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martedì 6 dicembre 2016

Luigi Natoli: La nascita della Carboneria in Sicilia. Tratto da: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento Siciliano.


Il ceto medio delle città più colte, nutrito di nuove idee, cominciava a sentire che poteva essere una forza, capace non più d’essere rimorchiata dalla nobiltà, ma di trascinarla con sé e di mettersi di fronte alla monarchia.
In queste condizioni di spirito si propagò in Sicilia la Carboneria. Venuta probabilmente dalla Francia nel regno di Napoli, fin dal 1799, diffusasi in Italia, essa aveva per scopo di “purgare la terra dai lupi”, di combattere, cioè la tirannia col quale nome s’intendeva l’assolutismo. In Sicilia entrò prima del 1817; anzi un’inchiesta, ordinata in quei tempi, assicura che nel 1815 esistevano Vendite a Caltagirone e a Pietraperzia, e qualche anno dopo anche a Messina. Venuto nel 1818 il poeta toscano Sestini, la propagò ovunque; si diffuse rapidamente nel ceto medio, nelle maestranze, nel clero numerosissima, (in quattro diocesi v’erano circa quattrocento religiosi iscritti). Essendosi la Spagna ribellata ed avendo ottenuta una Costituzione, la notte del 2 luglio 1820, cominciata con un “pronunciamento” militare a Nola, la rivoluzione carbonara si propagò vittoriosa in Napoli, capitanata dal generale Guglielmo Pepe, chiedendo la Costituzione spagnola; il 5 era compiuta; il 6 il re la prometteva solennemente; il 13 la giurava sui Vangeli. La notizia giunse privatamente a Messina il 9, e suscitò entusiasmi: il governatore militare, principe di Scaletta, cedendo alle richieste del popolo, promulgò allora la Costituzione spagnola; ma né da Napoli, né da Messina, Palermo ebbe sentore di tanta novità prima della sera del 14 luglio.
Era luogotenente generale dell’isola il vecchio generale Diego Naselli, siciliano, malvisto dai suoi concittadini, di condotta ambigua, inetto e vile. La sera del 14, quarto giorno delle grandiose feste di Santa Rosalia, il Naselli ricevette messaggi del principe Vicario, che gli inviava il proclama del re Ferdinando del 6, e lettere del principe di Villafranca, che aveva avuto una missione dal Re e che parlavano della costituzione siciliana del 1812.
La mattina del 15 i costituzionali del ’12, nobili e borghesi, s’adunarono per domandare il ripristino di quella Costituzione, e l’adozione di un nastro giallo con l’aquila alla coccarda dei tricolori carbonici, emblema dell’indipendenza; nel tempo stesso gli Anticronici in un convegno deliberavano che si domandasse al luogotenente la costituzione spagnola e l’indipendenza. E questi si decise a promulgare il proclama regio: ma dava intanto ordini ambigui di repressione. Per evitare disordini fu eletta una Giunta Provvisoria di Governo: ma i disordini scoppiarono per l’imprudenza del generale Church, che avendo ordinato e strappato a un cittadino il nastro giallo, provocò la folla. Il popolo corse a devastargli la casa e a bruciargli le masserizie, e il giorno dopo imbaldanzito, abbattè le insegne regie, devastò gli uffici finanziari, e domando minaccioso la costituzione e l’indipendenza, l’occupazione dei baluardi e le armi.
Il Naselli, che aveva scatenata la tempesta, non cercò di reprimerla; pubblicò un proclama, e intanto lasciò armare le truppe, che cacciarono i popolani dal Castello, disarmarono quelli dei bastioni, e marciarono ad assalire il popolo. Per evitare il conflitto, alcuni signori, ecclesiastici e consoli delle maestranze, corsero dal luogotenente; ma furono accolti a fucilate dai soldati, che ne uccisero due e costrinsero gli altri a fuggire. Allora i popolani aprirono il fuoco. Il conflitto fu aspro e ostinato: il popolo senza capi, respinse le truppe e s’impadronì di qualche cannone: un frate, Gioacchino Vaglica, gridando Viva S. Rosalia! si slanciò: il popolo lo seguì con ardore, scacciò le truppe dalle posizioni, le mise in fuga e le incalzò fuori dalla città.
Il Naselli fuggì per Napoli, lasciando nell’imbarazzo una Giunta senza capo, senza autorità, in balia di una plebaglia resa ubriaca dalla vittoria. Il popolo si dette ai saccheggi, uccise il vecchio generale Caldarera, arrestò l’astronomo Cacciatore e cercò a morte i principi di Cattolica e di Aci, come traditori: il primo, riconosciuto e trovato a Bagheria, fu ucciso; il giorno dopo fu ucciso l’Aci, e i capi sanguinanti portati in trionfo.
La Giunta, eletta dalle maestranze e dai cittadini, incaricò il colonnello Emanuele Requisens di provvedere alla sicurezza; e questi organizzò le maestranze in reggimenti che dovevano vigilare e rendere sicuro ogni quartiere.
Il domani giunse il Villafranca, accolto con speranze e applausi come il Salvatore. Recatosi alla Giunta, il Cardinale arcivescovo riconsegnò a lui la presidenza di essa. Intanto che si discuteva, un naviglio da guerra napoletano s’avvicinò a Palermo e siccome il popolo minacciava, una deputazione consigliò il comandante Bausan di non approdare, ed egli navigò per Messina. La Giunta attese a dare assetto al governo, preoccupandosi delle finanze e della sicurezza, ma non aveva la forza di procedere contro gli autori delle stragi, né di riprendere i galeotti evasi nei trambusti. Elesse una deputazione, che si doveva recare a Napoli per far nota la volontà dei Siciliani di riavere l’indipendenza tolta loro da quattro anni. Ma a Napoli nessuno era disposto ad accogliere né la deputazione né la protesta: governo e cittadini, indignati contro Palermo ne volevano la punizione. La deputazione, arrestata in mare, fu confinata e guardata in una casa a Posillipo, e le fu vietata qualunque comunicazione.
 
 
 
Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.
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Nella foto: le coccarde indossate dai palermitani la notte del 14 luglio 1820 esposte al Museo di Storia Patria di Palermo.

 
 

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