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martedì 6 dicembre 2016

Luigi Natoli: Braccio di Ferro avventure di un carbonaro.

Ambientato nel contesto della rivoluzione del 14 luglio 1820, Luigi Natoli scrive: Braccio di Ferro, avventure di un carbonaro.
Attraverso il protagonista, Tullio Spada, miniaturista che per caso diviene un affiliato della Carboneria e in seguito fervente patriota: 
“Io Tullio Spada, giuro e prometto sotto gli stabilimenti dell’ordine in generale e su questo ferro punitore degli spergiuri, di custodire scrupolosamente il segreto della rispettabile Carboneria; di non scrivere, incidere o dipingere cosa alcuna appartenente alla Carboneria, senza averne ottenuto il permesso in iscritto. Giuro di soccorrere i Buoni Cugini Carbonari in caso di bisogno, e di non tentare l’onore delle loro famiglie. E se divento spergiuro, consento che il mio corpo sia fatto a pezzi, bruciato, e le mie ceneri sparse al vento, affinchè il mio nome serva di esempio a tutti i Buoni Cugini sparsi sulla terra. Così Dio mi aiuti”.
 il lettore rivive la storia delle Vendite Carbonare da Palermo a Napoli:  Io ho preso parte agli avvenimenti del 1799. Ero Guardia Nazionale della Repubblica partenopea ed ho conosciuto Mario Pagano, Domenico Cirillo, Gabriele Manthonè; tutti quegli uomini maravigliosi. Li ho conosciuti e seguiti… li ho veduti morire sulle forche, vittime del loro amore per la libertà! Ho militato sotto Giuseppe Napoleone e Gioacchino Murat; sono rimasto vivo per puro miracolo al passaggio della Beresina… Da tre anni cospiro; son fra i più antichi carbonari del regno; posso dunque parlarvi con esperienza 
a Genova, a Torino dove il lettore potrà ascoltare  il conte Santorre Santarosa: Tutto è pronto; le nostre Vendite sono già in piena relazione e concordia di lavoro: i Federali, i Liberi Muratori sono con noi; ad Alessandria quasi tutto il presidio è nostro, Genova è pronta; a Torino possiamo contare su parecchi reggimenti; ma al primo segno il principe di Carignano che è gran maestro dell’artiglieria, si terrà in nostro aiuto; la Cittadella sarà, in nostro potere; la rivoluzione si compirà, nel Piemonte, senza spargimento di sangue. Il re, dal voto unanime dell’esercito e delle popolazioni sarà costretto a promulgare la costituzione; e allora il principe di Carignano passerà il Ticino alla testa delle nostre forze, per la libertà e per la gloria d’Italia. Affrettiamoci dunque, e Iddio aiuterà i nostri sforzi.
... combatte a Vercelli:
Non era ancor l’alba dell’8 aprile, e una colonna di soldati, in due ali, marciava lungo i margini della strada di Vercelli, dove si erano concentrate le milizie. Erano quasi tutti giovani: avevano attraversato Chivasso, Crescentino, Trino; entravano ora a Lavezzate, piccolo borgo quasi alle porte di Vercelli.
L’aria era fredda; il vento aveva spazzato le nubi, le stelle scintillavano nell’umidore del cielo, e accendevano piccole fiammelle nell’acqua dei canali. Marciavano avvolti in pastrani, mantelli, cappotti, d’ogni forma, da borghesi e da militari; da fanti e da cavalleggeri. Di uguale avevan soltanto gli alti kepy dal fondo largo e piatto. Con le mani coperte di grossi guanti tenevan su le spalle il fucile con la baionetta inastata, che mandavano a quando, nella notte, rapidi e tenui balenìi.
Innanzi, i piccoli tamburini, col tamburo dietro le spalle: dopo di loro il comandante a cavallo, tutto nero lui ed il cavallo.
