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mercoledì 22 marzo 2017

Luigi Natoli: Il processo a Francesco Riso


Poichè, non ostante un vano divieto, del processo furono già estratte alcune copie, e qualcuna pubblicata, non sarà inutile fermarsi a parlarne con serenità. Gli interro­gatori che figurano nel processo sono tre: il primo è del 5 aprile, e il Riso serbò un rigoroso silenzio; l'ul­timo è del 17, compilato, cioè, dopo il colloquio col Ma­niscalco dal giudice Prestipino, per ordine del governo, come si rileva da una lettera del luogotenente generale dello stesso 17. Ora tra la relazione del direttore di polizia, riprodotta nella citata lettera, e il verbale del giudice Prestipino vi sono notevoli differenze: e soltanto si accordano nei nomi dei creduti componenti del comi­tato segreto; i quali, si noti bene, erano già noti alla polizia, ed erano quelli delle persone arrestate già fra il 7 e il 12, prima ancora, cioè, che il Riso avesse fatte le volute rivelazioni. Nessun altro nome vi figura; pure il Riso avrebbe potuto denunziare il Bruno-Gior­dano, il Tondù, i De Benedetto, il Marinuzzi, il Corteg­giani, l'Albanese, avrebbe potuto rivelare come e dove s'eran preparate le armi; avrebbe potuto dire il nome di chi aveva ferito il Direttore di Polizia. Le rivela­zioni non aggiungevano nulla a ciò che la polizia sapeva da altre fonti; e principalmente da G. Battista d'Angelo uno dei congiurati, che, preso il 4, non resistendo alle torture, fece propalazioni, indicò dov'erano nascoste le armi, fu cagione che la polizia mettesse a prezzo la testa del Bruno; e di lì a non molto fu trovato impic­cato alla inferriata del carcere. Rimorso o giustizia.
Il documento e per le singolari condizioni onde venne redatto, e per la mancanza di forme legali e sopratutto della firma dell'interrogato, che pur sapeva leg­gere e scrivere, dà adito a non ingiustificati sospetti sulla sua autenticità e veridicità, in un tempo in cui la polizia creava anche documenti; e con uomini, conte il Maniscalco, che anelavano raccogliere prove o fabbri­carne, per procedere con estremi rigori contro gli arre­stati, e segnatamente i nobili.
Ho voluto indugiare su queste accuse per scrupo­losità di storico, e per ristabilire la verità; non sti­mando equo, per altro, il rigido giudizio di chi, credendo alle confessioni del Riso od esagerandone la portata, vorrebbe anche disconoscerne il sacrificio. Nessuno di coloro che all'ospedale gli stettero vicini lo credette pro­palatore, anzi il cav. Balsano, il cappellano Chiarenza e i medici curanti, che avevano stabilito intorno al ferito un servizio di quasi spionaggio, negano con testi­monianze scritte, che il Riso abbia fatto le rivelazioni che gli si attribuiscono.
La città, più sicura nei giudizi, ne pianse la morte, e allora e poi l'onorò pel martirio, che segnò la irre­vocabile caduta dei Borboni e l'unità della patria.
 
 
Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.
Nella foto: Lapide a Francesco Riso nel cortile della Gancia
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