Ancora la via Toledo rigurgitava di soldati e di birri; e gli sbocchi dei vicoli eran chiusi da compagnie con le baionette inastate, e ancora durava quel vocìo incomposto di gente lieta che può cantar vittoria. Passavano, a quando a quando, coppie di soldati recanti or fasci di lance, or di fucili, ora ceste di bombe o di cartucce, e si scambiavan con i soldati fermi agli sbocchi, saluti e motti commentati da sghignazzi alti.
Ma, a un tratto, al vocìo alto successe un mugolare sordo, e, dal basso della via, apparve una siepe fitta di baionette e una folla d’armati. Ma il mugolare sordo si veniva placando, e s’udiva ora il tonfo dei passi e il cigolo delle ruote d’un carro....
Pispisedda si rizzò e travide, oltre la siepe delle baionette, un cavallo, un carretto, e sul carretto un uomo, poi altri uomini seduti o accosciati....
“Iddu è” dicevano “Iddu è! Cicciu Riso!”
“È ancora vivo?” si domandò Pispisedda fremendo.
Come il convoglio s’avvicinava, il silenzio si faceva più alto. Pareva che la sorpresa, la meraviglia, la paura serrasse le gole di quel popolaccio di soldati e di birri, che or ora aveva vociato urli di vittoria. “Carognoni” imprecava Pispisedda, scorgendo tutte quelle facce sbiancate, sulle quali il riso ebete di poco fa s’era già spento. E ora risonava alto il tonfo dei passi e lo zoccolo del cavallo e il cigolìo delle ruote. E i soldati e i birri arretravano verso il muro.
Pispisedda fece un lancio, e vide il primo ferito che aveva negli occhi un atteggiamento di sfida.
“Iddu è!” esclamò il ragazzo. E attese trepidando e guardando a una a una le facce sbiancate dei birri e dei soldati che arretravano sempre più a ridosso dei muri.
E il carro fu a mezzo la via assiepato dai soldati: Pispisedda si cacciò risolutamente avanti e scorse don Ciccio Riso sul piano del carro tra la siepe di baionette, con quel suo sguardo, ardente, fiero, che pareva investisse come ventata di sfida la folla dei venduti.
Per quel giovane, per quel giovane e pochi altri uomini, tutto l’esercito del Re era stato preso da folle paura; per quel giovane e pochi altri uomini avea tuonato laggiù il cannone! Ma quei soldati e quei birri del Borbone scorgevano nello sguardo di Francesco Riso, ancora il grido di sfida che era di tutto il popolo: come se da dietro le imposte di tutte quelle finestre, e di tutti quei balconi serrati scattassero tuttavia gridi altissimi di minaccia.
Un’ondata di contento investì l’anima di Pispisedda, come se Francesco Riso fosse portato non alla morte, ma in trionfo da un popolo non già spaurito, ma vittorioso.
Ma, a un tratto, al vocìo alto successe un mugolare sordo, e, dal basso della via, apparve una siepe fitta di baionette e una folla d’armati. Ma il mugolare sordo si veniva placando, e s’udiva ora il tonfo dei passi e il cigolo delle ruote d’un carro....
Pispisedda si rizzò e travide, oltre la siepe delle baionette, un cavallo, un carretto, e sul carretto un uomo, poi altri uomini seduti o accosciati....
“Iddu è” dicevano “Iddu è! Cicciu Riso!”
“È ancora vivo?” si domandò Pispisedda fremendo.
Come il convoglio s’avvicinava, il silenzio si faceva più alto. Pareva che la sorpresa, la meraviglia, la paura serrasse le gole di quel popolaccio di soldati e di birri, che or ora aveva vociato urli di vittoria. “Carognoni” imprecava Pispisedda, scorgendo tutte quelle facce sbiancate, sulle quali il riso ebete di poco fa s’era già spento. E ora risonava alto il tonfo dei passi e lo zoccolo del cavallo e il cigolìo delle ruote. E i soldati e i birri arretravano verso il muro.
Pispisedda fece un lancio, e vide il primo ferito che aveva negli occhi un atteggiamento di sfida.
“Iddu è!” esclamò il ragazzo. E attese trepidando e guardando a una a una le facce sbiancate dei birri e dei soldati che arretravano sempre più a ridosso dei muri.
E il carro fu a mezzo la via assiepato dai soldati: Pispisedda si cacciò risolutamente avanti e scorse don Ciccio Riso sul piano del carro tra la siepe di baionette, con quel suo sguardo, ardente, fiero, che pareva investisse come ventata di sfida la folla dei venduti.
Per quel giovane, per quel giovane e pochi altri uomini, tutto l’esercito del Re era stato preso da folle paura; per quel giovane e pochi altri uomini avea tuonato laggiù il cannone! Ma quei soldati e quei birri del Borbone scorgevano nello sguardo di Francesco Riso, ancora il grido di sfida che era di tutto il popolo: come se da dietro le imposte di tutte quelle finestre, e di tutti quei balconi serrati scattassero tuttavia gridi altissimi di minaccia.
Un’ondata di contento investì l’anima di Pispisedda, come se Francesco Riso fosse portato non alla morte, ma in trionfo da un popolo non già spaurito, ma vittorioso.
Giuseppe Ernesto Nuccio: Picciotti e Garibaldini. Romanzo storico ambientato a Palermo durante la rivoluzione siciliana del 1860. Al centro un gruppo di ragazzini, attraverso i quali il lettore conoscerà i veri protagonisti di quel periodo storico e ne rivivrà i difficili giorni.
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice Bemporad con le illustrazioni dell'epoca di Diego della Valle
Pagine 511 - Prezzo di copertina € 22,00
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