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lunedì 20 dicembre 2021

Luigi Natoli: Francesco Bentivegna raccolse le fila della cospirazione... Tratto da: Storia di Sicilia.

Al supplizio seguì un processo contro sessantacinque presunti rei di cospirazione, dei quali oltre la metà latitanti, e fra essi il Bentivegna. Contro gli arrestati la polizia incrudelì; il tribunale prosciolse ben trentasei dall’imputazione, gli altri condannò a pene ben gravi.
Francesco Bentivegna, scampato per allora, raccolse le fila della cospirazione, corrispondendo con gli esuli, che in terra straniera non dimenticavano l’isola nativa e la sua liberazione.
V’era fra i nostri esuli il fior dell’ingegno, del sapere, del valore, del patriottismo di Sicilia; e molti illustravano la terra natale, o insegnando o nei civili negozi o con la virtù della vita austera, quali Francesco Ferrara, Emerico e Michele Amari. Francesco Paolo Perez, Michele Amari lo storico, Giuseppe La Farina, Filippo Cordova, Vincenzo Errante, Mariano Stabile, Ruggero Settimo, il marchese Torrearsa, Rosolino Pilo, Francesco Crispi, Giacinto Carini ed altri. Tra i quali alcuni conservavano il loro antico ideale della indipendenza di Sicilia e della confederazione degli stati italiani; altri affinando le menti e modificando i primi ideali di autonomia, venivano convertendosi all’idea unitaria di Giuseppe Mazzini; ma non tutti convenivano nei mezzi; giacché alcuni, stringendosi al Piemonte, aspettavano dalla diplomazia la libertà e unità della patria; altri invece, più schiettamente democratici, speravano nella pronta azione rivoluzionaria e seguivano il Mazzini. Tutti però cospiravano e corrispondevano coi patrioti dell’isola, concertando, incoraggiando, promettendo.
Le notizie del moto milanese del 6 febbraio 1853, giunte esagerate, animarono e i prigionieri e i liberi: e parendo giunta l’ora, Francesco Bentivegna adunava molti animosi in un magazzino nella campagne di S. Maria di Gesù, e rivolte loro calde parole di incitamento, li apparecchiò alla prossima battaglia. Ma il convegno e i discorsi seppe da un delatore la polizia, che per maggiore sicurezza, fece trasportare i già prigionieri nelle segrete della cittadella di Messina, e arrestò il Bentivegna ed altri della congiura. Contro questo “branco di scellerati” come col consueto linguaggio le polizie di tutti i tempi chiamavano i novatori, si istruì un voluminoso processo. Il De Simone coi gendarmi Tridenti, Scannapicco e Tempesta, nomi convenienti ai tre ribaldi, sottoposto a torture Antonino Lombardo, uno degli arrestati, gli strappava rivelazioni e documenti, che servirono di base all’accusa. 
Per quelle propalazioni altri cittadini furono gittati nelle prigioni, e veniva formulato un formidabile atto di accusa, che inviava dinanzi la Gran Corte Criminale trenta giovani, di cui nessuno toccava i trent’anni. La Gran Corte li mandava assolti a dispetto della polizia; la quale si rifaceva torturandone altri, come il povero farmacista Schifani, che ne rimase storpio e deforme per tutta la vita. 
intanto che l’emigrazione apriva sottoscrizioni e raccoglieva i mezzi per l’acquisto di 10 mila fucili, Francesco Bentivegna correva al comitato di Palermo, prendeva accordi, e stimato giunto il tempo di sostituire l’azione ai disegni, la sera del 22 novembre 1856, congregati in Mezzojuso alquanti fedeli, con David Figlia, Spiridione Franco, Nicolò Di Marco e altri, inalberò il vessillo tricolore al grido di viva l’Italia.
Il comitato di Palermo e i paesi della provincia sgomenti degli apparati del governo, non seguirono il moto rivoluzionario, onde il Bentivegna si trovò solo e abbandonato: allora per non esporre i pochi seguaci a un vano sacrificio, sciolse la squadra, e cupo, silenzioso, dolente riparò a Corleone. 
Cominciò allora tremenda opera di persecuzione; e compagni d’arme, ispettori di polizia, regie truppe commisero atti di crudeltà e violenze che fanno orrore. Il tenente colonnello Ghio, che comandava la colonna, mutando il mestiere di soldato in quello di sicario, domandava al Maniscalco che segnasse con una croce i nomi di “quelli che dovevano sparire”; e tuttavia pareva tiepido e fiacco al direttore di polizia. 
l Bentivegna fu preso, per tradimento, il 3 dicembre, e tradotto in Palermo fu sottoposto a giudizio con procedura illegale, contro la quale ricorsero i suoi difensori, ma invano; ed egli venne dal consiglio di guerra, il 19, condannato alla fucilazione, da eseguirsi in Mezzojuso entro le ventiquattro ore. Ricondotto fra la sbirraglia e le truppe a Mezzojuso, impavido e sereno sostenne il martirio, il 20 dicembre, un’ora e mezza circa del pomeriggio. Aveva trentasei anni. Il De Simone infierì sul cadavere, vietandolo alle cure pietose dei parenti, e facendolo buttare con le vesti del condannato in un carnaio, donde, di notte, la pietà di congiunti e di amici, celatamente lo trasse. 
La sentenza illegale e crudele ebbe pubblico biasimo, e svergognò il governo che la volle; ma né il biasimo né la vergogna lo arrestarono nella voluttà del misfare...

Luigi Natoli: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo.
Il volume è la fedele riproduzione dell'opera originale pubblicata dalla casa editrice Ciuni nel 1935
Pagine 509 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
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