Fissata la spedizione, la febbre accese tutte le
vene. Garibaldi corse a Genova, e fatto chiamare il Fauchè, gerente della Società
Rubattino, col quale già fin dal 9 aprile si era inteso, concertò per la
cessione dei due piroscafi, il Lombardo
e il Piemonte, incaricando Bixio di
ogni cosa. Villa Spanola a Quarto diventò il quartiere generale della
spedizione. Il Bertani, Crispi, Bixio, si moltiplicavano. Dalla Lombardia, dal
Veneto, dalla Liguria; da ogni regione d’Italia accorrevano volontari: i più
non superavano il venticinquesimo anno; v’erano dei giovani quindicenni, uno di
undici anni; cinque soltanto oltrepassavano i sessanta: la più parte benestanti
o impiegati o professionisti; in minor numero, di popolo. Non avevan vestiti
uniformi; pochi indossavano camicie rosse; Sirtori e Crispi vestivan di nero
con cappello a cilindro, Bixio portava la divisa dell’esercito piemontese; gli
altri giacche, giubbe, camiciotti, colori e forme disparate, armi pochissime: e
queste, date dal La Farina per le sollecitazioni di Crispi e degli altri esuli,
erano un mille fucili e munizioni, che caricati in barche dovevano aspettare i
due piroscafi al largo.
Prima di partire Garibaldi scrisse al Bertani,
commettendogli di raccogliere aiuti d’uomini e di danari, scrisse anche al
Caranti, protestando sé non aver consigliato il moto di Sicilia, ma non poter
restare inerte e impassibile alla lotta per la libertà che vi si combatteva. Al
Re Vittorio Emanuele indirizzò altra lettera, nella quale pur ripetendo quelle
proteste, aggiungeva: “So che io m’impegno in una impresa pericolosa, ma
ripongo la mia confidenza in Dio, come nel coraggio e nell’abnegazione dei miei
compagni. Il nostro grido di guerra sarà sempre: “Viva l’Unità d’Italia! Viva Vittorio Emanuele nel suo primo e suo più
prode soldato”. Se non riusciamo, io spero che l’Italia e l’Europa liberale
non dimenticheranno che questa impresa è stata decisa per motivi puri di ogni
egoismo e veramente patriottici. Se riusciamo, andrò superbo di ornare la
corona di Vittorio Emanuele di questo nuovo e forse più brillante gioiello”.
Indirizzò ancora un proclama ai soldati italiani,
raccomandando la disciplina, ed esortandoli a non abbandonare le file dell’esercito,
e a stringersi “a quel Vittorio Emanuele, la di cui bravura può
essere rallentata un momento da pusillanimi consiglieri, ma che non tarderà
molto a condurci tutti a definitiva vittoria”.
Nella notte del 5, i volontari, adunatisi a Quarto, si imbarcarono;
eran mille e ottantacinque, compresa una donna, Rosalia Montmasson, moglie e
compagna devota e infaticabile di Francesco Crispi: si divisero fra i
due vapori: Bixio prese il comando del Lombardo, Garibaldi quello del Piemonte,
e in sott’ordine Salvatore
Castiglia, palermitano esperto di cose marine, esule pei fatti del ‘48. Prima
ancora che albeggiasse, i due vapori salparono l’ancora, e s’avventurarono
nell’ignoto infinito; e il cielo accompagnavali col dolce scintillio delle
stelle, che parevan tremar di gioia e di orgoglio; e dalla terra i supremi
addii dei parenti e degli amici rimasti, non osavan rompere l’alto ed eloquente
silenzio: voto, augurio, speranza, compianto e stupore in un tempo.
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