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mercoledì 3 aprile 2019

G.E. Nuccio: I prigionieri del 04 aprile. Tratto da: Picciotti e Garibaldini



Sbucaron nella piazzetta del Cavallo marino e don Gaetanino tacque. Porta Felice era chiusa da una folla di soldati e anche il tratto di via Toledo, che correva da Porta Felice a piazza Marina, ne era zeppo.
I due ragazzi avrebbero voluto imboccare i vicoli che sbucavano in via Butera, ma rigurgitavano di soldati, specialmente il vicolo della Zecca, donde aveva tentato di uscir la terza squadra dei rivoltosi incalzati e dispersi dalle soldatesche.
Appena i due si appressarono alla piazza udirono più alto il gridìo incomposto e il mormorìo febbrile d’una folla briaca di vittoria.
Mute e cieche eran le case, e parea che non un cittadino le abitasse, e sembrava che la città fosse stata abbandonata alla turba dei soldati.
A un tratto, dal fondo della via Bottari, s’iniziò un sommovimento che venne avanzando nella folla, come fa l’onda del mare, e giunse in via Toledo e investì anche i due picciotti gettandoli addietro, poi, rimbalzando, corse verso il sommo dove affittiva la folla dei soldati. E passò col sommovimento una voce ripetuta di bocca in bocca.
- Vengono gli arrestati!... – e corse anche il grido ripetuto agli sbocchi delle vie dalle sentinelle appostate. “Alto, chi va là!”.
Pispisedda fu preso da un brivido di freddo. Un sudore ghiaccio gli scorreva dalla fronte e fermandosi agli angoli delle labbra sapea d’amaro come fosse fiele.
Venivano....
E la banda militare squillò quella sua marcia guerresca, che squarciava il cuore peggio del grido “Viva lu Re!”, urlato dalle bocche dei birri e dei soldati briachi di contento.
Pispisedda si faceva più piccolo e gli pareva di essere solo, sperduto, come una pagliucola sbattuta da onde tempestose e torbide.
I soldati si stipavano a ridosso dei muri e la via Bottari si faceva sgombra nel mezzo. Ed ecco che apparve, in fondo, una folla bigia, cerchiata da una fitta siepe di baionette e di divise luccicanti tagliate in croce dalle cinghie bianche.
E come passava, i birri, che fiancheggiavano la via, sventolavano alti i berretti, unendo il grido di “Viva lu Re!” a quello dei soldati.
Ed eccoli che sbucano in via Toledo, dove urge la ressa dei soldati. Pispisedda si rizza sulle punte dei piedi e guarda attraverso i compagni d’arme, che lo stringono da tutti i lati. Ecco, davanti a tutti, Giovanni Riso, il povero vecchio; e quindi i monaci, legati a due a due, pesti, sanguinanti sul viso, tratti, sospinti da compagni d’arme, da soldati, da birri, ch’hanno sulla faccia un riso sgranato, un riso feroce di belve satolle. Ecco gli altri arrestati delle squadre di don Ciccio Riso, anch’essi pesti nel viso dov’è dipinta una tristezza infinita, una tristezza senza speranza. A tratti, qualcuno d’essi leva lo sguardo sui balconi serrati e sembra chiedere: “Dove sono i fratelli?”.
Pispisedda si lasciava trarre dall’onda dei soldati che saliva; e don Gaetanino gli veniva a lato tremando tutto, il collo affondato, le spalle aguzze, come ghiacciasse per freddo.
Pispisedda guardava in alto; il cielo era cupo ancora, e i balconi e le finestre serrate conferivano alle case un aspetto cupo e dolente. Pareva a Pispisedda di seguir un esercito predone scagliatosi dentro una città morta.
Allo sbocco di via Argenteria il grido: “Alto, chi va là!” della sentinella suscitò urla di “Viva lu Re!”, che correva per l’aria; ma sembrava respinto duramente dai balconi e dalle case serrate. E, come si placava il clamore della banda e delle grida, s’udiva il tonfo dei passi così alto e cupo, che pareva risonato da una fila di tombe scavate nel sottosuolo.
E Pispisedda fu preso da un furore pazzo e urtò e spinse per lanciarsi su quello e straziarlo a morsi. Ma, come furono giunti di fronte alla chiesa di San Matteo, la folla si fermò di botto, quindi fu rigettata addietro come se la testa della colonna avesse dato di cozzo in un ostacolo, e come se ciascuno, cozzando, fosse mandato di qua e di là. A un tratto anche Pispisedda si trovò sbalestrato sugli scalini della chiesa.
E di là potè guardare ai Quattro Cantoni dove era più viva la ressa, e donde venìa il gridìo più alto.
Ecco che la colonna degli arrestati restava per un poco sola nel bel mezzo della piazza; essendosi spartita in due la colonna dei soldati che la fiancheggiava. Torno torno, ai prigionieri, pullulavano i birri agitando alte le mani. Che volevano? Che urlavano? Pispisedda scorgeva gli arrestati stringersi compatti e formare come un sol corpo, per difendersi dall’ira dei birri urlanti!
Ma sopravvenne una compagnia di soldati dal basso; e passò rapida spingendo avanti Pispisedda, che, in un attimo, si trovò sbacchiato all’angolo del palazzo Di Rudinì nei Quattro Cantoni. Di là nulla vedeva; ma udiva le voci dei soldati che gridavano: “Avanti, avanti!” e gli urli dei birri indemoniati: “Fucilateli! fucilateli qui e poi bruciateli!... Viva lu Re!”.
Allora Pispisedda si raggricciò e ripensò alla fucilazione di Nicolò Garzilli e dei compagni.
Per quello adunque avean fatto largo al gruppo degli arrestati? E il tumulto continuava pazzo; e sul tumulto gli urli rochi dei birri: “Fucilateli! Fucilateli qui!”.
E ci fu un momento in cui imperò su la folla un silenzio tragico. Pispisedda avvinghiato dalla paura folle d’udir le schioppettate che squarciavano i petti degli arrestati, si tappò gli orecchi con le mani frementi e gli parve d’udire l’ululare feroce di mille lupi pronti a scagliarsi.
Ma a un tratto, la folla riprese l’andare, e Pispisedda togliendosi le mani di su gli orecchi udì il grido dei soldati: “Avanti, avanti, al comando di Piazza!”.
Ecco, certamente i soldati aveano vinto sui birri che volean fucilar gli arrestati. E questi andavano, stretti, compatti, come volessero morire insieme, d’un sol colpo.
Pispisedda si provò a proseguire oltre i Quattro Cantoni, ma fu ricacciato addietro e tornò verso piazza Marina. Scontrò don Gaetanino che correva verso giù, a zig-zag, fra la folla, come un canuccio spaurito, e se lo trasse dietro lungo la strada. Gli parea ormai d’avere il cuore spezzato e la gola rotta...



Giuseppe Ernesto Nuccio: Picciotti e Garibaldini. Romanzo storico ambientato a Palermo durante la rivoluzione siciliana del 1860. Al centro un gruppo di ragazzini, attraverso i quali il lettore conoscerà i veri protagonisti di quel periodo storico e ne rivivrà i difficili giorni. 
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice Bemporad con le illustrazioni dell'epoca di Diego della Valle
Pagine 511 - Prezzo di copertina € 22,00
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