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lunedì 8 gennaio 2018

Luigi Natoli: 1848-2018: La Sicilia non fu mai una dipendenza da Napoli... Tratto da: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860


La Sicilia non fu mai, come davano a intendere i napoletani, una dipendenza da Napoli: quegli storici – e anche i maggiori – che parlano di un “regno di Napoli, o peggio delle due Sicilie” innanzi al 1815, dicono uno sproposito madornale. Sino al 1282 vi fu un “regno di Sicilia con capitale Palermo”, cui erano annessi il ducato delle Puglie e il principato di Capua con Napoli; dal 1282 in poi vi furono due regni distinti, quello della Sicilia propriamente detta, e quello che si disse comunemente di Napoli e che ufficialmente quei re continuavano a chiamare regno di Sicilia. Quello di Sicilia si governava con una costituzione che temperava il potere del re e con un Parlamento che toglieva al Sovrano molte prerogative; quello di Napoli, no. Questo Parlamento, per quanto imperfetto, era il vanto e la salvaguardia del regno; anche Carlo V lo rispettò; e quando Carlo III, rendendo indipendenti dallo straniero i due regni, ne cinse le corone, non toccò l’ordinamento particolare di ognuno di essi: ebbero comune soltanto il sovrano. La Sicilia aveva propria bandiera, propria monetazione, propria armata, proprie milizie. Tollerava soltanto guarnigioni non siciliane nei castelli regi. Ebbe anche propri ambasciatori. Ferdinando III di Sicilia e IV di Napoli rispettò questo stato di cose; e se ne giovò due volte, quando, cacciato da Napoli, potè in grazia della Sicilia rimanere re. Durante la seconda dimora, sorti conflitti fra lui e il parlamento, e ricorrendo egli a violenze, che potevano compromettere la tranquillità dell’isola, necessaria agli Inglesi come base di operazioni contro Napoleone, si volle rimodernare la costituzione siciliana, modellandola, per suggerimento di lord Bentink, su quella inglese. La costituzione del 1812, che ai vecchi tre bracci sostituiva le due camere, fu il primo statuto liberale apparso in Italia. Il re giurò di osservarla. Essa riconsacrava l’indipendenza e le libere istituzioni della Sicilia. Il nuovo parlamento, sebbene insidiato, esercitò il suo ufficio, fino al 1816, quando fu prorogato, non sciolto, né abolito. Ma in quell’anno, di sorpresa avveniva un fatto nuovo: il congresso di Vienna, dove, come sarebbe stato doveroso, non fu mandato nessun rappresentante della Sicilia, riconfermava semplicemente il Borbone re delle due Sicilie, senza nulla toccare della loro costituzione; il che implicitamente riconosceva l’indipendenza e le libere istituzioni dell’isola; ma il principe di Castelcicala, rappresentante di Ferdinando, tradusse liberamente la dizione del testo francese in quest’altra: “re del Regno delle due Sicilie”; e con questa infedeltà, pagata centocinquanta mila ducati, annunciata dal R. Decreto dell’8 dicembre 1816, seguito da quello dell’11, si sopprimeva di fatto, non in diritto, la indipendenza della Sicilia; si istituiva un nuovo regno, unico, e il re prendeva titolo di Ferdinando I. Il parlamento siciliano ancora vigente non fu interpellato; la Sicilia regno indipendente, diventava di colpo “dominio di là dal Faro”. Il re dimenticava il giuramento fatto di rispettare la costituzione; dimenticava il suo discorso con cui inaugurava la sessione del parlamento, il 25 gennaio 1812, col quale non soltanto si ergeva a difensore delle istituzioni politiche della Sicilia, ma incoraggiava i Siciliani a conservare il “prezioso retaggio” e “a costo di qualunque personale pericolo” conservarlo “ai loro successori”.
I Siciliani non si acquetarono al tradimento e allo spergiuro. Cospirarono nelle Vendite Carboniche per riprendere “il prezioso retaggio, a costo di qualunque personale pericolo” come lo stesso re li aveva facultati.
In dieci anni di residenza in Sicilia, la corte l’aveva sfruttata fino all’esaurimento; la Sicilia aveva spremuto più di quanto potevano le sue risorse, per mantenere la Corte e l’esercito di emigrati napoletani e francesi spogliati di quel che possedevano; illudendosi di conservare i propri secolari diritti e di trattener seco il Sovrano. In ricompensa, da tutta questa folla di mantenuti, capitanati dai ministri Medici e Tommasi, era trattata come paese soggetto e calunniata anche in quei doni di cui le fu generosa la natura. In buona o in malafede i Napoletani, specialmente dopo il 1815, si persuasero che la Sicilia fosse una dipendenza di Napoli: e lo scrissero falsificando la storia: i siciliani da canto loro avevano per sé il diritto e un giuramento regio; avevano per sé la storia, che non l’aveva mai veduta provincia di alcun regno, né per diritto di conquista né per spontanea deliberazione; ma capo di regno o regno indipendente. Da tutto questo non poteva che scaturire un conflitto: e scoppiò nel 1820. Le due rivoluzioni di Napoli e di Palermo non potevano avere unità d’indirizzo; e giudicarle alla stessa stregua è uno sproposito. E se un errore – come vuole il Croce – fu quello dei siciliani; ingiustizia fu quella del governo napoletano di non riconoscer loro un diritto storico; delitto l’aver destato e alimentato nell’isola una guerra fratricida....
 
 
Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.
Pagine 575 - Prezzo di copertina € 24,00
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