Nel 1820 i Palermitani erano soli, e senza capi, e
cacciarono le truppe napoletane, che eran cinquemila uomini con cannoni e
cavalleria; e nel 1848 erano solissimi, quando costrinsero le truppe regie a lasciare Palermo. Le statistiche dànno che i
siciliani combattenti non superarono
le due migliaia, e i borbonici erano in Palermo, coi rinforzi sopraggiunti
dodicimila! E la lotta fra i
regi fortificati nelle caserme e nel Castello, e il popolo della città e
delle campagne, durò semplicemente ventisei giorni. Per ventisei giorni un popolo, bombardato, combattè; e non posò le armi
se non quando l'ultimo dei regi, fuggendogli innanzi, lungo la marina di
Solunto, non s'imbarcò. Non so quale altra città
d'Italia abbia, fra le sue mura, combattuto ventisei giorni! Ma allora, forse,
o le squadre e il popolo non si erano sufficientemente addestrati a fuggire, o
erano d'accordo coi regi!
E sedici
mesi dopo, quando le truppe borboniche, comandate dal Satriano, marciano su
Palermo? Ma guardate un po’ che cosa viene in testa alle squadre cittadine!
Invece di addestrarsi a fuggire, tengono in scacco per tre giorni i Napoletani;
e non posan l'armi che per onorevole capitolazione.
E dopo il 4 aprile 1860? Piana, Mezzoiuso, Misilmeri,
Alcamo, Partinico, Carini insorgono e mandano squadre sopra Palermo. Queste
squadre incominciano una guerra tormentosa, e perfino compiono qualche eroico
gesto. Duecento uomini o poco più, nel villaggio di S. Lorenzo, attaccati il 5
aprile da una forte colonna di regi, non soltanto non fuggono, ma fanno
indietreggiare i regi stessi: i quali tornano con cavalleria, e due altre
compagnie fresche; perdono trenta uomini, e son costretti a ritirarsi un'altra
volta. E di questi episodi ne avvengono a Bagheria, a Lenzitti, dovunque.
Il 21 maggio 1860, alla Neviera, queste squadre, che da
oltre un mese vivevano sui monti, dormendo allo scoperto, bagnati dalla
pioggia, soffrendo la fame, sostengono l’urto di tre colonne borboniche. Vi
perdono la vita, fra gli altri, Rosalino Pilo e
Pietro Piediscalzi, ma salvano Garibaldi dall'essere assalito a Renda; ciò che
nella migliore ipotesi lo avrebbe costretto a ritirarsi sopra Castrogiovanni; e
addio rivoluzione. Questa è storia documentata; ma nondimeno si continuerà a
ripetere che le squadre nel 1860, per compiacere il signor Guerzoni, il signor
Luzio, e compagnia, fuggivano!
Rendere omaggio a quelli dei Mille che morirono o ebbero
ferita, è dovere: ma tacere i nomi dei Siciliani caduti, negare anzi che si
siano battuti, peggio ancora calunniarli, non è soltanto ingiustizia, è viltà.
Ma il torto è però nostro. Dal 4 aprile a tutto il 1860,
noi in Sicilia demmo alla causa della libertà e dell'unità centinaia di morti;
dei quali non raccogliemmo i nomi, nè si seppe mai chi fossero. I morti dei
volontari potevano essere identificati agevolmente, con l'aiuto dei registri
dell'Intendenza; ma quelli delle squadre, no. Neppure i capi-guerriglia
conoscevano i nomi dei loro uomini; quei contadini lasciavano le loro terre, le
loro case, le loro famiglie; andavano a ingrossare una squadra, combattevano,
taciti, senza chiedere altro che il loro pane e le munizioni; morivano avvolti
nello stesso silenzio; nessuno domandava chi erano, donde venivano; e i più, la
gran maggioranza, restò ignota, anonima, senza postuma gloria, senza compianto,
senza onori. Martiri oscuri diedero la vita alla Patria e non contesero la
gloria a nessuno.
Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.
Pagine 575 - Prezzo di copertina € 24,00 - Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Nessun commento:
Posta un commento