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venerdì 12 gennaio 2018

Luigi Natoli: 1848-2018. Come la Sicilia e Napoli attesero all'impegno della rivoluzione... - Tratto da: Rivendicazioni.


Il 12 gennaio 1848, dopo l'audace sfida che rompeva gli indugi, Palermo insorse. Combattè per ventiquattro giorni, espugnando a una a una tutte le posizioni delle truppe regie, e respingendo i rinforzi venuti da Napoli col conte d'Aquila e il generale de Sauget. Ma Napoli non si mosse, non incoraggiò nè soccorse il fiacco moto di Salerno; non seppe o non potè; o non volle compro­mettersi. Onde a ragione, più tardi, scoppiato il dissi­dio, la Indipendenza e la Lega di Palermo, il più auto­revole dei giornali dell'isola, e uno dei migliori d'Italia, difendendo l’italianità della rivoluzione, rimproverava amaramente i patrioti napoletani: “....Chi si oppose ai primi moti della Sicilia? un'armata napoletana. Chi si stette a guardar la lotta che noi sostenevamo? Una popolazione napoletana. Chi ci abbandonava sull’orlo dell’abisso? Chi ascoltava freddamente i ragguagli della carneficina che qui si faceva? I liberali, i cospiratori di Napoli. Chi lasciò partire da Napoli un rinforzo che, se non era il nostro disperato coraggio, avrebbe ruinato in eterno, non diremo la nostra sorte, ma la causa comune d’Italia, la causa dell’umanità? Sempre i liberali, i cospiratori di Napoli...” (39).
V’era certo dell’esagerazione in queste querele, perché non si teneva conto della diversa condizione in cui si trovava Napoli: ma è certo che se le dimostrazioni napoletane fossero state promosse più presto, e se la sommossa di Salerno, dove era stato spedito Costabile Carducci, avesse preceduto la spedizione del Conte d’Aquila, la avrebbe impedita o ritardata. E non è meno certo che se Palermo fosse stata domata all’arrivo dei rinforzi regi, l’assolutismo borbonico si sarebbe consolidato e avrebbe avuto un effetto deleterio, come l’ebbe più tardi, sulle sorti d’Italia. E a questo gli storici non han posto mente; non hanno, per cecità, veduto di quale enorme peso e di quale responsabilità si caricava Palermo. Dalla sua vittoria dipendeva o il trionfo della libertà o il ribadimento della servitù. 
Ma torniamo a noi. Le dimostrazioni cominciarono a Napoli il 27 di gennaio, quando già si sapeva vittoriosa Palermo. Il conte d’Aquila, battuto dagli insorti, era ritornato a Napoli il 18, a portar notizia delle tristi condizioni dei regi; i generali Vial e De Maio, con le truppe eran fuggiti il 25. È inutile tener d’occhio le date. 
Ferdinando cedette subito alle dimostrazioni: udito un consiglio di generali, dimesso il ministero Pietracatella, chiamò al potere il duca di Serracapriola; il 30 nominò ministro dell’interno il Bozzelli, la nomina del quale, agli occhi di coloro che non conoscevano ancora l’uomo, parve a tutti i liberali di qua e di là dal Faro arra sicura di componimento pacifico della quistione sici­liana. Ma il re lo conobbe subito. L'orgoglio smisurato, l’autoritarismo, l’ambizione smodata di dominare, lo scetticismo dell'uomo glielo fecero giudicare lo stru­mento adatto per distruggere la rivoluzione stessa.
