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domenica 27 maggio 2018

Luigi Natoli: L'opera di Giuseppe La Masa nel 27 maggio 1860. Tratto da Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860


In cinque giorni il La Masa disciplinò alla meglio quel corpo irrequieto e inadatto a un vero ordinamento. Gli diede uno stato maggiore, un corpo di guide, una intendenza, una ambulanza. A capo vi erano uomini provati, che in tutte le campagne garibaldine diedero esempi di valore eroico: Luigi La Porta, Vincenzo Ga­ruso, Liborio Barranti, Luigi Bavin Pugliesi (129), Ga­spare Nicolai, Nicolò Di Marco, Giacomo Curatolo, Vito Signorino, Ignazio Quattrocchi, Rosario Salvo, Dome­nico Corteggiani, e cento altri. V'era Vincenzo Fuxa, venuto coi Mille, e Pasquale Mastricchi, zio dei Campo, veterano delle cospirazioni, che Garibaldi chiamò il “vecchio di Gibilrossa”. Come si vede non si tratta d'accozzaglia rumorosa, turbolenta, inadatta, e strac­ciata come spacciò il De Cesare, a cui nella “Fine d'un regno”  piacque di celiare: si tratta di una organizza­zione, non certamente perfetta, ma neppure tale da esser desiderabile farne a meno.
Garibaldi ci contò: e fece bene.
Quando la mattina del 26, alle 3, La Masa e Pa­squale Mastricchi calarono a Misilmeri, trovarono il Dit­tatore ancora a letto. Il Dittatore discusse la possibi­lità di una improvvisa entrata in Palermo, e soltanto dopo le assicurazioni del La Masa, disse a questo:
“Andate ad avvertire i picciotti che verrò a pas­sarli in rivista”.
E spediti i volontari sul colle, vi salì anche lui, poco di poi; e al vedere le squadre schierate e piene d'entusiasmo, sorrise; uditi i capisquadra, respinse il sugge­rimento di Sirtori, la ritirata cioè su Castrogiovanni, e deliberò di calare su Palermo.
Senza il concentramento delle squadre a Gibilrossa se lo mettan bene in testa gli storici, Garibaldi non avrebbe concepito il suo magnifico disegno, e il 27 mag­gio non sarebbe piombato su Palermo.
Si può a cose finite, celiare, e anche, se così piace, farneticare; si può dire quel che si vuole; ma allora, ridotti i Mille a poco più di settecento, laceri, male armati, stanchi, quel campo che formicolava di gente desiderosa di battersi, quel grido uscito da migliaia di bocche “A Palermo! A Palermo!” valsero a rialzare il morale dei legionari, a infonder loro la sicurezza della vittoria.
Quando altro non avesse dato il campo di Gibilrossa, basterebbe soltanto questo grandissimo concorso morale, per dargli capitale importanza; giacchè il signor Luzio sa meglio di me, che in una guerra condotta in condizioni disuguali fra le due parti, l’elemento morale è ragione principalissima di successo. Tacerne dopo, se non è prova di ignoranza, lo è certo di ingratitudine. Se le truppe borboniche furono sconfitte, oltre che per gli errori mastodontici dei loro capi, si deve anche e più allo avvilimento del loro morale.
Ma andiamo innanzi.
Garibaldi ordinò che si levasse il campo e incomin­ciasse la discesa, e che tutto il corpo si radunasse e ordinasse giù, nello stradale. La discesa cominciò al tra­monto. L'Eber nelle sue corrispondenze la descrisse minutamente, e salvo in qualche particolare, con una certa esattezza. Ma con maggior precisione è descritta da Pasquale Mastricchi. L'Eber infatti credette che le guide siciliane avessero sbagliata la strada: e invece si tratta di una diversione voluta da Garibaldi. Il Mastric­chi, con otto uomini scelti, marciava alla testa delle squadre, (che formavano, come si sa, la testa dell'eser­cito) per sollecitarle. Arrivato a Rappallo, Garibaldi lo raggiunse, lo fermò, gli fece accendere un fiammifero e guardò l’orologio. Segnava l’una. Domandò al Ma­stricchi, al “vecchio di Gibilrossa”, qual era la strada più corta dal punto dove si trovavano. Il Mastricchi la indicò. Ma dopo mezzo miglio Garibaldi per abbreviare ancora, fece piegare per un sentiero che conduceva alla Favara. Lì dinanzi al fondo Guccia, avvenne un diver­bio fra alcuni picciotti che s'eran fermati per bere, e Bixio, sedato e dalla prudenza del La Masa e dall'inter­vento del Sirtori. Ma se il Mastricchi, come siciliano può sembrare sospetto, lasciamolo lì; tanto più che ci avviciniamo a un'altra seconda fuga, consacrata dal Guerzoni che non c'era; e teniamoci all’Eber, che se ne stava a osservare, da buon reporter.


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano. 
Pagine 575 - Prezzo di copertina € 24,00
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