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lunedì 19 giugno 2017

Luigi Natoli: "La presa di Palermo" e le "panzane" di Ippolito Nievo. Tratto da: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860


A proposito del 27 maggio 1860 il Luzio riporta un lungo brano di una lettera del Nievo, nella quale si dicono le cose più straordinarie: che “i Picciotti fuggivano d'ogni banda” che “Palermo pareva una città di morti”; che non ci era “altra rivoluzione che, sul tardi, qualche scam­panio”; che Garibaldi “entrò in Palermo con 40 uomini, conquistò piazza Bologna con 30” ed era “solo” “tutto al più con suo figlio, quando pose piede in palazzo Pre­torio”! Questo è niente. “Noi – scrive il Nievo da eccellente poeta e romanziere – correvamo per vicoli, per piazze, due qua, uno là, come le pecore, in cerca dei Napoletani per farli sloggiare, e dei Palermitani per far fare loro la rivoluzione o almeno qualche barri­cata.... “. E tralasciamo il resto, che riguarda l'esodo dei napoletani il 7 giugno. Il signor Luzio aggiunge in fine: “Queste note frettolose del Nievo, sono la pura e semplice verità”. Verità? Ma per affermare che questa è la verità bisogna sopprimere quelle corrispondenze dell'Eber, che il Luzio cita, e che dicono tutto il rove­scio. O il Luzio non lesse le corrispondenze dell'Eber, o egli, con poca onestà di storico, le altera.
Il Nievo ha, senza dubbio, scritto belle pagine; e parecchi anni or sono qualcuno scoprì che le Confessioni d'un ottuagenario, sono un capolavoro da stare accanto ai Promessi Sposi; e sarà pure. Il Nievo, se non avesse fatto quella fine dolorosa, sparendo nei gor­ghi del mare, misteriosamente, avrebbe certo dato alla letteratura altri saggi del suo bell’ingegno; ma il debito di riverenza per la sua memoria, non può nè deve impe­dirci di dire, con tutto il dovuto rispetto, che le lettere a Bice sono delle fantasie, per non dir altro. A nes­suno, fosse anche l'uomo più grande della terra, è lecito nascondere la verità.... per far risaltare vieppiù la virtù propria, fino al ridicolo.
La spedizione garibaldina, il genio di Garibaldi e l’eroismo dei suoi compagni non diminuiscono, nè sof­frono alcuna ingiuria dall'eroismo altrui; ne sono anzi lumeggiati e spiegati; e io scommetto che, se Ippolito Nievo fosse vissuto di più, rileggendo serenamente quelle lettere, sarebbe stato il primo ad esclamare:
“Come diamine ho fatto a lasciarmi scappare que­ste panzane?”.
E a guisa di commento, avrebbe aggiunto:
“Ah! faceva gran caldo, laggiù il 27 maggio 1860, ed il vino di Sicilia era traditore”.




Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 ed altri scritti storici sul Risorgimento siciliano. 
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