Nei dintorni della città seguirono fieri scontri, in
quello e nei giorni successivi, fra le squadre e le colonne mobili, spedite dal
generale Salzano, comandante in capo. Ai Porrazzi i regi attaccarono la
squadra condotta dal Badalamenti e da G. B. Marinuzzi, e per snidarla dovettero
usare l’artiglieria; ivi morì, dei nostri, Andrea Amorello, da nessuno
ricordato: al ponte delle Teste, a S. Maria di Gesù, alla Guadagna avvenivano
altri scontri: e qui facevan prigione Giuseppe Teresi, giovane appena
ventiquattrenne, serbato al martirio. A Monreale il maggiore Bosco, coi
cacciatori, dovette durar fatica per sostenere l’impeto delle squadre di Piana
condotte dal Piediscalzi, di quelle di Partinico, condotte dai fratelli Damiano e Tommaso Gianì, e di
quelle di Alcamo, già insorta, condotte dai fratelli Triolo di S. Anna.
Questi combattimenti durarono più giorni, e in uno di
essi, il giorno dodici, cadde a Lenzitti prigioniero Liborio Vallone di Alcamo,
morirono Giuseppe Fazio da Alcamo e Giuseppe Ricupati da Partinico: lo stesso
Bosco scampò per miracolo alle fucilate dei fratelli Trifirò di Monreale.
A Bagheria le squadre respinsero due compagnie di linea,
e costrettele a rinserrarsi nel casino Inguaggiato, ve le assediarono. A
liberarle fu spedito il generale Sury con quattro compagnie, cannoni e
compagni d'arme: avvenne uno scontro; le squadre furono disperse, ma i regi vi
lasciaron dieci dei loro. Qui rifulse l'eroismo di Andrea Coffaro, vecchio di
sessanta anni, e del suo giovane figlio Giuseppe, che barricatisi in una casa,
da soli vi sostennero il fuoco dei regi; fin che Giuseppe, sdegnando combattere
dietro i ripari, uscì all'aperto, e colto da una palla in fronte, rese la forte
anima: onde Andrea, desolato, gittò l'arme, e fu preso e condotto in Palermo
riserbato al martirio. Nessuna storia raccolse l’eroico gesto, le cronache di
fonte borbonica sì: noi gli dedichiamo il verde fiore del ricordo.
Più fieri combattimenti si svolsero a S. Lorenzo ai
Colli. Ivi la sera del tre si era recato Giuseppe Bruno-Giordano, per portar
munizioni alla squadra di Carmelo Ischia; e poi che nel tornare aveva trovato
le vie occupate da una colonna condotta dal maggiore Polizzy, rifatta la via,
e ignorando l’insuccesso di Palermo, radunò quanti più uomini potè, per
affrontare i regi. Alla sua squadra s’aggiunse un buon numero di Carinesi.
Carini, sollevata il 3 dal padre Calderone, aveva mandato
una forte squadra, che giunta a Sferracavallo, ucciso un milite, aveva piegato
sopra Passo di Rigano; incontrati i regi, dopo breve combattimento, fu
respinta. Molti si sbandarono e ritornarono a Carini: i più scesero ai Colli e
si unirono con quelli del Bruno. Erano in tutto poco più, poco meno di 200
uomini. Il 5, assalito il battaglione del Polizzy lo costrinsero a ritirarsi fino ai Leoni: il generale Salzano mandò allora tre compagnie
del decimo linea e una sezione d'artiglieria da campo; ma quei 200 uomini
fortificatisi nel quadrivio di S. Lorenzo, respinsero gli assalti. Quel
combattimento, dicono i documenti borbonici, “fu una vera battaglia”; e nessun
elogio potrebbe esser migliore di questo reso dal nemico a prodi terrazzani,
che il governo chiamava “predoni”. Più tardi uno storico narrerà che
questi contadini, che per giorni, per settimane, vissero sui monti, patendo la
fame, senza disertare la bandiera, il 27 maggio fuggirono agli spari come passerotti:
e un altro storico più grave e reputato dirà ch’erano dei mafiosi o dei
contadini scalzi, i quali.... credevano che la “Talia per cui si battevano,
fosse la moglie di Garibaldi”! Piacevolezze o miserie delle quali non mette
conto sdegnarsi!
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Nella foto: Ferdinando del Bosco.
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