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lunedì 20 dicembre 2021

Spiridione Franco: Giorno 20 dicembre il mio martire amico Francesco Bentivegna sedeva sul banco dei malfattori... Tratto da: Francesco Bentivegna.

Mentre mi riposava non senza turbati pensieri nel mio novello nascondiglio (giorno 20 Dicembre) il martire amico e compagno Francesco Bentivegna, sedeva sul banco dei malfattori dentro il forte Castellammare per essere giudicato dal Consiglio di Guerra eretto con forma subitanea. Presideva un tal Consiglio il Colonnello Giordano, faceva da pubblico Ministero il Capitano Cesare Schittini; il Colonnello dichiara aperta la seduta; gli avvocati di Bentivegna fecero le loro proteste. Il valente avv. Giuseppe Puglia prese la parola: 
«Signor Presidente, d’alcuni giorni abbiamo fatto un ricorso alla Suprema Corte di Giustizia sul merito di questa causa documentata dalla nostra legge del Regno, e sino a che quei vecchi magistrati non daranno il loro risponso, voi Signori, quest’oggi non avete il diritto di giudicare l’imputato, e prego che si rimandi la causa ad altro tempo». 
Le ragioni di diritto di quel culto giureconsulto qual fu l’avv. Puglia non valsero per nulla. 
Il Presidente rispose: 
«Ho ricevuto l’ordine dal Governo di giudicare oggi il Bentivegna, e non indugierò di un’ora, si prosiegua il dibattimento. Imputato alzatevi! Oggi come già vedete si fa la vostra causa, se avete cosa da dire per la vostra discolpa chiedetemi la parola che vi sarà accordata. Quante armi avete?» 
Bentivegna con gentilezza ringraziò il Presidente.
«Ma ne sia certo» diceva egli, «che io non domanderò mai la parola, sarebbe un fiato inutilmente sprecato, sono bene persuaso che le mie ore sono contate!» 
Il giudicabile mentre parlava contro di lui, il suo carnefice accusatore, guardava un altro uomo, inchiodato sulla Croce: Gesù Nazzareno ch’era morto per salvare il genere umano, lui offriva la propria vita per liberare un popolo oppresso! 
L’Avv. Puglia, pallido e convulso di pena disse: 
«Signori del Consiglio, prendo la parola contro la mia voglia, il fo soltanto per il decoro della toga, e del foro Palermitano, non si dirà giammai nel nostro regno e specialmente all’estero, che sarà mandato un uomo alla morte senza difesa, io non entro nel merito se il giudicabile sia reo, o innocente, voglio solamente rammentarvi, che noi abbiamo una legge sanzionata dal Sovrano, che tutti dobbiamo rispettarla, insisto in nome della legge di attendere il parere ovvero la sentenza della Corte suprema, astenendovi oggi di pronunciare la vostra sentenza».
Ma accortosi l’avv. ch’erano parole buttate al vento, incomincia colla sua efficacia a portare esempi di valorosi penalisti contrari alla pena di morte, come il Beccaria, il Filangeri, ed altri. 
Alla fine per scuotere quegli animi induriti alla vendetta, conchiuse piangendo:
«Bentivegna non combatteva per sé; ma per altri, in nome dell’umanità, quindi vi prego di accordargli le circostanze attenuanti e se ciò non volete fare raccomandatelo alla Sovrana Clemenza». 
Insorse di scatto allora il Bentivegna con sorriso convulso, che uscì dalla sua bocca serrata dicendo: 
«Siete vili ed ipocriti, affrettate il mio supplizio, spegnete la mia vita, ma non ardite offendere la mia coscienza. Torturatemi ancora quanto volete, ma con le zozze vostre insinuazioni non lordate la mia persona. Se vi è lecito di togliermi la vita lasciatemi l’onore. Non sperate giammai, che io scendo nella tomba contaminato, ed imparate come si muore per una causa patriottica, e santa». 
I componenti del Consiglio scossi dall’audacia di quell’uomo di volontà di ferro, di fronte all’onore che spreggiava la vita, come belve assetate di sangue entrarono nella camera delle deliberazioni e dopo venti minuti uscirono colla crudele sentenza in mano...



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