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mercoledì 15 marzo 2017

Luigi Natoli: La fucilazione del 31 gennaio 1821. Tratto da: Braccio di Ferro avventure di un carbonaro

Le strade erano uno squallore; nei dintorni del Castello e lungo la via del Borgo, a mare, che i condannati dovevano percorrere, per avviarsi al triste campo del loro martirio, le botteghe erano chiuse, chiuse le porte e le finestre; qualche raro viandante passava frettoloso; silenzio ed ombra per tutto. L’ombra era nel cielo e nell’anima.
Da lontano a intervalli gemevano i funesti rintocchi di una campana, poi s’udì un cupo e lento rullar di tamburi. Il doloroso corteo usciva dal Castello.
Innanzi, alcuni birri armati di bastoni e gendarmi con le sciabole sguainate; dietro a loro la compagnia dei confrati con la loro croce, poi i tamburini dei granatieri austriaci, coi tamburi velati a bruno e scordati; un ufficiale coi capelli biondicci e una faccia rincagnata, duro e dispettoso; un drappello di veterani, e indi fra una doppia fila di granatieri, i condannati, uno dietro l’altro, vestiti di una specie di sacco, il capo coperto di un velo nero, le mani legate dietro il dorso, i piedi scalzi. Andava ognuno fra il sacerdote che lo andava confortando, e un gendarme che lo sosteneva e lo guidava.
Un confrate degli agonizzanti dinanzi la porta di S. Giorgio, sull’arco della quale, dentro una gabbia di ferro, biancheggiavano i teschi di alcuni malandrini, aveva aspettato il passaggio del corteo. I suoi occhi, sfolgorando dietro i fori del cappuccio, interrogavano a uno a uno coloro che andavano a morire, il suo petto ansava sotto il sacco. Pareva che facesse uno sforzo sovrumano per contenersi. Era Tullio.
Riconobbe i suoi compagni: la voce interiore gliene diceva il nome, via via che passavano; i primi erano i due preti, La Villa e Calabrò, già sconsacrati nelle carceri del Castello; poi venivano Pietro Minnelli, Natale Seidita, Domenico  Barucchiere, Giuseppe Candia, e dietro a questi il giovane Lo Verde, pallido, ma franco, col capo eretto, come se oltre la benda i suoi occhi vedessero qualche cosa.
Oltre la parrocchia di Santa Lucia, si allargava un vasto piano, diviso in due dallo stradale che conduce a Monte Pellegrino. La parte verso il mare prendeva nome dal convento della Consolazione, che ne segnava il limite settentrionale, l’altra parte dove ora sorgono le carceri, conserva il nome di piano dell’Ucciardone. Era la meta.
Altre milizie austriache e borboniche erano sulla piazza della Consolazione; divise in due ali, l’una di faccia all’altra, perpendicolarmente al muro del Convento, e in modo da lasciare fra loro un largo spazio. Dietro di esse e al principio della piazza eran dei gendarmi a cavallo; più addietro, dalla parte del mare, sulla strada del Molo, i cannoni delle batterie da costa (sparite ora e mutate in magazzini) avevan le bocche rivolte sulla piazza, e i cannonieri stavan con le micce accese, minaccia di un popolo che non c’era!…
Ma ben altro colpì la vista di Tullio e gli gelò il sangue nelle vene. Fra l’una e l’altra schiera di soldati in capo alla piazza, poco innanzi al bianco muro del convento erano alcune panchette in fila; allo svolto del fabbricato due carrettoni coperti da una grossa tela. Quelle e questi aspettavano le vittime.
Quando il corteo giunse, a un cenno dell’ufficiale, i granatieri che lo accompagnavano si schierarono fra le due ali, colla fronte al Convento, così da formare con queste, i tre lati di un quadrato spazioso.
I condannati furono dai gendarmi spinti dai innanzi, sino alle panche. La confratria si schierò in capo alla piazza, presso le panchette; Tullio si pose dinanzi. Di là egli era più vicino ai condannati che non avesse supposto; forse la sua voce sarebbe giunta all’orecchio di Giuseppe.
Lo cercò; lo riconobbe: in quel momento i sacerdoti abbracciavano le vittime, e rivolgevan loro l’ultima parola di conforto; e un drappello di ventisette veterani, su tre file, staccandosi dal grosso della truppa, si schierava a venti passi dai condannati. Lo Verde era sulla panchetta a sinistra; diritto, col capo alto, col suo dolce sorriso. Il pallore della morte vicina non aveva ancor vinto la giovinezza che gli fioriva su le labbra. Grido e singhiozzo e schianto! Ai suoi occhi velati di lagrime parve che il Lo Verde si scuotesse, come se avesse riconosciuto la voce amica; ma in quel punto stesso, all’improvviso balenìo d’una lama, uno scoppio squarciò il silenzio, una nube di fumo empì lo spazio; quei nove corpi si abbatterono per terra, coi petti infranti… Non erano morti! I veterani borbonici li avevano solamente feriti. Bisognò ricaricare le armi, e tirare ancora due volte su quegli sventurati. Fu un assassinio; e non un giudizio...
 
 
Luigi Natoli: Braccio di Ferro avventure di un carbonaro.
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Nella foto: Coccarda della carboneria
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