Il 4 gennaio del 1825
morì improvvisamente Ferdinando I, di sessantaquattro anni, dopo circa sessanta
di regno fortunoso, e non lasciò rimpianti. Gli successe Francesco che regnava
di fatto: malaticcio, ipocrita, astuto, reazionario più del padre.
Il suo breve regno fu
agitato dai tentativi dei Carbonari in Napoli e in Sicilia, di uno dei quali
rimase vittima Gaetano Abela, vecchio carbonaro, vecchio cospiratore,
entusiasta e sincero, ma più sognatore che altro: il quale, fu fucilato dentro
il Castello di Palermo il 30 dicembre 1826. In Favignana fu scoperta tra i
deportati una Vendita che voleva “uccidere i nemici della patria e gli
oppressori d’Italia”
Il 21 settembre 1830 il
Re moriva, funestato da deliri. Aveva un certo ingegno e si dilettava di studi
fisici e d’agricoltura. In Palermo, quando era ancora principe, aveva fondato
un podere modello con allevamenti nella contrada di Boccadifalco. Aveva
accarezzato i liberali, ma poi li aveva abbandonati.
Lo stesso anno, nel febbraio,
era morto stoicamente di fame il principe di Castelnuovo, vissuto solitario e
sdegnoso dopo la soppressione del Parlamento. Non avendo figli, lasciò il
patrimonio per la fondazione di un istituto agrario, e un forte legato a chi
avrebbe ridato la costituzione alla Sicilia; ma questo legato, come contrario
alle leggi del regno, fu soppresso dal Re.
A Francesco I successe
il figlio Ferdinando, ventenne, il quale lo stesso giorno 8 novembre pubblicò
un proclama ai sudditi, che suscitò speranze. Il primo anno del suo regno
avvenne l’ultimo tentativo carbonaro, senza preparazione e senza successo.
Domenico Di Marco,
impiegato, di famiglia popolana, aveva col fratello Giovanni designato di
insorgere; trovati animosi seguaci, stabilì la sollevazione per la notte del 1
settembre, al suono delle campane che commemoravano il terremoto del 1693. Ma, ingannati dallo scampanio d’una
cerimonia religiosa in altra chiesa vicina, anticiparono l’ora; e dal luogo ove
si erano raccolti, i sollevati entrarono in Palermo gridando: Viva la Costituzione! Respinta una pattuglia, ucciso un dottore e un
birro, non seguiti dalla popolazione, assaliti dalle forze maggiori, si
dispersero per la campagna. Messa a prezzo la testa del Di Marco, e data la
caccia ai fuggiaschi, in meno d’un mese furono presi; ventuno vennero
condannati ai ferri, undici alla fucilazione. Il 24 ottobre caddero sotto il
piombo: Domenico Di Marco, Salvatore Sarzana, Giuseppe Maniscalco, Paolo
Baluccheri, Giambattista Vitale, Vincenzo Ballotta, Ignazio Rizzo, Francesco
Scarpinato, Filippo Quattrocchi, Gaetano Remondini e Girolamo Cardella.
Questo moto generoso
quanto sconsigliato non ebbe alcun legame con quelli della Romagna dello stesso
anno. Il Di Marco fu un illuso, ma l’aver immolato la vita per la libertà fa
sacro il suo nome e quello dei suoi compagni di sacrificio.
Luigi Natoli: Braccio di Ferro avventure di un carbonaro.
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Nella foto: Coccarda carbonara
Uno degli uccisi era il mio antenato, notaio Corrado Magri'. Non sono riusciata trovare niente circa la sua morte a Catania. Potreste Aiutarmi?
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