Il 29 Ferdinando con un atto sovrano prometteva la Costituzione e ne fissava i capisaldi, esprimendosi però come se in Sicilia non fosse scoppiata nessuna rivoluzione con un fine determinato. Napoli tutta fu presa da un delirio di gioia; fra gli evviva al re, a Pio IX, alla Costituzione, si gridò anche: Viva Palermo! sincera manifestazione di gratitudine verso la città, al cui ardi­mento e al cui sangue Napoli doveva, senza aver nulla arrischiato, la conquista della libertà politica. E non sol­tanto a Napoli si gridava Viva Palermo: a Firenze, a Milano, a Genova, a Torino questa rivoluzione era salu­tata con entusiasmo come l’inizio del riscatto nazio­nale: Mazzini scriveva la lettera famosa, che comincia “Siciliani, voi siete grandi!” (40), Ludovico di Baviera un'ode (41); Lamartine e poi Thiers la salutavano dalla tribuna parlamentare. A Firenze, il 3 febbraio la citta­dinanza più eletta dava agli esuli siciliani e napoletani un banchetto di duecentocinquanta coperti, in quattro sale del Casino; le tavole erano presiedute da Giuliano Ricci, dal marchese Arconati, da Atto Vannucci, dall'abate Milanesi, da Pietro Thouar, dall' avv. Federico Pescan­tini e qualche altro: dei Siciliani v'erano La Farina, Raffaele Busacca, Paolo Morello, Paolo Emiliani Giudici, dei napoletani Carlo Poerio, Giuseppe Massari; taccio dei minori. Se mi fermo su questo banchetto, gli è per quello che vi si disse. Vi furono infatti dei discorsi e dei brindisi, ai quali risposero il La Farina, il Busacca e Paolo Morello. Quello del La Farina veemente contro le crudeltà del governo borbonico, chiudeva con queste parole: “Oramai non formiamo che unica famiglia, siam tutti fratelli.... fratelli e Italiani col battesimo di sangue e di fuoco! Tutti Italiani, legati ad unico patto, stretti sotto ad unica bandiera, sotto questa bandiera santa, desiderio, conforto, speranza di quelli che son caduti per la causa della libertà e della indipendenza italiana! E noi combatteremo sotto essa e vinceremo al grido concorde di Viva l'Italia! viva l'indipendenza e la libertà italiana!”. E col grido di Viva la nazionalità dell' Italia libera conchiudeva il Busacca il suo discorso, dopo aver affer­mato i diritti imprescrittibili della Sicilia... alla fratel­lanza italiana osannò il Morello. Giuseppe Massari parlò anche lui con sentimenti liberali e italiani; e dopo aver detto che “al grido di guerra dell'eroica Sicilia, Napoli fece eco”, disse fra l'altro: “I nostri fratelli siciliani ci porgono amica la destra, noi la stringiamo al nostro cuore. L’indipendenza delle loro opinioni è sacra per noi, ma noi speriamo che essi non si separeranno da noi. Lo stretto di Messina ci separa geograficamente; ma l'affetto e il desiderio comune di essere Italiani liberi e indipendenti vincono il mare e lo spazio e ci stringono in nodi di soavissima fratellanza”.
Chiuse i discorsi l’ “Indirizzo agli esuli delle due Sicilie”, letto dall' avv. Pescantini, che cominciava col dire “Palermo, che chiameremo sempre l'Italica” e chiudeva gridando: “Viva Palermo! Vivano i popoli delle due Sicilie! Viva l'Italia intera!”. In quel ban­chetto fu proposto, e se ne aprì la sottoscrizione, di coniare una medaglia con la leggenda “A Palermo l'Italica” e di proporre ai governi piemontese, romano e toscano di apporre la stessa leggenda ai primi can­noni da fondere. E la festa si chiuse la sera alle 9 e mezzo al Teatro Nuovo, dove fra deliranti applausi fu riletto l'indirizzo del Pescantini, e un altro delle Donne Toscane alle Donne Siciliane dalla signora Isabella Rossi Gabardi, altre poesie, canti ecc. (42).
Ho, più che non dovessi, narrato questo episodio per tre ragioni; perchè è quasi, se non del tutto, ignoto; perchè mostra in qual conto era tenuta la rivoluzione siciliana; e infine per dimostrare con quali sentimenti d'italianità insorse la Sicilia, ai quali non venne meno neppure quando fu abbandonata e calunniata.


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano. 
Pagine 575 - Prezzo di copertina € 24,00
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