Quello delle squadre più addestrate a fuggire che a
combattere, è un tema che dal Guerzoni in poi ogni scrittore delle vicende
della spedizione garibaldina, sappia o no la storia, crede di dover ripetere.
Anche il Federzoni, o, come si firmava allora, Giulio de Frenzi, nel 1910
scrivendo di storia con dubbia competenza di seconda mano, tirò la sua
frecciata contro le squadre, le quali, secondo lui, che al '60 non era neppure
in mente Dei, riuscivano di danno perfino ai garibaldini!
Queste cose, come si può vedere anche dal libro del
Menghini, scrivevano pure alcuni volontari, alle famiglie o ai giornali
del continente, senza dubbio in buona fede. Non domandiamo dove le
attingessero; e se nell'escludere o diminuire l'opera e il concorso altrui, ci
entrasse un po' di vanità; nè domandiamo come diavolo facessero gli scrittori
di quelle lettere, mentre, chi qua, chi là, sparavano, davan la carica, e
dovevan pensare alla propria pelle, a osservare e notare quello che facevan
gli altri. Ora è curioso che le squadre proprio al 1860 avessero imparato a
fuggire; e per darne prova avessero aspettato la venuta dei Mille; e suppongo
che, se non sapevano che fuggire o danneggiare i Mille, quei centocinquanta
ricordati dal Dumas debbono essere una sua invenzione, o una generosa
concessione di Stefano Turr. Però nel 1820 i Palermitani erano soli, e senza
capi, e cacciarono le truppe napoletane, che eran cinquemila
uomini con cannoni e cavalleria; e nel 1848 erano solissimi, quando costrinsero
le truppe regie a lasciare Palermo. Le
statistiche dànno che i siciliani combattenti
non superarono le due migliaia, e i borbonici erano in Palermo, coi rinforzi
sopraggiunti dodicimila! E la
lotta fra i regi fortificati nelle caserme e nel Castello, e il popolo
della città e delle campagne, durò semplicemente ventisei giorni. Per ventisei
giorni un popolo, bombardato, combattè; e non
posò le armi se non quando l'ultimo dei regi, fuggendogli innanzi, lungo
la marina di Solunto, non s'imbarcò. Non so quale altra città d'Italia abbia, fra le sue mura, combattuto ventisei giorni! Ma
allora, forse, o le squadre e il popolo non si erano sufficientemente
addestrati a fuggire, o erano d'accordo coi regi!
E sedici
mesi dopo, quando le truppe borboniche, comandate dal Satriano, marciano su
Palermo? Ma guardate un po’ che cosa viene in testa alle squadre cittadine!
Invece di addestrarsi a fuggire, tengono in scacco per tre giorni i Napoletani;
e non posan l'armi che per onorevole capitolazione.
E dopo il 4 aprile 1860? Piana, Mezzoiuso, Misilmeri,
Alcamo, Partinico, Carini insorgono e mandano squadre sopra Palermo. Queste
squadre incominciano una guerra tormentosa, e perfino compiono qualche eroico
gesto. Duecento uomini o poco più, nel villaggio di S. Lorenzo, attaccati il 5
aprile da una forte colonna di regi, non soltanto non fuggono, ma fanno
indietreggiare i regi stessi: i quali tornano con cavalleria, e due altre
compagnie fresche; perdono trenta uomini, e son costretti a ritirarsi un'altra
volta. E di questi episodi ne avvengono a Bagheria, a Lenzitti, dovunque.
Il 21 maggio, alla Neviera, queste squadre, che da oltre
un mese vivevano sui monti, dormendo allo scoperto, bagnati dalla pioggia,
soffrendo la fame, sostengono l’urto di tre colonne borboniche. Vi perdono la vita, fra gli altri, Rosalino Pilo e Pietro Piediscalzi,
ma salvano Garibaldi dall'essere assalito a Renda; ciò che nella migliore
ipotesi lo avrebbe costretto a ritirarsi sopra Castrogiovanni; e addio
rivoluzione. Questa è storia documentata; ma nondimeno si continuerà a ripetere
che le squadre nel 1860, per compiacere il signor Guerzoni, il signor Luzio, e
compagnia, fuggivano!
Nella foto: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.
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