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mercoledì 3 aprile 2019

G.E. Nuccio: Alla vigilia del 04 aprile 1860. Tratto da: Picciotti e Garibaldini

Pispisedda camminava in punta di piedi, chè s’avvicinava al magazzino. Ora, allo stridìo s’univa un cicaleccio sommesso, e tosto il ragazzo travide due ombre sporgersi d’una parte. Allora emise un lievissimo sospiro. Gli pareva di tornare in vita. S’addossò alla parete e stette irrigidito rattenendo il respiro. A un tratto, udì una voce sommessa:
- Fermiamolo.
Uno dei due uomini aveva parlato. Nello stesso momento apparve, in fondo, nel buio, un occhio di luce con lunghe ciglia di foco.... E le due ombre parvero addossarsi alle pareti e confondersi nel buio. Pispisedda sentiva la tempesta urlar pazza nel suo cuore spaventato. L’occhio di luce avanzava con le sue lunghe ciglia, che pareva filettassero di fuoco il nero dell’ombra densa; e ora s’udiva anche lo zoccolìo del monaco che avanzava. Ma le due ombre.... Ecco che si gettano sul monaco e gli tappano la bocca e lo trascinano con loro!
Pispisedda attratto irresistibilmente, li segue come un sonnambulo. Dove vanno? Nella panetteria del convento? nel cortile? Ed eccoli infine sbucar nel magazzino di don Ciccio Riso. Il monaco arretra spaventato, scorgendo armi e armati; ma quelli lo caccian dentro, lasciando l’uscio aperto. E lo strider della sega si fa più alto: Pispisedda travede le armi appese al muro: fucili, lance, bombe, sacchi e berretti scozzesi col nastruccio tricolore. Ma ode un cicaleccio rapido: c’è molta gente attorno al monaco, che protesta, e Pispisedda si ritrae nell’ombra per sbirciare. Nessuno può scorgerlo, chè l’oscurità l’avviluppa tutto.
Attorno al monaco si stringono molti a scongiurarlo:
- Per carità; vossia non gridi. Lo terremo per poco con noi. Ci benedica piuttosto. – Ma il monaco guarda intorno con gli occhi sbarrati; senza poter nulla dire, nulla chiedere.
- Ci benedica piuttosto – e qualcuno gli taglia il cordone, lo bacia e se lo caccia in seno.
- Ci benedica, affinchè la morte ci trovi puri di colpe. 
Ma lo strider della sega si fa più rapido.... “Che fanno dunque?” si domanda Pispisedda; e s’accosta. Ah! ecco. È don Ciccio Riso, tutto intento ad allestire un piccolo cannone; e gli altri preparan le armi, si buttano le giacche a tracolla, si provano i berretti: Pispisedda ne scorge le ombre irrequiete, che, proiettate dalla lampada a olio e dalla lanterna del monaco, corrono al suolo intersecandosi.
Pispisedda sta come impietrito! Se entrasse, che gli direbbero, che gli direbbe don Ciccio Riso? “Ah! bell’uomo che sei! Sei venuto a spiarci!”. E, quasi senz’avvedersene, anzichè procedere, si ritrae e s’addentra ancor più nell’ombra e s’accuccia e s’agguanta i ginocchi e appunta il mento sul petto. È tutt’occhi, tutt’orecchi!
Quanto sta a quel modo? Dal magazzino viene un ronzìo e un rimestìo pacati. Due o tre volte picchiano alla porta del magazzino. I rumori tacciono ad un tratto; una voce sommessa chiede: “Chi è?” e una voce più sommessa risponde: “San Giorgio!”. Così ogni volta.
“Perchè?” si chiede Pispisedda. “Chi è San Giorgio?”. Poi pensa: “Sarà la parola d’ordine”.
Ma trasalisce. Ode una voce ferma che grida: Avanti! È la voce di don Ciccio. Pispisedda la riconosce. Ed ecco che la porta si apre: qualcuno esce; la porta si chiude. E tosto il ronzìo, il vocìo si spengono; pare a Pispisedda d’udire un ansimar multiplo di gente che attenda ansiosamente. E anch’egli sente che il cuore gli batte a sobbalzi. Che avviene? Trascorrono pochi minuti. Una eternità!... Ma ecco che s’ode uno scalpiccìo. Pispisedda scorge che tutti s’assiepano attorno a qualcuno che è entrato.
- Non c’è un’anima alla Fieravecchia – dice il nuovo arrivato.
- Tradimento! – esclama uno, scattando. Le figure sembrano irrigidirsi a quel grido che par echeggiato sommessamente e a lungo. Pispisedda sente corrersi nelle reni un brivido diaccio: e gli sembra d’udir il palpito di un cuore immenso che tutti assommi i cuori dei congiurati.
Ma ecco la voce calma di don Ciccio Riso:
- Coraggio, don Filippo Mortillaro. Noi siamo qua: e quello che dicemmo faremo. Se mi vedrete tremare, ammazzatemi. Così i traditori. Avanti! Dieci ore, sono!


Giuseppe Ernesto Nuccio: Picciotti e Garibaldini. Romanzo storico ambientato a Palermo durante la rivoluzione siciliana del 1860. Al centro un gruppo di ragazzini, attraverso i quali il lettore conoscerà i veri protagonisti di quel periodo storico e ne rivivrà i difficili giorni. 
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice Bemporad con le illustrazioni dell'epoca di Diego della Valle
Pagine 511 - Prezzo di copertina € 22,00
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