Poichè, non ostante un vano divieto, del processo
furono già estratte alcune copie, e qualcuna pubblicata, non sarà inutile
fermarsi a parlarne con serenità. Gli interrogatori che figurano nel processo
sono tre: il primo è del 5 aprile, e il Riso serbò un rigoroso silenzio; l'ultimo
è del 17, compilato, cioè, dopo il colloquio col Maniscalco dal giudice Prestipino,
per ordine del governo, come si rileva da una lettera del luogotenente generale
dello stesso 17. Ora tra la relazione del direttore di polizia, riprodotta nella
citata lettera, e il verbale del giudice Prestipino vi sono notevoli
differenze: e soltanto si accordano nei nomi dei creduti componenti del comitato
segreto; i quali, si noti bene, erano già
noti alla polizia, ed erano quelli delle persone arrestate già fra il 7 e il 12, prima ancora, cioè, che il Riso avesse fatte
le volute rivelazioni. Nessun altro nome vi figura; pure il Riso avrebbe potuto
denunziare il Bruno-Giordano, il Tondù, i De Benedetto, il Marinuzzi, il
Corteggiani, l'Albanese, avrebbe potuto rivelare come e dove s'eran preparate
le armi; avrebbe potuto dire il nome di chi aveva ferito il Direttore di Polizia.
Le rivelazioni non aggiungevano nulla a ciò che la polizia sapeva da altre
fonti; e principalmente da G. Battista d'Angelo uno dei congiurati, che, preso
il 4, non resistendo alle torture, fece propalazioni, indicò dov'erano nascoste
le armi, fu cagione che la polizia mettesse a prezzo la testa del Bruno; e di
lì a non molto fu trovato impiccato alla inferriata del carcere. Rimorso o
giustizia.
Il documento e per le singolari condizioni onde venne
redatto, e per la mancanza di forme legali e sopratutto della firma
dell'interrogato, che pur sapeva leggere e scrivere, dà adito a non
ingiustificati sospetti sulla sua autenticità e veridicità, in un tempo in cui
la polizia creava anche documenti; e con uomini, conte il Maniscalco, che
anelavano raccogliere prove o fabbricarne, per procedere con estremi rigori
contro gli arrestati, e segnatamente i nobili.
Ho voluto indugiare su queste accuse per scrupolosità di
storico, e per ristabilire la verità; non stimando equo, per altro, il rigido
giudizio di chi, credendo alle confessioni del Riso od esagerandone la portata,
vorrebbe anche disconoscerne il sacrificio. Nessuno di coloro che all'ospedale
gli stettero vicini lo credette propalatore, anzi il cav. Balsano, il
cappellano Chiarenza e i medici curanti, che avevano stabilito
intorno al ferito un servizio di quasi spionaggio, negano con testimonianze
scritte, che il Riso abbia fatto le rivelazioni che gli si attribuiscono.
La città, più sicura nei giudizi, ne pianse la morte, e allora e poi l'onorò pel martirio, che segnò la irrevocabile
caduta dei Borboni e l'unità della patria.
Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.
Nella foto: Lapide a Francesco Riso nel cortile della Gancia
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