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mercoledì 28 giugno 2017

Luigi Natoli difende il coraggio delle squadre siciliane nel 1860 dalle accuse di storici con "dubbia competenza di seconda mano". Tratto da: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860".


Quello delle squadre più addestrate a fuggire che a combattere, è un tema che dal Guerzoni in poi ogni scrittore delle vicende della spedizione garibaldina, sappia o no la storia, crede di dover ripetere. Anche il Federzoni, o, come si firmava allora, Giulio de Frenzi, nel 1910 scrivendo di storia con dubbia competenza di seconda mano, tirò la sua frecciata contro le squa­dre, le quali, secondo lui, che al '60 non era neppure in mente Dei, riuscivano di danno perfino ai garibaldini!

Queste cose, come si può vedere anche dal libro del Menghini, scrivevano pure alcuni volontari, alle famiglie o ai giornali del continente, senza dubbio in buona fede. Non domandiamo dove le attingessero; e se nell'escludere o diminuire l'opera e il concorso altrui, ci entrasse un po' di vanità; nè domandiamo come dia­volo facessero gli scrittori di quelle lettere, mentre, chi qua, chi là, sparavano, davan la carica, e dovevan pen­sare alla propria pelle, a osservare e notare quello che facevan gli altri. Ora è curioso che le squadre proprio al 1860 avessero imparato a fuggire; e per darne prova avessero aspettato la venuta dei Mille; e suppongo che, se non sapevano che fuggire o danneggiare i Mille, quei centocinquanta ricordati dal Dumas debbono essere una sua invenzione, o una generosa concessione di Ste­fano Turr. Però nel 1820 i Palermitani erano soli, e senza capi, e cacciarono le truppe napoletane, che eran cinquemila uomini con cannoni e cavalleria; e nel 1848 erano solissimi, quando costrinsero le truppe regie a lasciare Palermo. Le statistiche dànno che i siciliani combattenti non superarono le due migliaia, e i borbo­nici erano in Palermo, coi rinforzi sopraggiunti dodicimila! E la lotta fra i regi fortificati nelle caserme e nel Castello, e il popolo della città e delle campagne, durò semplicemente ventisei giorni. Per ventisei giorni un popolo, bombardato, combattè; e non posò le armi se non quando l'ultimo dei regi, fuggendogli innanzi, lungo la marina di Solunto, non s'imbarcò. Non so quale altra città d'Italia abbia, fra le sue mura, combattuto ven­tisei giorni! Ma allora, forse, o le squadre e il popolo non si erano sufficientemente addestrati a fuggire, o erano d'accordo coi regi!

E sedici mesi dopo, quando le truppe borboniche, comandate dal Satriano, marciano su Palermo? Ma guar­date un po’ che cosa viene in testa alle squadre citta­dine! Invece di addestrarsi a fuggire, tengono in scacco per tre giorni i Napoletani; e non posan l'armi che per onorevole capitolazione.

E dopo il 4 aprile 1860? Piana, Mezzoiuso, Misil­meri, Alcamo, Partinico, Carini insorgono e mandano squadre sopra Palermo. Queste squadre incominciano una guerra tormentosa, e perfino compiono qualche eroico gesto. Duecento uomini o poco più, nel villaggio di S. Lorenzo, attaccati il 5 aprile da una forte colonna di regi, non soltanto non fuggono, ma fanno indietreg­giare i regi stessi: i quali tornano con cavalleria, e due altre compagnie fresche; perdono trenta uomini, e son costretti a ritirarsi un'altra volta. E di questi episodi ne avvengono a Bagheria, a Lenzitti, dovunque.

Il 21 maggio, alla Neviera, queste squadre, che da oltre un mese vivevano sui monti, dormendo allo sco­perto, bagnati dalla pioggia, soffrendo la fame, sosten­gono l’urto di tre colonne borboniche. Vi perdono la vita, fra gli altri, Rosalino Pilo e Pietro Piediscalzi, ma salvano Garibaldi dall'essere assalito a Renda; ciò che nella migliore ipotesi lo avrebbe costretto a ritirarsi sopra Castrogiovanni; e addio rivoluzione. Questa è storia documentata; ma nondimeno si continuerà a ripe­tere che le squadre nel 1860, per compiacere il signor Guerzoni, il signor Luzio, e compagnia, fuggivano!


Nella foto: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano. 
Pagine 575 - Prezzo di copertina € 24,00
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