenza del
Poulet e delle guardie nazionali bastò a impedire altre stragi; e l’opera sua
volgeva, forse debolmente, a indagare i colpevoli, e a pacificare gli animi,
quando giunse il Bixio; che occupato il paese militarmente, con la sua abituale
irruenza, rimandò via il Poulet senza ascoltarlo; e fuorviato dalle istigazioni
altrui, e forse anche dalle sollecitazioni dell’amministrazione inglese della
ducea, procedette agli arresti.
Nicolò Lombardo, presidente del municipio e come capo dei divisionisti, ritenuto fautore delle stragi, si presentò al Bixio spontaneamente, per dare schiarimenti; ma il Bixio lo fece arrestare. Il processo contro i capi fu sbrigato in quattr’ore, e – doloroso a dirsi, – fu condotto con metodi non dissimili da quelli usati pochi mesi innanzi dai consigli di guerra borbonici.
Nicolò Lombardo, presidente del municipio e come capo dei divisionisti, ritenuto fautore delle stragi, si presentò al Bixio spontaneamente, per dare schiarimenti; ma il Bixio lo fece arrestare. Il processo contro i capi fu sbrigato in quattr’ore, e – doloroso a dirsi, – fu condotto con metodi non dissimili da quelli usati pochi mesi innanzi dai consigli di guerra borbonici.
Gli
accusati non ebbero tempo e modo di scolparsi. Invitati a presentar le loro
difese entro il termine di un’ora, pel solo fatto di averle presentate un’ora
dopo quel termine, se le videro respinte: procedimento indegno di uomini
liberi, né giustificabile con le necessità dei tempi. Ai parenti del Lombardo fu
dal Bixio negato di abbracciare il condannato nell’ora estrema; e il garzone
che gli portava delle uova, ultimo desinare, fu respinto dal fiero generale con
dure parole: – “Non di uova ha bisogno. Domani avrà due palle in fronte”.
I
cinque condannati a morte furono fucilati il 10 agosto nella piazzetta di S.
Vito; fra loro era uno scimunito.
Questa
è la verità del moto di Bronte e di quella che si suol chiamare la missione del
Bixio. Non è una bella pagina del grande italiano; ma la storia è storia, e non
si deve tradire mai né per simpatie né per antipatie.
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