A intervalli, lungo la colonna, lampioncini accesi penduli dalle baionette ondeggiavano al passo e facevan balzar la luce di qua e di là su le teste dei soldati. Andavano un po’ in disordine, come gente non ancora usata alla disciplina; i più ciarlavano; molti fumavano; qualcuno canticchiava. V’era invece chi taceva, a capo basso, pensieroso. Gli ufficiali camminavano fra le due ali della colonna, con la sciabola sotto il braccio. Accanto a uno di loro, l’alfiere portava su la spalla la bandiera chiusa in una busta di tela. Dai lontani casolari, al confuso rombo dei passi, levavansi dei latrati di cani, altri cani rispondevano più lontani ancora, come per darsi la voce.
La colonna marciava. Oltre la Sesia distendevasi la linea del nemico; era giunta notizia che gli Austriaci, quella stessa notte, unitisi con le truppe piemontesi rimaste fedeli al re, invadevano il regno. Le milizie costituzionali tentavano uno sforzo supremo, non già per la speranza di vincere, ma per salvare almeno l’onore.
Vincere, no, non si poteva; perché la causa della rivoluzione era perduta. Quella non era stata una rivoluzione di popolo, ma di signori e di borghesi. Il popolo non aveva ancora capito quello che volevano, e li aveva lasciati soli.
Quella colonna, che si avviava a combattere, senza speranza, sapeva di andare a un doveroso sacrificio.
Era formata di giovani volontari, un battaglione era tutto di studenti torinesi e pavesi, nuovi alle armi, salvo gli ufficiali. E Tullio si trovava nella prima compagnia di questo battaglione, da semplice milite; sebbene non fosse studente, l’aver preso parte alla difesa dell’Università il 12 di gennaio, e l’essere amico di molti studenti, l’aveva fatto accogliere volentieri in quelle file; e poi vi erano tre suoi amici Cecconi, Poggiolini, Iosto, che egli non aveva voluto lasciare soli nel cimento.
 ...e torna nuovamente a Palermo, quando i movimenti rivoluzionali vengono soffocati nel sangue:
Ma ben altro colpì la vista di Tullio e gli gelò il sangue nelle vene. Fra l’una e l’altra schiera di soldati in capo alla piazza, poco innanzi al bianco muro del convento erano alcune panchette in fila; allo svolto del fabbricato due carrettoni coperti da una grossa tela. Quelle e questi aspettavano le vittime.
Quando il corteo giunse, a un cenno dell’ufficiale, i granatieri che lo accompagnavano si schierarono fra le due ali, colla fronte al Convento, così da formare con queste, i tre lati di un quadrato spazioso.
I condannati furono dai gendarmi spinti dai innanzi, sino alle panche. La confratria si schierò in capo alla piazza, presso le panchette; Tullio si pose dinanzi. Di là egli era più vicino ai condannati che non avesse supposto; forse la sua voce sarebbe giunta all’orecchio di Giuseppe.
Lo cercò; lo riconobbe: in quel momento i sacerdoti abbracciavano le vittime, e rivolgevan loro l’ultima parola di conforto; e un drappello di ventisette veterani, su tre file, staccandosi dal grosso della truppa, si schierava a venti passi dai condannati.
Fino a Roma, dove Tullio ha la percezione precisa del suo destino e di quello dei movimenti per la libertà e la gloria dell'Italia: Bisogna che ciò avvenga, – disse un uomo maturo, vestito di nero, che era stato fino allora in silenzio nell’ombra di un angolo, – Non le armi e le violenze, ma i martirii sopportati con eroica fede fecero trionfare la religione del Cristo.
E queste parole suonarono come un ammonimento, illuminarono come un raggio di luce: aprirono le menti alla speranza.
 
Luigi Natoli: Braccio di Ferro avventure di un carbonaro.
Prezzo di copertina € 22,00 - Sconto 15% - Spedizione gratuita.
Con illustrazioni di Niccolò Pizzorno

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