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giovedì 11 maggio 2017

Luigi Natoli: Premesse della spedizione di Garibaldi in Sicilia. Tratto da: La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione.


Il 20 aprile giunsero le lettere inviate da Pilo il 12 di aprile agli Orlando, a Bertani, a Crispi e allo stesso Garibaldi, per mezzo del pilota Raffaele Motto.
Il Motto, condotto a Villa Spinola presso Quarto, dove Garibaldi alloggiava, data la lettera al Generale, alle sue domande, rispondeva essere Pilo e Corrao par­titi da Messina per Palermo, sollevando le popolazioni; la rivoluzione essere scoppiata in quelle vicinanze, e aggiungeva: – “Generale, ci vuole il vostro nome e il vostro braccio, altrimenti in Sicilia saranno tutti sacrifi­cati”.
Garibaldi rimase un po’ cogitabondo, poi domandò notizie sulle coste dell’isola, e il Motto suggerì che le migliori condizioni per uno sbarco si sarebbero trovate a Trapani, e questo era anche il parere di Corrao.
Il Generale risolvette allora di non più indugiare; e fissato il giorno della spedizione pel 25 di aprile, il Crispi ne informava subito Rosolino Pilo: ma soprag­giunte altre lettere del Pilo a Garibaldi, che si riserba­vano di indicare il punto preciso dello sbarco, la par­tenza fu rimandata ancora una volta.
Ferveva intanto il lavoro. Crispi, La Masa, il conte Amari andavano da Genova a Torino, da Torino a Milano; conferivano con La Farina, col banchiere Finzi: il La Farina venuto a Genova, era per mezzo del conte Amari e del Marano, altro esule nostro, rappacificato col La Farina, col quale era in discordia. Bixio, convertitosi, s’era fatto fervido cooperatore dell’impresa: la casa del Bertani era divenuta il centro delle operazioni; Genova offriva in quei giorni uno spettacolo singolare, che non poteva sfuggire all’occhio vigile degli agenti bor­bonici, i quali avvertivano il governo di Napoli dei preparativi; anzi talvolta, ingannati o travedendo, davano come avvenuta la spedizione.
Ma ecco, lo stesso giorno (27 aprile) che Crispi scri­veva a Rosolino Pilo, sollecitandolo a mandar le chieste notizie, giungere da Malta il telegramma di Nicola Fabrizi, che raccogliendo dalla voce dei profughi, – forse quelli di Marsala – vaghe notizie dei fatti del 4 aprile, diceva:
“Completo insuccesso nelle provincie e nelle città di Palermo. Molti profughi raccolti dalle navi inglesi giunti a Malta”.  
Questo telegramma disanimò Garibaldi, che addolorato dichiarò impossibile la spedizione e deliberò ritornarsene a Caprera. Né il Crispi, né il La Masa, né gli altri esuli siciliani però perdettero ogni speranza: il La Masa, natura esuberante e un po’ millantatrice, giurò che, essendo pronte le armi, pronti gli uomini e il ba­stimento, avrebbe lui capitanata la spedizione. Ma i membri del Comitato Nazionale, e principalmente il La Farina e l’Amari, dichiararono che non avrebbero dato un soldo, se la spedizione non fosse stata capitanata da Garibaldi.
La notte del 29 giunse un altro telegramma del Fa­brizi, che più esattamente diceva repressa l’insurrezione in Palermo, ma viva ancora nelle provincie: e giunge­vano anche altre lettere e dispacci, che, esagerando forse di proposito, affermavano Pilo a capo di un esercito, e l’isola in fiamme. Questi dispacci e quello di Fabrizi, le lettere di Rosolino Pilo e la risolutezza degli esuli siciliani, la fede e la tenacia di Francesco Crispi e di Giuseppe La Masa, vinsero qualunque altro dubbio nel­l’animo di Garibaldi: e la spedizione, due volte sospesa e rimandata, fu definitivamente decisa. “Partiamo” – egli disse; – purché sia domani”.
Si è esagerata da alcuni la partecipazione del governo piemontese alla spedizione di Garibaldi; da altri si è negata: la verità è che Cavour aveva da prima an­che esso parteggiato per una spedizione nell’isola, nel caso vi fosse scoppiata una rivoluzione; ma voleva farla con truppe regie; e in marzo ne aveva fatto parlare al generale Ribotti, che, per essere stato ai servizi della Sicilia nel 1848, pareva l’uomo acconcio. Ma indi, spaventato dalle conseguenze diplomatiche, non ci pensò altro. Una intesa c’era invece tra Garibaldi e Vittorio Emanuele, al quale Garibaldi aveva chiesto se gli avesse conceduto una brigata di truppe scelte per andare in Sicilia, e ne aveva anche parlato al generale Sacchi antico suo commilitone di Montevideo. Il re sarebbe stato favorevole, ma ne fu dissuaso dal Cavour; il quale, temendo la Francia e possibili complicazioni; non entusiasta di Garibaldi, non fiducioso nel leale concorso di Mazzini; avversario per istinto di razza, per educazione, per ufficio delle rivoluzioni di popolo; pavido che la spedizione, sebbene fatta in nome di Vittorio Emanuele, tendesse a repubblica, si ritrasse; non nascose la sua avversione, e pur non impedendo, come avrebbe potuto, i concerti, gli arruolamenti e tutti i preparativi, fece sequestrare le armi della Società nazionale, che dovevano servire alla liberazione e all’unificazione della patria.
 
 
 
Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.
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