Il 20 aprile giunsero le lettere inviate da Pilo
il 12 di aprile agli Orlando, a Bertani, a Crispi e allo stesso Garibaldi, per
mezzo del pilota Raffaele Motto.
Il
Motto, condotto a Villa Spinola presso Quarto, dove
Garibaldi alloggiava, data la lettera al Generale, alle sue domande, rispondeva
essere Pilo e Corrao partiti da Messina per Palermo, sollevando le
popolazioni; la rivoluzione essere
scoppiata in quelle vicinanze, e aggiungeva: – “Generale, ci vuole il vostro
nome e il vostro braccio, altrimenti in Sicilia saranno tutti sacrificati”.
Garibaldi rimase un po’ cogitabondo, poi domandò notizie sulle coste
dell’isola, e il Motto suggerì che le migliori condizioni per uno sbarco si
sarebbero trovate a Trapani, e questo era anche il parere di Corrao.
Il Generale risolvette allora di non più indugiare; e fissato il giorno
della spedizione pel 25 di aprile, il Crispi
ne informava subito Rosolino Pilo: ma sopraggiunte altre lettere del Pilo a
Garibaldi, che si riserbavano di indicare il punto preciso dello sbarco, la
partenza fu rimandata ancora una volta.
Ferveva intanto il lavoro. Crispi, La Masa, il
conte Amari andavano da Genova a Torino, da Torino a Milano; conferivano con La Farina, col banchiere
Finzi: il La Farina venuto a Genova, era per mezzo del
conte Amari e del Marano, altro esule nostro, rappacificato
col La Farina, col quale era in discordia.
Bixio, convertitosi, s’era fatto fervido cooperatore dell’impresa: la
casa del Bertani era divenuta il centro delle operazioni; Genova offriva in quei giorni uno spettacolo
singolare, che non poteva sfuggire all’occhio vigile degli agenti borbonici, i quali avvertivano il governo
di Napoli dei preparativi; anzi talvolta, ingannati o travedendo, davano come
avvenuta la spedizione.
Ma ecco, lo stesso giorno (27 aprile) che Crispi scriveva a Rosolino
Pilo, sollecitandolo a mandar le chieste notizie, giungere da Malta il
telegramma di Nicola Fabrizi, che raccogliendo dalla voce dei profughi, – forse
quelli di Marsala – vaghe notizie dei fatti del 4 aprile, diceva:
“Completo insuccesso nelle provincie e nelle città di Palermo. Molti
profughi raccolti dalle navi inglesi giunti a Malta”.
Questo telegramma disanimò Garibaldi, che
addolorato dichiarò impossibile la spedizione e deliberò ritornarsene a
Caprera. Né il Crispi, né il La Masa, né gli altri esuli siciliani però
perdettero ogni speranza: il La Masa, natura esuberante e un po’ millantatrice,
giurò che, essendo pronte le armi, pronti gli uomini e il bastimento, avrebbe
lui capitanata la spedizione. Ma i membri del Comitato Nazionale, e
principalmente il La Farina e l’Amari, dichiararono che non avrebbero dato un
soldo, se la spedizione non fosse stata capitanata da Garibaldi.
La notte del 29 giunse un altro telegramma del Fabrizi,
che più esattamente diceva repressa l’insurrezione in Palermo, ma viva ancora
nelle provincie: e giungevano anche altre lettere e dispacci, che, esagerando
forse di proposito, affermavano Pilo a capo di un esercito, e l’isola in
fiamme. Questi dispacci e quello di Fabrizi, le lettere di Rosolino Pilo e la
risolutezza degli esuli siciliani, la fede e la tenacia di Francesco Crispi e
di Giuseppe La Masa, vinsero qualunque altro dubbio nell’animo di Garibaldi: e
la spedizione, due volte sospesa e rimandata, fu definitivamente decisa. “Partiamo”
– egli disse; – “purché sia domani”.
Si è esagerata da alcuni la partecipazione del
governo piemontese alla spedizione di Garibaldi; da altri si è negata: la
verità è che Cavour aveva da prima anche esso parteggiato per una spedizione
nell’isola, nel caso vi fosse scoppiata una rivoluzione; ma voleva farla con
truppe regie; e in marzo ne aveva fatto parlare al generale Ribotti, che, per
essere stato ai servizi della Sicilia nel 1848, pareva l’uomo acconcio. Ma
indi, spaventato dalle conseguenze diplomatiche, non ci pensò altro. Una intesa
c’era invece tra Garibaldi e Vittorio Emanuele, al quale Garibaldi aveva
chiesto se gli avesse conceduto una brigata di truppe scelte per andare in
Sicilia, e ne aveva anche parlato al generale Sacchi antico suo commilitone di
Montevideo. Il re sarebbe stato favorevole, ma ne fu dissuaso dal Cavour; il
quale, temendo la Francia e possibili complicazioni; non entusiasta di
Garibaldi, non fiducioso nel leale concorso di Mazzini; avversario per istinto
di razza, per educazione, per ufficio delle rivoluzioni di popolo; pavido che
la spedizione, sebbene fatta in nome di Vittorio Emanuele, tendesse a
repubblica, si ritrasse; non nascose la sua avversione, e pur non impedendo,
come avrebbe potuto, i concerti, gli arruolamenti e tutti i preparativi, fece
sequestrare le armi della Società nazionale, che dovevano servire alla
liberazione e all’unificazione della patria.
Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.
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